Pubblichiamo un brano estratto dal primo capitolo del libro che il filosofo Massimo Cacciari dedica a La passione secondo Maria (Il Mulino, pagine 136, euro 15,00). Al centro del volume - che fa parte della serie “Icone - Pensare per immagini”, curata per l’editore bolognese dallo stesso Cacciari - c’è la Madonna del parto di Piero della Francesca.
Con gesto deciso, ben piantati sulla stessa terra su cui sta la Donna, a marcarne la soglia e tuttavia lontani dalla sua altezza, gli Angeli, uguali nell’aspetto e distinti nel colore dell’abito, l’uno verde di speranza, l’altro affocato di amore, alzano la tenda e finalmente ci lasciano vedere. Apokàlypsis, tempo di Rivelazione. Il luogo si apre, ciò che era oscuro patet, il lucus si illumina e dissolve ogni antico limite nell’Aperto. La novitas irrompe finalmente libera dalla tenebra che la copriva.
È un gesto quasi imperioso quello degli Angeli, un potente invito ad aprire gli occhi, a diventare autentici theoroi. Ciò che ora si rivela era custodito nel silenzio fin dall’Inizio, in luogo sacro. All’interno di un tabernacolo abbiamo finalmente accesso. E scopriamo che esso custodiva il Cielo, l’Aperto stesso dell’azzurro del Cielo. Ciò che ci appare non ha nulla di misterioso, ciò che ci viene incontro è alethès, vero nella sua realtà, reale nella sua verità. Meraviglia, thauma, meraviglia che sgomenta e spaesa, è proprio questo: che custodita dagli Angeli fosse proprio la figura della Donna. Certo, un sipario è stato levato, e dunque “prima” non avremmo potuto vedere in tanta luce. Ora, però, è questa figura ad apparirci, nella realtà evidente del suo generare – e il generare ne costituisce l’essenza e il destino. Prima era questo che non vedevamo: l’essenza divina del reale stesso. Deus in nobis: lieta novella e difficile bellezza.
Che cosa si manifesta? Una Donna, una Donna assorta in sé, che con la destra custodisce il grembo gravido e con la sinistra sostiene il fianco come fanno tutte nel suo stato quando debbano reggersi in piedi. Gli Angeli che servono la sua apparizione ci dicono tuttavia che questa Donna in consapevole attesa, meditante ciò che attende, cosciente in tutto di ciò che le accade, in nulla “passiva”, è un simbolo – e simbolo proprio perché, privo di ogni fissità, esso si esprime nello stesso divenire che implica l’immagine della generazione.
Questa Donna, figura realissima nella veste e nel gesto, è insieme enigma che siamo chiamati a interpretare. Il simbolo non è che manifesto enigma – diceva Goethe – e qui ne abbiamo la perfetta dimostrazione. Questa Donna, che armonizza in sé così perfettamente l’humilitas (endless, la chiama Eliot nel secondo dei Quartetti) dello sguardo e la monumentalità della posa, è dimensione essenziale del plèroma divino: ecco il contenuto e significato della rivelazione che qui accade, dell’evento che qui viene raffigurato. Ma non è l’idea che qui conta! L’idea che è possibile incontrare in tante tradizioni, che ritroviamo negli Atti di Tommaso o nel Vangelo degli Ebrei, intorno alla “Madre nascosta”, alla “Madre-Spirito Santo”. La sua presenza non viene qui affatto astrattamente spiritualizzata. La Donna appartiene al plèroma divino, e così gli Angeli la “aprono” al nostro sguardo, proprio nella sua piena realtà. “Io sono”, ella dice. Si toglie il velo e vediamo: è l’incarnazione della Donna. Il diventare carne della Donna precede quello del Figlio. Una Madre puramente spirituale non potrebbe generare alcun Verbo-sarx. Ed è evidente come il momento rivelatore dell’incarnarsi della Donna non può che essere quello in cui lei stessa si accinge a incarnare (e rendere così raffigurabile) ciò che liberamente ha accolto in sé.
Come può l’immagine innalzare a simbolo questa Donna? Che cosa rende possibile questo contemplarla sub specie aeternitatis? È figura reale, ma impone l’idea della più ferma immutabilità; è una Donna che mostra ancora nascosto in sé il germe che matura, è Donna còlta nel suo divenire, anzi nel momento decisivo della sua metamorfosi da fanciulla a madre, eppure ella ci appare compiuta, perfetta. La Donna è questa Donna, nulla di ideal-astratto, questa Donna che ora deve aprire la veste alla cintura tanto gonfio è il suo ventre, eppure è manifesto, malgrado il suo volto appaia qui più affaticato, che è la stessa Signora della Maestà della pala di Montefeltro o della Madonna di Senigallia. Come può darsi icona così potente da simbolizzare perfettamente le due dimensioni?
