venerdì 31 maggio 2024

La SIAE capitola sull'uso GRATUITO delle immagini dei nostri beni culturali sulla stampa. Clamorosa marcia indietro di Salvo Nastasi, presidente SIAE

Molti anni fa, ero giovane e più svelto, la sorella di Marco Pannella, Liliana, impegnata nella difesa della musica d'oggi e per la sua diffusione ( ma anche su molte altre cose),  mi invitò a partecipare a due dibattiti organizzasti da Radio Radicale proprio sul diritto d'autore. V'è traccia in rete di quei dibattiti molto istruttivi e tuttora efficaci.

 Si discuteva della necessità di riformare il diritto d'autore, non tanto nella sua durata, ma anche di quella,  piuttosto  della mancata incentivazione alla diffusione della musica dell'epoca che, invece, il diritto d'autore, avrebbe dovuto, per sua natura, difendere  e diffondere.

 In sintesi, si diceva: se il costo per l'esecuzione della musica di Strawinsky, tanto per citarne uno, è più alto di Bach( la cui musica più gradita e richiesta, con i diritti d'autore di fatto inesistenti) è del tutto evidente che la musica di Strawinsky difficilmente avrà la diffusione che si vuole, continuando a costare tanto e  non essendo, salvo eccezioni, tanto gradita dagli organizzatori e dal pubblico. 

 Ma allora come fare con la musica d'oggi? Restava, allora, la riserva indiana delle trasmissioni radiofoniche che costituivano il canale delle maggiori entrate per diritti degli autori. Poi anche la radio ha cambiato  la sua politica, per cui anche la radio non fornisce che un  minimo introito per diritto d'autore (Ci sono degli aggiustamenti previsti, ma qui non è il caso di parlarne).

 Quanto, poi, alla durata della 'protezione' si dimostrò che, in letteratura - non altrettanto nella musica - finito il tempo della 'protezione', l'autore era venduto più di prima. Parliamo naturalmente degli autori più venduti.

 Analoga è la situazione dell'suo di immagini, a scopo di cronaca, sui mezzi di informazione, che ha un suo diritto; la Siae, appena qualche giorno fa, ha detto essere sottoposto al diritto d'autore.

La repubblica ha reagito pubblicando un intero numero senza immagini, lasciando in bianco lo spazio dedicato, e reagendo così duramente ed apertamente al diktat della Siae.

 La  quale oggi risponde, a stretto giro, che le immagini utilizzate per il diritto di cronaca, non più di quattro o cinque per articolo, possono esser usate gratuitamente. Riconoscendo a quella utilizzazione  un incentivo alla conoscenza e diffusione dell'arte e di ogni altro bene culturale del nostro paese.

 Abbiamo ricordato altre volte che analoga iniziativa assunse, a metà  anni Novanta, un ministro della cultura, definito da Montanelli il più bravo ministro della cultura italiano che inventò quella tassa infame: Alberto Ronchey. E quelli non bravi che avrebbero potuto fare?

 Comunque è bene quel che finisce bene. La protesta dei giornali è valsa a far tornare sui suoi passi la dirigenza Siae.

 Ma chi è oggi a capo della Siae? Una vecchia volpe come Salvo Nastasi, definito da chi per primo lo chiamò al ministero (Urbani) l'enfant prodige del diritto della pubblica amministrazione. Con tale endorsment, Nastasi è rimasto al ministero, consigliere non sempre disinteressato dei ministri che si sono succeduti, di tutti i colori e di tutte le ignoranze;  e deve certamente aver imparato qualcosa in tanti anni, anche dai consigli di sua madre, dott. Laterza, che  vigila(va), alla Corte dei Conti, proprio sul settore della pubblica amministrazione ed delle relative istituzioni ad esse legate, il medesimo campo per il quale suo figlio faceva il consigliere dei ministri.

