Continuano i funerali del presidente iraniano Ebrahim Raisi, morto in un incidente in elicottero assieme a sette funzionari, tra cui anche il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian. Una folla oceanica ha partecipato alla cerimonia funebre martedì 21 maggio, mentre il giorno successivo la guida suprema del Paese, l’ayatollah Ali Khamenei, ha pregato sul corpo del defunto capo del governo. Le salme saranno sepolte nei rispettivi luoghi di nascita giovedì 23 maggio.
Alle varie cerimonie hanno partecipato, oltre agli alti funzionari e i leader militari della Repubblica islamica, anche il capo dell’Ufficio politico di Hamas Ismail Hanyieh, giunto “a nome del popolo palestinese, a nome delle fazioni della resistenza di Gaza, per esprimere le nostre condoglianze”, il numero due di Hezbollah Naim Qassem, il presidente della Duma russa Vyacheslav Volodin e il capo della diplomazia di Ankara Hakan Fidan assieme al vicepresidente Cevdet Yilmaz. È chiaro l’intento da parte di Teheran di dimostrare forza, unità interna e con i propri alleati in un momento difficile per il regime che, nei prossimi 50 giorni, dovrà colmare il vuoto di potere e stabilire le cause dell’incidente.
Nel Paese, però, si è già attivata la macchina della repressione. Il procuratore generale Mohammad Kazem Movahhedi Azad ha ordinato un giro di vite nei confronti di coloro che hanno pubblicato “insulti” rivolti a Raisi e agli altri morti sulle varie piattaforme social. La disposizione è arrivata subito dopo l’annuncio del decesso del presidente. Oltre ai messaggi di lutto dei sostenitori del presidente, infatti, la rete è stata inondata da commenti dei dissidenti che hanno ricordato il ruolo del “macellaio di Teheran” nell’esecuzione di migliaia di prigionieri politici nel 1988 e la repressione delle proteste scatenatesi nel 2022 a seguito della morte di Masha Amini. Svariati utenti, inoltre, hanno puntato il dito contro l’Unione europea, l’Onu e i Paesi che hanno espresso il loro cordoglio per la morte del presidente iraniano, accusandoli di ignorare l’uccisione degli oppositori del regime.
Ebrahim Raisi non era un presidente amato dal popolo della Repubblica islamica. Sin da quando sono arrivate le prime notizie dell’incidente, in alcune città del Paese sono stati lanciati fuochi d’artificio per festeggiare la sua scomparsa e, nelle concitate ore delle ricerche, contingenti dei pasdaran sono stati schierati a Teheran per reprimere eventuali manifestazioni. È evidente che il regime tema una rinascita delle proteste per la libertà e i diritti nelle prossime settimane, mentre sarà impegnato a puntellare le proprie basi e a scegliere un successore di Raisi.
Nessun commento:
Posta un commento