Dodici normali newyorkesi hanno deciso che Donald Trump è colpevole nel primo processo penale contro un ex presidente degli Stati Uniti d’America. La notizia è arrivata dopo due giorni di deliberazioni da parte dei giurati: il verdetto che hanno messo avrà eco ben oltre l’aula dove per cinque settimane e mezzo si è svolto il processo. Sin dall’inizio si sapeva che The People of the State of New York Vs Donald J Trump – questo il nome del caso - avrebbe potuto innescare una serie di crisi e avere conseguenze potenzialmente decisive sul voto di novembre. I prossimi giorni ci diranno se sarà così.
I giurati hanno stabilito che l’ex presidente ha preso parte alla falsificazione di documenti al fine di commettere o nascondere un altro crimine: Trump – è quello che ha sostenuto l’accusa e i giudici hanno confermato - ha utilizzato “mezzi illegali” per nascondere il pagamento effettuato per comprare il silenzio della donna con cui aveva una relazione 18 anni fa: il pagamento era stato registrato come “spese legali”. Scopo dell’operazione era evitare uno scandalo durante la campagna elettorale 2016.
Il giudice Juan Merchan ha ringraziato la corte e fissato la data dell'11 luglio per l'udienza di condanna. Solo allora scopriremo se il condannato dovrà affrontare il carcere o la libertà vigilata. Il verdetto mette il magistrato in una posizione difficile: che sentenza dare all’uomo che è stato presidente degli Stati Uniti e che milioni di persone vorrebbero rivedere alla Casa Bianca?
Ai giurati, Merchan aveva chiesto di trattare Trump come ogni altro cittadino: ma Trump non è un cittadino normale e i suoi fedeli (e talvolta furiosi) seguaci sono pronti a rivendicarlo, soprattutto perché sono convinti che già una volta (nelle precedenti elezioni) il Sistema abbia agito contro di lui.
Una sentenza che prevede il carcere aprirebbe una crisi nella crisi: per la Corte Suprema, per le agenzie che si occupano della sicurezza nazionale, per la famiglia Trump e per i suoi supporter. Ma è anche vero che mettere Trump sotto “probation” - una sorta di periodo di prova per i condannati previsto dalla giustizia americana in cui la pena è sospesa nonostante il verdetto di colpevolezza - risulterebbe probabilmente inutile: perché l’ex presidente ha già dimostrato di non rispettare le regole in diverse occasioni. E poi: come si fa a imporre restrizioni a uno dei due principali candidati alla Casa Bianca a poche settimane dal voto?
Al momento Trump è libero di parlare e lo sta già facendo: le sue parole aizzeranno chi crede che sia vittima di una cospirazione che va avanti da anni, e che gli ha già rubato la presidenza nel 2020.
Qualunque sia lo scenario che si materializzerà a luglio, Biden si troverà di fronte a una nuova sfida a cinque mesi dal voto: questo verdetto rischia di attirare verso Trump elettori che non hanno simpatia per lui, ma ancora meno amano l’attuale presidente, disposti a credere a chi parla di una cospirazione del “Deep State” guidato dall’attuale presidente. E’ un cespuglio di rovi molto appuntiti quello in cui si sono mossi in queste settimane i dodici donne e uomini che erano seduti in aula a New York: ora a condividerlo con loro ci sono milioni di americani.
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