Nel corso di una lunga vita ho avuto l’opportunità di rappresentare per quattro anni in qualità di membro effettivo, il governo italiano nel Comitato di protezione sociale della Ue, alla diretta dipendenza del Consiglio. Si trattò di un’esperienza molto interessante che mi diede modo di arricchire – tramite il benchmarking degli ordinamenti degli altri Paesi – la mia conoscenza delle materia di cui mi occupo da cinquant’anni nei diversi incarichi ricoperti e come attività di studio personale. Peraltro, oltre alle riunione periodiche del Comitato a Bruxelles, i governi che avevano il turno di presidenza organizzavano delle iniziative di approfondimento sui vari temi di competenza della Comitato, partecipando alle quali ho avuto la possibilità di visitare città e località di Europa che non conoscevo. Quell’esperienza, tuttavia, venne funestata da un handicap: la barriera della lingua. Quasi tutti i colleghi degli altri Paesi parlavano inglese. Io a scuola avevo studiato il francese che – ai miei tempi - si riteneva l’idioma parlato in tutto il mondo. Ricordo che al liceo metà della mia classe frequentava il corso di spagnolo. Noi - dediti al francese – li consideravano degli studenti di serie B.
Oggi quella lingua è parlata da centinaia di milioni di persone, mentre il francese non è più un linguaggio di élite. Avevo provato a prendere lezioni di lingua inglese ma con scarso successo. Capitava allora che, in giro per l’Europa, riuscivo a cavarmela quando c’era la traduzione simultanea nelle riunioni ufficiali; ma nei colloqui informali che seguivano, quando qualcuno mi rivolgeva la parola – ovviamente in inglese – io non capivo e non ero in grado di rispondere; mi limitavo a chiedere se il mio interlocutore parlasse francese ricevendo quasi sempre una risposta negativa. Ricordo che un giorno, poco dopo l’allargamento a Est, nella pausa pranzo, mi trovai a tavola con il rappresentante ungherese, il quale parlava un ottimo inglese. Aveva pressappoco la mia età e pertanto, a scuola ai suoi tempi, si studiava il russo. Glielo feci notare, chiedendo come avesse potuto imparare anche l’inglese. Il collega mi rispose che non aveva studiato solo il russo, ma anche l’inglese. Mi sono portato appresso quel trauma linguistico che per anni mi ha creato un notevole imbarazzo. Così ora che sono nonno mi compiaccio per mio nipote che, già in prima elementare, si misura con la lingua del mio ‘’scontento’’. Perché ho raccontato questa storia che non interessa a nessuno? Per spiegare quel misto di sorpresa, indignazione e ilarità che mi ha colto quando ho letto il pdl a prima firma Fabio Rampelli (vice presidente della Camera) seguito da una ventina di deputati di FdI, nel quale vengono messe al bando le lingue straniere nei rapporti tra italiani. Queste sono le nuove disposizioni per la ‘’difesa della lingua’’. L’italiano è obbligatorio per la fruizione di beni e servizi e per la trasmissione di qualsiasi comunicazione pubblica. Vi è l’obbligo di utilizzare strumenti di traduzione o interpreti per ogni manifestazione o conferenza che si svolga sul territorio del Paese. E’ vietato usare sigle o denominazioni straniere per ruoli in azienda, a meno che non possano essere tradotte. Deve essere utilizzata la lingua italiana nei contratti di lavoro. Nelle scuole e nelle università i corsi in lingua straniera sono tollerati solo se giustificati dalla presenza di studenti stranieri. Questo proibizionismo viene giustificato perché quasi 9.000 sono gli anglicismi attualmente presenti nel dizionario della Treccani su circa 800.000 parole in lingua italiana.
Per chi contravviene a queste disposizioni sono previste sanzioni pecuniarie rilevanti. Tralasciamo di chiedere a Rampelli quando mai gli è capitato di vedere una legge o un documento ufficiale scritto in inglese, se non quando una definizione in questa lingua la si è voluta attribuire ad un ministero (del made in Italy). Ma sono convinto che, prima o poi, qualcuno spiegherà che l’on. Rampelli – anche non sembra dall’aspetto – è una persona di spirito (quasi un umorista) che ha voluto regalare ai suoi connazionali un gigantesco ‘’pesce d’aprile’’. Certo, è discutibile scomodare i bollettini ufficiali della Camera per fare uno scherzo, dissipando dei soldi del contribuente per la carta e la stampa. Ma un po’ di tolleranza è necessaria: se alcuni ‘’spacciano’’ i figli, altri potranno pure ‘’spacciare’’ i progetti di legge. Se invece Fabio Rampelli e i cofirmatari fanno sul serio, un tempo si sarebbe detto che ‘’una risata vi seppellirà’’. Oggi, purtroppo, non ne siamo più tanto sicuri. Almeno la Lega delle prime armi intendeva salvaguardare i dialetti: tutti ricordano i cartelli stradali con la duplice scritta in italiano e in lumbard. In fondo c’era il vezzo culturale di salvaguardare idiomi antichi di secoli che stavano scomparendo. Ma l’italiano non corre quei pericoli che invece corrono gli italiani: rimanere degli analfabeti nei confronti della ‘’lingua del mondo’’ che per ora (anche per i cinesi) è l’inglese: il latino del mondo di oggi. A parte il fatto che i romani colti parlavano il greco. Quando Cesare varcò il Rubicone la celebre frase ‘’il dado è tratto’’ la disse in greco.
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