Emblema inesausto di bellezza e summa del Rinascimento la Venere di Botticelli è stata fatta oggetto di una campagna pubblicitaria del governo per promuovere l'Italia nel mondo e accogliere chi arriva.
Se c'è una cosa interessante, con la destra, è appunto un possibile nuovo approccio alla cultura e all'arte. Imbolsita e ridondante, la fruizione culturale che come sempre si è detto sempre “è a sinistra” potrebbe veramente nutrirsi di un nuovo sguardo più fluido e sinceramente pop. E quindi anche di una nuova e rigogliosa produzione. Questa pubblicità introdotta da Daniela Santanché ministra del Turismo, per ora, sembra il primo manifesto del sentire culturale della destra al potere, da proporre anche come firma nel mondo. Consiste nello svitare la testa della nota Venere, privarla del contesto e della grazia dell'insieme in cui è stata concepita, e avvitarla sul corpo di una liceale di un quartiere bene che si fa selfie, mangia pizza, si fa foto in bici in un'Italia artificiale, dando sempre le spalle a ciò che dovrebbe guardare. Ci potrebbe essere Pomezia, Foggia o Cologno Monzese sullo sfondo: sarebbe la stessa cosa. Non è suggerito un desiderio nuovo, una scoperta da fare, una ricchezza immateriale di cui nutrirsi e godere. Solo vellicazione narcisistica di quanta autoproduzione digitale si può fare usando l'arte italiana come tappeto dello smartphone, senza manco guardarla. Così la Venere di Botticelli nei cuori della nazione anche dei più ignari, viene trasformata approfittando che il maestro del Rinascimento sia morto già da un po' e non può imbestialirsi, in una biondina carina con testa e sguardo fisso. Capelli al vento che nel dipinto dell'artista è soffiato dagli dèi, in questo ogm grafico vanno in una sola direzione, ma senza ragione. Come le bambole gonfiabili con quelle facce sbalordite e fisse a prescindere da come le si collochino nello spazio.
Non possiamo non ricordare la collega di Santanché: Michela Brambilla. Ai tempi di Berlusconi si partorì un sito on line sull'Italia per eventuali turisti, costato mezzo milione di euro. Si alternavano delle immagini del nostro paese con la luce sfondata delle pubblicità, un'abbondanza di voli di droni in picchiata e soprattutto la rappresentazione dell'inutilità. Infatti venne subito chiuso. Anche perché nelle città d'arte italiane se c'è una cosa, l'unica che andrebbe seriamente affrontata e pubblicizzata sono i servizi che svaniscono in proporzione diretta alla svendita dei luoghi da consumare.
A corredo, c'è anche lo sfregio linguistico con l' ibrido di anglicismi tipico della pubblicità. Dal dentifricio al sapone per i piatti a Piazza San Marco si propone anche qui un formato da pubblicitario stanco: “Open to meraviglia”.
Ma perché? E' questa la sola meraviglia. Perché Heike Schmidt, direttore degli Uffizi ha permesso questo? Eppure si era opposto fieramente all'uso che ne aveva fatto Jean Paul Gaultier l'anno scorso su abiti da adolescente.
Perché, non dico Santanché che ha spiegato la sua visione: “vendiamo l'Italia” come fosse una caciotta o un salame, ma perché Armando Testa, agenzia pubblicitaria di prestigio ha messo insieme una cosa simile?
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