È il gioco delle armonie musicali-geometriche a permettere un simile thauma. Sono queste che la Donna incarna, del loro gioco ella è l’espressione. La luce dell’Armonia invisibile effondendosi prende figura in lei. Realissima la figura proprio perché manifestazione della realtà del Numero, essenza, archè, delle cose. L’immagine si costruisce e compone nelle sue parti su questo fondamento. Dagli infiniti ritmi che il Numero consente, che dal suo grembo possono scaturire, ecco nasce ora questo Fiore, dalla sua essenza immortale questo mortale-immortale, questa divino-umanità. Noi abbiamo bisogno dei numeri per attingere ai misteri di Dio – così il grande Cusano, così più tardi Francesco Zorzi. Ma non si tratta dei “numeri del mercante”, dei numeri con cui si compiono calcoli e operazioni pratiche e che configuriamo diversamente a seconda dell’utile che intendiamo perseguire. I numeri che in-formano di sé questa Donna si compongono in un Ordine perfetto, danno vita a un cosmo, coincidenza-concordia di Infinito e finito. Soltanto un cosmo, infatti, può essere vera immagine, icona, per quanto contratta, dell’Infinito. L’Infinito si esprime nella perfezione dell’armonia, nell’eliminazione di ogni nota in-definita. Questa figura ha vinto l’àlogon, l’àmetron, l’assenza di proporzione, la mancanza di misura, che sono male. Questo male Ella ha posto sotto il suo tallone. Nella sua forma si manifesta il disegno divino del mondo. Al centro di questo cosmo, suo cuore vivente, la Donna, cosmo del cosmo. In esso si accoglie il divino, rigenerandolo continuamente.
Armonie diverse compongono il tempio nel cui centro abita la Donna – tempio che apre ora per noi, gratia, le porte, e ci consente di entrare. Già il cosmo del Timeo rifletteva nelle sue misure tutte le forme fondamentali dell’Armonia: l’aritmetica, la geometrica, l’armonica. Le parti si collegano insieme sulla loro base, tutte raccolte in una sfera che ha al centro l’omphalos di Maria. L’essenziale non consiste nelle diverse figure che abitano tale cosmo e nei “solidi” che le contengono – sono molteplici le vie per giungere a dare immagine al mistero; essenziale è comprendere che il molteplice si esprime come integra Unità grazie alla misura, al metro che definisce gli intervalli, al rythmos che pone la distanza tra le cose indicandone a un tempo l’indissolubilità. Il procedimento è musicale. Come tra i suoni, così in pittura tra le figure ogni intervallo va colmato armonicamente. Nessun punto deve restare afono, tutto deve tenersi, rimare, ogni ente va collegato (logos) all’altro, in una distinzione senza separazione e in una unità senza confusione.
Qui il rythmos, il Numero, sembra essere quello della figura che iscrive nella Sfera il solido di dodici facce con un pen-tagono regolare per lato (duodecedron planus vacuus), il solido che compare sul tavolo di Luca Pacioli ritratto da Iacopo de’ Barbari e sulla tavola XXVIII dei poliedri platonici disegnati da Leonardo per illustrare il De divina proportione. Pacioli nella Summa de arithmetica afferma che questo poliedro (12 = 4 × 3) rappresenta per Platone il Cielo in quanto ricettacolo di tutte le cose, combinazione fra la tetraktys pitagorica degli elementi e la triade, le tre dimensioni dell’essente, il ritmo ternario che struttura nel neo-platonismo ogni aspetto del reale. Insieme, quartetto e terzetto formano l’unità del Tutto, e si ritrovano pure, se il nostro occhio funziona mathematice, nella struttura di ogni cosa. Thomas Martone ha ricostruito, a mio avviso in modo convincente, queste figure, Sfera e dodecaedro, sulla tavola di Piero. La Donna, dunque, è questa Donna e in uno il Cielo, o la porta del Cielo, del cosmo pitagorico-platonico. La somma astrazione dei Numeri dell’antica sophia si accorda alla Rivelazione che ha luogo, in terra, in colei che si accinge a generare. Qui si manifesta il reale ombelico del mondo.
Proprio perché così concepita, proprio perché espressione perfetta di que-sta armonia, la Donna ci appare indubitabilmente, irrevocabilmente reale. Realtà integra ed eterna. Soltanto ciò che è visto sub specie aeternitatis può dirsi davvero necessario, non “cede” mai, non può venire meno. Lungi dal renderne un gioco astratto la figura, i Numeri che la compongono ne esprimono la indubitabile realtà.
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