 Ora, se non sapessi tutto ciò e se Salvio Nastasi non fosse una mia vecchissima conoscenza, almeno ventennale, mi chiederei: ma che mestiere fa questo Nastasi che sbaglia clamorosamente su una materia che pratica da tempo, al punto da essere costretto, dopo  ventiquattrore dal clamoroso errore, a fare marcia indietro? E che Paese è questo dove nessuno gli chiede: ma chi ti ha dato la patente per guidare la Siae, se hai bisogno di fare una manovra sbagliata prima di guidare bene, tu che per anni hai fatto il gestore di una autorevole scuola guida - tanto per restare nel paragone? 

Teatro alla Scala 3.Sangiuliano & Meloni: ministro fotocopia della premier: bugiardi e meschini

Chi dei due sul gradino più alto del podio per il primato di bugie e meschinità? Meloni o Sangiuliano?  Ambedue sul gradino più alto, perchè mettendo uno dei due su un gradino più basso, si farebbe torto a chi sta, invece, sul gradino più alto del podio che senza il  soccorso del compare no nsi sarebbe meritato.

 Parliamo sempre della Scala. Meyer, sovrintendente alla fine del suo mandato, ha dichiarato, senza reticenze: un ministro mi ha pensionato - il ministro è, ovviamente, Sangiuliano. 

Il quale, bugiardo come la sua datrice di lavoro e modello, afferma che  il provvedimento del Governo di mesi fa sull'età di pensionamento dei sovrintendenti delle Fondazioni liriche, sia  frutto di un adeguamento all'età pensionabile di esponenti ai vertici di altri importanti settori, come l'Università.

 Mentre tutti sanno, Meloni compresa, che quel provvedimento, anticipato da critiche idiote e prive di fondamento al sovrintendente del San Carlo, Lissner, per la sua gestione, lodata invece dal mondo intero, mirava semplicemente ed esclusivamente a liberare quella poltrona per offrirla come ricompensa a Fuortes, che avrebbe lasciato la Rai per far largo ai meloniani doc. 

Come poi siano andate le cose a Napoli è noto, con il ministro ed anche Meloni scornati e spernacchiati. Ed anche sbugiardati: a loro di mettere ordine  nell'età pensionabile dei sovrintendenti non fregava affatto, volevano solo preparare la poltrona per il dimissionario, recalcitrante in principio, Carlo Fuortes. Al quale, alla fine, dopo oltre un anno movimentato, durante il quale ha stazionato sempre davanti al protone di Palazzo Chigi, a mendicare la poltrona/scambio promessa,  ne hanno trovato una, a Firenze.

 Altrettanto pretestuose le considerazioni del ministro: in fondo, Meyer ha governato 5 anni - ha detto - un tempo ragionevole per fare, al termine, le valigie e, consentire alla dirigenza scaligera di  cambiare  attore e registro.

E siccome Sangiulinao e Meloni non si fermano alle bugie ecco che il primo, sull'esempio della sua 'capa/capo', riprende un altro argomento, già usato nei confronti di Scurati, il quale - accusò Meloni - pretendeva di avere dalla Rai, per un intervento di pochi minuti, 1800 Euro, che è lo stipendio di un lavoratore dipendente.

  Chiunque altro avrebbe potuto fare una simile considerazione, qualunque altro cittadino normale, dipendente. Non Giorgia Meloni che da una ventina d'anni circa porta a casa fra i 15.000 e 20.000 Euro mensili, come parlamentare, senza che prima del 2022, abbia mai fatto un tubo, al di fuori della breve parentesi da ministro non memorabile. 

Ma è stata eletta - è la carta  che giocano i politici nei riguardi di chiunque altro, tutte le volte che li si indica come ladri di Stato. Loro lo stipendio, non meritato, se lo sono dati da soli e guai chi lo tocca: e certamente non saranno loro. 

 Sangiuliano, da scolaro ed allievo diligente, riprende l'insegnamento della Meloni e torna sull'argomento con quello che Il Giornale definisce  'pizzicotto', quando dice: ho saputo che a Meyer  viene dato un aumento di compenso. Gli viene dato perchè abbandoni il campo, prima del tempo? No, perchè ha fatto  già sapere che  dirà la data quando riterrà, visto che lui da due anni è vittima del 'tira e molla' della Scala, istigata dal Governo, sulla sua permanenza/ riconferma.

