mercoledì 2 ottobre 2019

' L'empio punito' di Alessandro Melani: antenato del 'Don Giovanni' mozartiano

La seconda delle due ragioni - la prima l'abbiamo esposta nel precedente post - che ci ha condotto a Villa Torlonia, domenica scorsa, era lo spettacolo in cartellone: la prima ripresa moderna di un'opera di Alessandro Melani - musicista pistoiese per origine - L'empio punito , dramma per musica in tre atti, su libretto di Filippo Apolloni, a sua volta tratto da un testo di Filippo Acciaiuoli che si era rifatto a El burlador de sevilla y Convidado de pietra ( 1616) di Tirso de Molina, la sorgente prima del mito del Don Giovanni, al quale attingerà anche la coppia Da Ponte-Mozart, per il grande capolavoro.

La ripresa a Roma, per iniziativa del 'Reate Festival' coincideva con le rappresentazioni dell'opera mozartiana al Teatro dell'Opera, contestatissima per l'assurda regia (ma che sarà sicuramente piaciuta  almeno al colto sovrintendente Fuortes, il quale prosegue pervicacemente nella sua convinzione che senza la modernizzazione degli spettacoli, attraverso la regia, l'opera muore) ma certamente più frequentato ed ambìto dell'opera di Melani, e precedeva, di poco, la ripresa della medesima opera ma con diverso allestimento, in Toscana, con una trasferta da Pisa a Pistoia, patria del musicista.

L'empio punito, che il 'Reate Festival' ha voluto nella Capitale preceduto da incontri di studio, di carattere musicologico e letterario all'Università, fu rappresentato la prima volta nel teatro di Palazzo Colonna in Borgo, a Roma, il 17 febbraio 1669. Ed oggi, messo da parte il valore della sua musica, di molto superiore a quello drammaturgico, l'interesse maggiore per l'opera riguarda proprio la ricerca degli elementi che nell'opera di Mozart troveranno degni  e più maturi frutti:  nell'opera di Melani ci sono già tantissimi elementi, situazioni, personaggi che nel Don Giovanni avranno più carattere, maturità, sostanza. 

Si può dire che i personaggi ci sono tutti, con altro nome, certo, ma dalla similare identità. C'è Don Giovanni e Leporello - che in Melani si chiamano Acrimante e Bibi - c'è tutto il contorno di donne, progenitrici di donna Anna e donna Elvira; di più qui c'è  Proserpina che non regge alla passione per Acrimante e che, sebbene morto e defunto, nell'altro mondo, lo cavalca come la più sfrenata della maniache sessuali; e c'è  anche la statua del dignitario di corte ucciso da Acrimante  che lo farà sprofondare all'inferno, dopo aver accettato l' invito al banchetto.
 Si può dire, infine, che si ascolta il medesimo inquietante suono che accompagna  in Don Giovanni l'apparizione del Commendatore.

La realizzazione musicale, come anche l'allestimento si avvalgono di un gruppo di fedelissimi del festival, da Alessandro Quarta cui è affidata la  pregevolissima realizzazione musicale in capo al Reate Festival Baroque Ensemble  ( gruppo strumentale cameristico di soli archi, fagotto e cembalo) e ad un gruppo di cantanti, nutrito -  e più numeroso degli strumentisti: tanti ne richiede Melani? - giovane, ben assortito e preparato (nel quale spiccano l'Acrimante di Mauro Borgione, come anche il Bibi di Giacomo Nanni ed anche le voci femminili, comprese quelle 'en travesti', mentre al di sotto di tutti questi risultano le parti maschili , a partire dal re di Macedonia, Alessandro Ravasio,  per finire all'intera sua corte).

Lo spettacolo, affidato come sempre al regista 'residente', nonchè direttore artistico del festival, Cesare Scarton, ci ha tenuti per tutto il tempo tesi per quella scenografia ( Michele Della Cioppa) fatta di piani inclinati  che , di volta involta, dovevano rappresentare dirupi, scogli, sala del trono ed altre sale del palazzo reale,  e  che  faceva rischiare a tutti, cantanti ed attori, di rompersi l'osso del collo; l'unico elemento in verticale che  interrompeva questo paesaggio erano alcune vetrate scorrevoli, azionate a vista, sulle quali  alla fine dell'opera si intravedeva, sfondata, la sagoma  del 'convitato di pietra, alias Tidemo, 'aio di Ipomene e consigliere del re', impersonato da Riccardo Pisani.

Scarton, che qualche giustificazione nobile ed alta deve  inventarsi per giustificare i pochi soldi a disposizione per realizzare una regia  degna di tale nome con annessa scenografia e costumi, scrive:
"La concezione scenografica  intende tradurre l' instabilità  ( 'le schegge della vita umana  che non combaciano l'una con l'altra...'), il pericoloso piano inclinato sul quale si trovano ad agire i personaggi. La scene è costituita su diversi livelli posti ad altezze mai allineate e sempre sghembe. Questa realtà totalmente spezzata è il contenitore di una  serie di vicende che alternano momenti comici a scene tragiche, elementi erotici a effusioni liriche, visioni metafisiche ad azioni di crudo realismo". 

Un libretto come quello in oggetto - 'una vorticosa giostra della vita dove c'è tutto e il contrario di tutto' - " è molto aperto e permette una lettura dei personaggi che, affrancati da un libretto alquanto ridondante, possono trovare un loro spessore psicologico e una ricchezza di interazioni reciproche destinate a creare una drammaturgia più moderna, meno legata al gusto barocco e più vicina allo spettatore di trecentocinquanta anni dopo".

Forte di tale avallo ideologico, Anna Biagiotti,  adottava abiti moderni e succinti per le donne - salvo quello bianco e lungo dell'eterna sposa che solo alla fine decide di risposarsi con il re - sexy addirittura e sempre cortissimi, compreso quello di Proserpina e della cameriera che serve bibite con cannucce, in apertura; e  lo stesso Scarton  inutili vecchie e stantie mossette, chiedeva a Bibi, alla fine, per ammaliare l'attempata Delfa, applauditissima nutrice di Ipomene ( sorella del re di Macedonia), impersonata, 'en travesti', da Alessio Tosi.



 Oscurata la vetrina romana che difficilmente potrà illuminarsi nuovamente con l'unica recita reatina, sabato, dell'opera di Melani, l' attesa maggiore è tutta rivolta  alla serata in cui  si presenterà, in prima mondiale, un melologo  ' Wagner e Verdi' , il n. 1003 del catalogo del novello Verga, Sandro Cappelletto, che in Matteo D'Amico ha trovato il suo Mascagni. 

Il melologo,  è un genere 'letterario-musicale' al quale il direttore del festival, Scarton, dedicò, anni fa, un pregevole studio storico musicologico per il quale si annuncia, a causa del favore che esso incontra ogni giorno di più, l'ennesima ristampa, nella quale si potrà leggere anche della novella coppia di campioni del genere Cappelletto-D'Amico.

Infine, permetteteci una riflessione non più artistica, ma politico-sociale. La trasferta romana ci convince assai poco, perchè realizzata da un festival che dovrebbe invece servire un territorio che certamente non è baciato dalla fortuna culturale, ma che ha un bel teatro, Vespasiano, e nume protettore Gianni Letta, il 'cardinale'.



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