mercoledì 7 giugno 2023

Son tornate le Province. La destra semplificatrice le rivuole. Ci sono in ballo 3000 posti da regalare ai fedelissimi ( da Il Riformista, di Claudia Fusani)

 Tremate, tremate, le province son tornate. Con sedici articoli son resuscitate

Anche la data non è stata casuale: il 2 giugno, festa della Repubblica e, nella storia parlamentare, della resurrezione delle Province. Ebbene sì, non è un refuso di stampa bensì il contenuto del disegno di legge licenziato il 2 giugno dal Comitato ristretto della Commissione Affari costituzionali del Senato che in sedici articoli e quattordici pagine resuscita le Province.

“Nuova disciplina in materia di funzioni fondamentali, organi di governo e sistema elettorale delle Province e delle Città Metropolitane e altre disposizioni relative agli enti locali” si legge in testa al documento. Che è stato incardinato in Commissione e la prossima settimana comincerà l’iter al Senato. Un iter che si presuppone veloce visto che le audizioni sono già state fatte. Nel testo si parla di circa tremila amministratori in più, di maggiori oneri per il bilancio dello Stato stimati in 225 milioni di euro, il tutto a decorrere dal 2024. Anche questa data non è casuale: il prossimo anno infatti saranno dieci anni esatti da quando la riforma Delrio sotto il governo Renzi (2014) abolì le Province, il primo vero atto di semplificazione della barocca macchina dello stato poi interrotto nel 2016 con il No al referendum e doveva riscrivere la Carta e riformare il Paese.

Cominciamo col dire che si tratta di un disegno di legge delle destre, contrari Pd, 5 Stelle e Italia viva, incerta Azione dove l’ex ministra Carfagna è ad esempio favorevole mentre Gelmini assai meno. Le destre vogliono quindi il ritorno delle Province e, in base alla bozza del ddl, si capisce che quello che interessa non sono soldi e funzioni delle Province su cui ci sarebbe già ora molto da lavorare (e nel testo è una delega in bianco al governo), ma quei tremila posti elettivi che visti così, nudi e crudi e messi su questi fogli, assomigliano ad altrettanti posti utili da assegnare ai fedelissimi per aumentare il consenso locale. Strapuntini utilizzati come esche per nuovi signori delle tessere o ricompense per chi è rimasto fuori, ad esempio, dal Parlamento o dallo spoil system delle partecipate. E visto che si parla del prossimo anno, anche dalle Europee. La casta ha tagliato trecento parlamentari e si ricompensa con tremila posti nelle Province.

Il testo base ha unificato i nove testi presentati dai diversi gruppi, anche Pd, ma accoglie solo le proposte della destra. “Finalmente si supera la legge Delrio e restituiremo ai cittadini la possibilità di esprimere di nuovo la propria scelta sui rappresentanti” ha spiegato Marco Silvestroni, senatore di Fdi e segretario di Presidenza a Palazzo Madama. “Le Province sono enti di prossimità con i quali i cittadini devono poter interloquire e devono dunque poter scegliere direttamente, in questo modo ripristineremo un pezzo di democrazia purtroppo abolito. L’elezione diretta dei presidenti delle province, dei sindaci metropolitani e dei componenti dei consigli provinciali e metropolitani ridà voce agli elettori”.

La Commissione Affari costituzionali è presieduta da un fedelissimo Fratello d’Italia, il senatore Alberto Balboni, e la maggioranza ha numeri tali da far immaginare un iter relativamente semplice. I consigli provinciali andranno da un minimo di 20 componenti per le realtà più piccole ad un massimo di trenta. Le giunte variano da quattro a sei componenti. Tutti eletti. Per l’elezione del Presidente della provincia il ballottaggio ci sarà solo se nessuno dei due candidati più votati al primo turno ha superato il 40%. Una norma questa che le destre vorrebbero estendere anche ai sindaci.

Quello che il testo unico adottato non dice è che l’ex ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e l’ex sottosegretario con delega agli enti locali Ivan Scalfarotto (Iv) avevano già riscritto l’ordinamento delle Province. Il testo aveva trovato l’accordo di tutte le forze politiche, tranne Fratelli d’Italia, era stato valutato positivamente dall’allora sottosegretario alla Presidenza Roberto Garofoli e non è stato approvato dal Cdm solo perché il governo Draghi è stato mandato a casa. Quel testo faceva ciò che era necessario fare e riempiva dei vuoti di funzionamento oggettivi. “Le Province oggi funzionano perchè i Presidenti sono tutti già sindaci e amministratori, non devono essere eletti e quindi sono svincolati dal consenso e quando si riuniscono sanno cosa fare e come. Non perdono tempo” spiega Scalfarotto.

“La nostra proposta consisteva nel dare loro un minimo di struttura, quattro, cinque persone, competenze chiare e fondi per sostenerle”. L’attuale testo invece è un colpo di spugna su tutto. “Non fa l’unica cosa che andava fatta – spiega la senatrice Valente del Pd – specificare le funzioni e le risorse. In questo modo saremmo stati d’accordo anche noi. Il Ddl così com’è e serve solo a distribuire strapuntini a chi è rimasto senza o deve essere ricompensato di qualcosa”.

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