 Allora perchè avrebbe questo bonus economico agitato da Sangiuliano credendo con questo di offendere e tacitare Meyer? Forse era previsto dal suo contratto (lontanissimo da quello principesco di Lissner, e dai compensi suoi e di Giorgia ) in relazione ai risultati ottenuti. E pare, cari Sangiuliano& Meloni, che Meyer  lascia nelle casse della Scala, ben 8 milioni di Euro di attivo, col bilancio 2023 appena approvato.

 A questo punto la VOLGARE MESCHINITA' di Sangiuliano & Meloni va ad aggiungersi alle loro clamorose BUGIE.

L'Espresso settimanale cambia di nuovo direttore. La sua fine sembra segnata ( da Il Riformista)

 


Carelli, nuovo direttore L'Espresso

Non c’è pace per L’Espresso. La rivista settimanale cambia ancora il direttore, con Enrico Bellavia, storica figura dentro la redazione che da febbraio aveva preso la direzione e ora è stato rimosso dall’incarico. Al suo posto arriverà dal 31 maggio Emilio Carelli, già fondatore di Sky Tg24, nonché direttore di TgCom ed ex deputato. Ma la redazione del settimanale ha indetto uno sciopero per protestare contro la decisione dell’azienda.

L’Espresso cambia direttore, redazione in sciopero

“L’Espresso cambia oggi il terzo direttore in meno di un anno. Un fatto grave perché dovuto all’ennesimo tentativo di intromissione dell’azienda sul contenuto degli articoli: tentativo a cui il direttore uscente Enrico Bellavia si è opposto garantendo la storia e la tradizione del nostro giornale. Il numero in edicola venerdì, per merito del lavoro della redazione e del direttore che ringraziamo, rappresenta il nostro modo di fare giornalismo. Una pratica che rischia di essere compromessa“. Il comitato di redazione dell’Espresso rende nota la situazione con un comunicato. “Alla luce di questi fatti, l’assemblea di redazione proclama l’astensione dal lavoro per venerdì 31 maggio e consegna un pacchetto di 5 giorni di sciopero in mano al Cdr. La redazione continuerà a fare ogni sforzo per garantire un giornalismo libero, di qualità e fedele alla tradizione de L’Espresso”, conclude la nota.

Tre donne plasmeranno l'Europa futura, secondo l'Economist ( da Il Giornale, di Pier Francesco Borgia)

 


L'Economist incorona Meloni: "Tre donne plasmeranno l'Ue"

A dare forma alla prossima Europa ci penseranno tre donne. Parola di The Economist. Per il settimanale britannico saranno Ursula von der Leyen, Marine Le Pen e la nostra Giorgia Meloni a dare le carte sul tavolo verde di Bruxelles. Per ragioni e per qualità differenti.

Dell'attuale presidente della Commissione il giornale britannico elogia la duttilità nel suo governare una maggioranza eterogenea, pur riconoscendo che la rielezione è appesa a un filo. Poi c'è Giorgia Meloni. Il settimanale britannico ne esalta il ruolo. Perché proprio la sempre più risicata «maggioranza Ursula» può fare della leader di Fratelli d'Italia il vero asso nella manica della futura maggioranza e della stabilità europea.

Per prima cosa, sottolinea The Economist, la Meloni deve resistere alla tentazione di apparentarsi con Marine Le Pen, il cui Rassemblement national rischia di vincere le prossime elezioni in Franca e, nell'immediato futuro, ottenere un ragguardevole risultato al voto europeo. Non si tratta, tuttavia, di una questione puramente politica. Per il giornale britannico in gioco non è la vittoria dei moderati e dei conservatori «presentabili» al parlamento di Strasburgo. In gioco c'è molto di più. E infatti queste tre donne (Le Pen compresa) sono chiamate a tenere la scena in un momento tra i più difficili della storia del continente dal secondo dopoguerra. Non soltanto per la guerra in Ucraina e per la minaccia rappresentata dalla Russia, ma per l'instabilità dei mercati condizionati pesantemente dai protezionismi dei nostri concorrenti.

