venerdì 9 giugno 2023

Italia. Gran Teatro Mattioli

Devo spiegarmi.  Conosco, non di persona (questo conta poco) Mattioli da molto tempo, tant'è che  negli anni in cui dirigevo Music@, bimestrale edito dal Conservatorio Casella (che è durato giusto il tempo della mia direzione, 2006-2013, poi sostituito da quell'aborto di Musica+ - una sorta di giornalino aziendale che, a causa della sua inutilità è finito miseramente dopo pochi anni, e con usciste saltuarie), gli chiesi di collaborare e la sua risposta fu che già collaborava ad una altra rivista.

 Se gli chiesi allora di collaborare vuol dire che mi piaceva come scriveva e prima  ancora  quel che scriveva. E adesso? Adesso meno. 

L'ho visto, prezzemolino ammiratissimo in tv, alla Scala, da Vespa, e in studio da Augias, essere ascoltato a bocca aperta dai due conduttori, neofiti l'uno e l'altro, i quali  davanti ad uno che sa tante cose in un campo che non è il loro, come la musica - lo ripetiamo e lo ripeteremo sempre,  sia per Vespa che per Augias - vanno in brodo di giuggiole.

 Adesso perchè meno? Tanto per fare l'ultimo esempio, nel documentario di Augias, 'Callas Segreta', Mattioli, che sa di musica, non ha detto neanche una parola,  che avrebbe dovuto dire, sui veri scopritori della Callas in Italia dopo il suo esordio all'Arena con Gioconda di Ponchielli. E cioè di Tullio Serafin e Francesco Siciliani che ci raccontò la storia. Serafin la dirige, chiama Siciliani e gli parla della cantante greca; la ascoltano insieme e la preparano alla sua carriera vera.

 Adesso,  leggo su Repubblica, la presentazione del nuovo libro di Mattioli, dal titolo 'Gran Teatro Italia' (edito da Garzanti), e ne ascolto in tv, insieme a Zanchini , presente l'autore, una seconda presentazione, a distanza di qualche ora dalla prima. L'atmosfera è sempre ed ancora quella: Augias estasiato di fronte a Mattioli che sa tante cose sui teatri ( del resto credo abbia superato quota 1500 serate passate in teatro), e lui nessuna; e così vado in libreria e compro il libro di Mattioli. Lo leggo in un paio di pomeriggi, con intervallo sanificatore, e l'impressione che ne ricavo è quella di chi disteso al sole, occhi chiusi,  mentre si gode la pennichella, si becca all'improvviso una secchiata d'acqua  rovesciatagli addosso da qualche birboncello amante di scherzetti. Una vera secchiata d'acqua che ti bagna tutto in un attimo, ma che dopo qualche secondo  sei già di nuovo al punto di prima, asciutto.

 Mattioli ed il suo libro sono quella secchiata d'acqua operistica e teatrale.

 L'assunto da cui parte, e cioè che il teatro è la piazza, la cattedrale,  il municipio ecc...  è condivisibile al mille per mille, ma poi la  miriade di storie (ed anche di storia, in alcuni casi, vedi Napoli , i Borboni ed il San Carlo) è eccessiva perchè possa restarne traccia nel lettore, che magari come me, i fatti salienti della storia del teatro musicale li conosce abbastanza bene e, in qualche caso, di teatri  e di storie ne conosce più d'una,  ma che non è equipaggiato per difendersi da una valanga di parole e cronache.

 Dopo aver letto le prime pagine, il nome del suo predecessore più illustre - che Mattioli stesso non esita a citare, per dovere - è quello di Giorgio Gualerzi che sul melodramma ed il relativo mondo, era come un juke-box, bastava inserire la monetina e partiva. Dopo un pò dovevi fermarlo, perchè non ce la facevi a stargli appresso, ti stremava. 

Della stessa pasta era fatto anche un nostro collaboratore di un tempo Piero Rattalino, che per  il pianoforte era ciò che era Gualerzi per l'opera. Memorabile nella mia memoria una sua conferenza dottissima e ricchissima in un palazzo nobiliare dell'Umbria, ad Acquasparta, invitato da Elio Battaglia, che però non tardava a finire, nonostante tutto il pubblico, me compreso, fossimo stremati.

