lunedì 28 ottobre 2019

Il latino non è una lingua morta e defunta. E, se studiata, farebbe un gran bene alle menti dei giovani di oggi ( da Corriere della sera, di Paolo Di Stefano)

Saggi. La storia dal punto di vista degli idiomi ne «Il caos e l'ordine» (Einaudi) di Lorenzo Tomasin


Il latino radice d'Europa : una lingua che vive ancora


di Paolo Di Stefano/Corriere della Sera


27.10.2019 - Ma il latino sarà davvero, come dicono, una lingua morta? A sentire Lorenzo Tomasin, autore de Il caos e l' ordine (Einaudi), no, il latino non è una lingua morta. È una lingua che sopravvive nelle lingue romanze (o neolatine), cioè nel portoghese, nello spagnolo, nel catalano, nel francese, nel provenzale, nel romeno, nel sardo, nel romancio e soprattutto nell' italiano.


«Il concetto di lingua morta , che associamo comunemente al latino (e al greco antico), è una nozione tanto intuitiva quanto ambigua», scrive Tomasin, linguista veneziano che insegna Filologia romanza all' Università di Losanna. Perché? Prendiamo il dalmatico, che un tempo era diffuso sulle coste orientali dell' Adriatico. Ebbene, quella varietà romanza si è sempre più esaurita sotto la pressione del croato, fino al giorno in cui è rimasto un solo parlante: Tuone Udaina, morto il 19 giugno 1898. Quel giorno il dalmatico si è estinto. E il latino?


Al latino non è successo ciò che è successo al dalmatico né ciò che è accaduto alla lingua misteriosa tra la Patagonia e la Pampa di cui narra lo scrittore italo-argentino Adrián N. Bravi nel suo ultimo romanzo: L' idioma di Casilda Moreira (Exòrma). Il cui vero protagonista è il günün yajüch , una lingua antica nota soltanto a una donna e a un uomo, Casilda e Bartolo, due settantenni che non comunicano più tra loro per una vecchia lite amorosa. Il destino di quell' idioma è dunque irrevocabile. Non conosciamo invece l' ultimo latinofono, semplicemente perché non c' è stato un ultimo parlante nativo del latino. Non si può neanche dire, a rigore, che le lingue romanze discendono dal latino al modo in cui un figlio discende dal padre o dalla madre, o un nipote dai nonni o dai bisnonni. Perché se il passaggio delle generazioni comporta la secessione definitiva dagli antenati, nel caso del latino c' è una «naturale e ininterrotta sopravvivenza attraverso il tempo e lo spazio».


L' italiano e le altre lingue neolatine sono il risultato della trasformazione del latino, di cui non c' è alcun certificato di morte. Dunque? La tesi è che il latino agisce ancora oggi, e per questo, tra l' altro, sarebbe consigliabile studiarlo.


L' immagine suggestiva che Tomasin ci propone, per analogia, è quella di certi edifici storici delle città italiane, che sono la somma di progressive ristrutturazioni, aggiustamenti, ritocchi, interventi a partire da costruzioni antiche o medievali: nonostante l' aspetto globalmente nuovo, non è raro che rimangano a vista alcune vestigia e tracce del passato se non addirittura qua e là le strutture portanti primitive nella stratificazione di epoche.


Del resto, tutte le lingue si sviluppano nella convivenza di ordine e caos, nell' alternarsi di equilibri e rotture, nella compresenza di movimenti di sistole e diastole, secondo una intuizione del grande linguista e filologo tedesco Heinrich Lausberg. Sono le coppie antitetiche su cui si articola il libro di Tomasin e alle quali si aggiungono lessico e grammatica, eccezione e regola, antico e moderno, natura e storia.


Tutto ciò porta a considerare che riflettere sul linguaggio è un modo illuminante per interrogare la storia, e nella fattispecie riflettere sulle origini comuni delle lingue romanze significa chiamare in causa la complessità della cultura europea. Per cui se il libro di Tomasin è un atto d' amore verso la filologia romanza, ovvero quella che gli studiosi tedeschi dell' Ottocento hanno battezzato come romanistica, è anche un atto d' amore verso il Vecchio Continente. Per la cui definizione in epoca post-bellica ha avuto un ruolo importante proprio la prospettiva linguistica che metteva in relazione la romanistica con l' area germanica. Ed è interessante che, come tiene a ricordare Tomasin, i contributi più notevoli alla comprensione delle lingue e delle culture romanze siano venuti da grandi maestri tedeschi: si pensi appunto a Lausberg e a Gerhard Rohlfs, ma anche a studiosi della letteratura come Ernst Robert Curtius e Erich Auerbach. Nomi ricorrenti nel libro, con quelli di altri numi tutelari della linguistica e della storia della lingua, Ferdinand de Saussure (con l' opposizione tra sincronia e diacronia), Graziadio Isaia Ascoli e Giacomo Devoto in primis.


Il leitmotiv del libro di Tomasin è dunque l' interazione contraddittoria e imprevedibile tra quelle forze centrifughe e quelle forze centripete che si possono individuare in piccoli e grandi fenomeni linguistici: intrecci che quasi contengono in sé il senso stesso della identità europea, sino a rendere legittima l' idea che il punto di vista linguistico possa contribuire ai dibattiti molto attuali su un' integrazione europea che tendiamo a ridurre a questione economica e finanziaria.


Insieme, però, Tomasin si preoccupa di far emergere e comparare i diversi filoni di studio che sorgono dalla divaricazione di fondo: da una parte chi punta sul linguaggio come proprietà universale (dunque come prodotto dell' evoluzione quasi fosse un fenomeno biologico) e dall' altra chi vede nelle lingue un fatto saliente del divenire storico.


Da una parte chi valorizza gli elementi di unità, dall' altra chi sposa le diversità e le mutevolezze. Va da sé che mettere in relazione e a confronto le due tendenze sarebbe molto più utile che tenerle rigidamente separate, come è spesso accaduto.


Fatto sta che la specola dell' evoluzione delle lingue romanze getta luce sulle più vaste e profonde ragioni umanistiche che tendiamo a trascurare. Provocatoriamente, ma neanche tanto, Tomasin rovescia il principio vulgato (dall' Ottocento) per cui le lingue sono prodotti culturali e dunque oggetti storici, proponendo una prospettiva capovolta: «È la storia a essere nel suo complesso un fenomeno linguistico». Per tante ragioni, Il caos e l' ordine è un originale contributo non solo scientifico ma anche militante.







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