Von der Leyen e Meloni hanno sicuramente le qualità necessarie per prendere il toro per le corna. E hanno già dimostrato, con la crisi dei flussi migratori incontrollati dal Nord Africa di saper fare un buon gioco di squadra. «La signora »Meloni sicuramente ha opinioni e qualità discutibili. Purtuttavia - scrive il giornale inglese - sarebbe miope per chiunque rinunciare alla sua collaborazione». Insomma il «fattore-Meloni» potrebbe essere quello dominante nel prossimo governo dell'Unione europea. E proprio sulla questione dell'Ucraina The Economist ricorda che, a differenza di alcuni suoi alleati e di alcuni partiti dell'opposizione, la posizione della Meloni in difesa di Kiev è sempre stata granitica: un esempio per tutti, non solo in Italia.

L'instabilità dello scenario internazionale, la presenza di due conflitti a poca distanza dal centro dell'Europa e la conseguente instabilità dei mercati rende problematico lasciar gestire la Ue a partiti populisti. Secondo il giornale britannico Meloni e von der Leyen hanno i numeri per riuscire a governare da un lato la matassa imbrogliata dell'instabilità internazionale e dall'altro di fare da argine alla montante marea populista. «La questione non è più se i populisti possano o no essere tenuti a bada - conclude il giornale inglese -. La questione è come gestire la loro crescita La Meloni per adesso nasconde le sue carte ma sarebbe davvero strano che qualcuno come lei più attenta alla concretezza che agli atteggiamenti si autoconfinasse ai margini dell'Europa che conta». D'altronde la stessa Meloni ha detto appena due giorni fa nel corso di una vide-intervista che non vuole un'Europa più debole. «L'Europa che si occupa di tutto finisce per occuparsi di niente - spiega -. Semmai serve un'Europa più forte concentrata sui grandi temi della difesa comune, gli approvvigionamenti energetici, il mercato interno e il controllo dei flussi migratori».

giovedì 30 maggio 2024

Elaborazione dati Auditel della TV IN ITALIA. Per Rai 2 e Rai 3 stagione nera. Intanto il TG 2 cambia studio e sigla (Il Sole 24 Ore, di Andrea Biondi)

 


Tv, stagione nera per Rai 3 e Rai 2

A voler tirare le somme della stagione televisiva 2023-2024, che sabato prossimo chiuderà i battenti, i dati finiscono per registrare appieno lo scossone seguito ai movimenti di talent da una rete all’altra. E la Rai 3 orfana di Fabio Fazio e Bianca Berlinguer in prima serata non può che mettere agli atti il sorpasso da parte di Italia 1 diventata terza rete (con Rai 3 quarta), così come Rai 2, sempre in prime time, si vede sorpassata da La7 (diventata quinta rete con Rai 2 sesta).

È agrodolce per la Tv pubblica – che comunque si gode il primato di Rai 1 come canale più visto e il suo essere editore leader in prima serata – il retrogusto dei dati sugli ascolti della stagione televisiva che sta per chiudersi, stando ai dati Auditel elaborati per Il Sole 24 Ore dallo Studio Frasi.

Numeri dai quali, in generale, traspare, anche se meno di quanto ci si potesse aspettare, il trend di cambiamento delle abitudini di consumo del mezzo televisivo da parte degli utenti. Gli spettatori complessivi rimangono, infatti, sopra i 20 milioni medi in prima serata e sopra gli otto milioni nella media dell’intera giornata, con un calo di presenze inferiore all’uno per cento rispetto alla stagione precedente. Il consumo extra di televisione, il cosiddetto “non riconosciuto” che comprende streaming, ma anche gaming e piattaforme web (alla Youtube per intendersi) sale, dall’altra parte, meno delle attese e raggiunge il +2% in prime time e il +3% nel giorno medio.

