Prima il siparietto con la madre, poi il discorso sul palco del Circo Massimo. Tra i protagonisti del Concerto del Primo Maggio di Roma c'è anche Leo Gassmann, entrato in scena non solo per cantare ma anche per recitare un monologo.
Il monologo
«Quante volte ci svegliamo con quel mattone sulla pancia, quel senso di angoscia apparentemente immotivato che non ci lascia vivere sereni. Quante volte ci fermiamo interi pomeriggi sul nostro divano davanti ai nostri telefoni guardando tutte quelle persone così apparentemente vicini immaginando una vita che vorremmo vivere anche noi. Quante volte vorremmo uscire di casa ma poi ci ricordiamo che il mondo lì fuori è spietato, pericoloso, ingiusto. E allora pensiamo che è meglio rimanere chiusi nella nostra camera, magari con qualche amico, a bere, fumare fino allo sfinimento. Quante volte per strada incontriamo sguardi assenti, tristi. Vorremmo aiutarli ma non sappiamo come. Vorremmo fare qualcosa ma ci sentiamo di non avere gli strumenti. Quante volte collezioniamo sulla nostra pelle violenza gratuita. Parlo di quei passanti che incontri che ti rispondono male, senza chiedere scusa, rovinandoti l'umore per ore, giorni e settimane, solo perché hanno avuto una giornata storta. Quante volte accendiamo la tv e sentiamo notizie che ci fanno paura. Sono stanco di sentirmi dire che siamo tutti felici, stanco di ricevere solo brutte notizie, ma non voglio arrendermi, abbiamo il diritto di un presente migliore». È il monologo di Leo Gassmann, dal palco del Concertone del Primo Maggio al Circo Massimo di Roma. «Che senso ha questa vita se non parliamo. La battaglia del singolo è la battaglia di tutti, insieme possiamo fare la differenza», ha concluso il cantante e attore.
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