 (Il libro, però, ha un enorme vantaggio sulla conferenza: quando ti sei rotto, lo chiudi e magari lo riprendi il giorno dopo, ed anche mai più; davanti a Rattalino non sta bene abbandonare la sala).

 Mattioli è così. Il giro d'Italia, di teatro in teatro, gli permette di raccontare dei luoghi, degli interpreti, del pubblico ed anche di sè stesso, facendo a attenzione a non commettere gli errori tipici di un novellino: primo di questo errori da evitare è il panegirico della Scala. Un cronista di musica che vuol farsi rispettare deve sparare a zero contro la Scala. E promuovere un teatro sconosciuto ai più ma che alla Scala dà lezioni, secondo il critico illustre. Come , per Mattioli, il teatro Municipale di Piacenza, retto da Cristina Ferrari, dove lui ci ha lavorato e dunque merita la promozione. 

Giacchè ci siamo, voglio dire, anche a Mattioli, che Cristina Ferrari, dirige teatri non da ora, e che quando era approdata al Nuovo Carlo Felice di Genova - e io la conoscevamo da prima - le feci una lunga intervista per Music@, dubito che allora Mattioli abbia scritto di Lei.

 E temo che ora che fa il suggeritore del saltimbanco regista Francesco  Micheli, a Bergamo, alla prima ristampa aggiungerà un capitolo anche sul Teatro Donizetti, dove si accinge, da librettista (attività che svolge in mezzadria con quella di cronista) a debuttare nel nome della Raffa nazionale.

Mattioli ha scritto, ed Augias ciecamente  ha ripreso nella sua presentazione scritta, che il meglio dei teatri italiani, quanto a pubblico competente, è quello di Palermo, del  Teatro Massimo, dove ancora la nobiltà non decaduta fa sfoggio eleganza, competenza ed accoglienza.

 Curiosità per curiosità, ma fuori dal Massimo che era allora chiuso, convengo con Mattioli. Non dimenticherò mai la quindicina di giorni passati a Palermo nell'estate del 1990, per la conclusiva realizzazione di un mio progetto, in un famoso anniversario mozartiano. Risiedevo nel centralissimo Hotel delle Palme che profumava ancora di Wagner, e purtroppo anche di puzzo di mafia, in compagnia di Paul Badura-Skoda che avevo coinvolto nel progetto  finanziato dal Cidim- Ismez.  In quei giorni, dopo le normali sessioni nel Conservatorio, avemmo, io e Paul, modo di visitare Monreale, e, in  meravigliosa compagnia di Roberto Pagano, a Cefalù, quel  minuscolo ma prezioso Museo Mandralisca dove è conservato l'impressionante ritratto 'di marinaio' di Antonello da Messina. A Palermo organizzarono per noi una cena in un  incantevole parco, annesso al Circolo dei Nobili, a testimoniare come il sangue non è acqua e come  la nobiltà vera resiste al tempo e alle mode. Convengo perciò con Mattioli.

Naturalmente Mattioli ha cura di citare tutti quelli che nell'odierno panorama operistico  italiano contano, per tutti gli altri non c'è motivo, salvo che in pochissimi casi dove dà spazio a due o tre sue amichette degli uffici stampa che, in cambio di cortesie, si sono meritate la inutile citazione.

Dunque, per non tirarla io troppo per le lunghe, che  Mattioli, invece, in prima persona sa fare,  e benissimo, voglio dirvi che se avete tempo leggetevelo, ci sono tante cosette che lui conosce e sa raccontare, anche di sè; ma non tutto d'un fiato, perchè in quel caso non ve ne resterà traccia nella memoria. Mentre  Mattioli, a viva voce, continuerà  a parlarne ogni volta che i Vespa e gli Augias, lo interpelleranno: dai, Alberto, racconta di quella volta che...



 

Nessun commento:

Posta un commento