«In sintesi – spiega Francesco Siliato, media analyst dello Studio Frasi – i pubblici televisivi sono aumentati e ringiovaniti grazie alle piattaforme. L’età media della Tv tradizionale rimane infatti a sessant’anni, ma è di 42 anni sul “non riconosciuto”». In questo quadro, ricorda sempre Siliato, «il Contratto di servizio 2023-2028 assegna al servizio pubblico il difficile compito di ringiovanirsi e di diventare una Digital media company. È un obiettivo ambizioso perché oggi le persone che seguono la Rai hanno un’età media di 64 anni, contro i 58 dei pubblici Mediaset, i 55 anni di chi segue Sky e i 53 anni di chi segue i canali di Warner Bros. Discovery».

È sempre il contratto di servizio Rai al comma 10 dell’articolo 15 a riportare che «in coerenza con l’obiettivo di facilitare l’introduzione di nuovi servizi di distribuzione televisiva rivolti all’utenza mobile e nomadica, la Rai sperimenterà lo standard 5G broadcast, con particolare riguardo alla copertura di aree metropolitane ad alto traffico IP». Insomma, segnale 5G anche per favorire la visione sui device sui quali, almeno stando alle abitudini dei più giovani, potrebbe spostarsi il consumo di Tv.

Se ne parlerà non prima del 2026. Il presente è invece fatto di dati che consegnano agli atti una stagione televisiva che vede Mediaset aggiudicarsi il primato complessivo dell’intera giornata (37,69% di share; -0,72%) davanti alla Rai (36,91% di share; -4,7%). Va detto – e l’argomento è usatissimo da Viale Mazzini – che nel primo caso i canali compresi nel novero sono 16, mentre per la Rai sono 13. Ma così era anche lo scorso anno quando il servizio pubblico prevaleva.

Prendendo i soli generalisti nel giorno medio Rai è quindi prima (30,6%) anche se in calo del 4,9% e Mediaset segue (26,5%; -1,4%). Le reti digitali del Biscione sono così all’11,17% di share (+0,84%), seguite da Warner Bros. Discovery (8,86% di share; +13,76%); Sky (7,25% di share; +2,81%); digitali Rai (6,32% di share; -4,02%) e La7 (4,15% di share; +4,5%). In prime time l’editore leader è Rai (37,62% di share; -4,8%), seguito da Mediaset (36,83%; -3,24%); Warner Bros. Discovery (8,67% di share e boom del +22,3%); Sky (7,3%; +0,94%); La7 (5,92% e +14,48%). Spostando il discorso sulle reti, in prima serata (la fascia nobile, anche per gli investimenti pubblicitari), svuotata di importanti punti di forza Rai 3 perde tra una stagione e l’altra il 19,8% del proprio pubblico e registra il peggior calo d’ascolto di tutte le reti (-277mila spettatori). Rai 2 (-84mila persone) vede il proprio pubblico scemare dell’8,7% con calo di quota secondo solo a quanto di Rai 3. Anche Canale 5 perde spettatori e Rai 1 invece ne guadagna. Alla fine (si veda anche grafico in alto) a primeggiare è Rai1 (4,44 milioni di audience media; +1,19%) seguita da Canale 5 (3,18 milioni; -6,63%); Italia 1 (1,21 milioni; +5,74%); Rai 3 (1,12 milioni; -19,84%); La7 (1,09 milioni; +14,32%); Rai 2 (877mila; -8,74%); Rete 4 (866mila; -2%); Nove (670mila; +49,04%); Tv8 (490mila; -3%) e Iris (351mila; -11,13%) del gruppo Mediaset a chiudere la top ten.

Infine sul fronte digitale le elaborazioni dello Studio Frasi assegnano a Mediaset il 37,9% del tempo speso e il 48,8% delle connessioni sui loro canali. Il servizio pubblico registra il 30,7% di tempo e il 18,5% di connessioni.