Superato il settimo centenario della morte, proseguono con vigore le riflessioni su Dante Alighieri, come quelle di Luciano Canfora su Dante e la libertà (Solferino editore), dove emerge che tutto il viaggio ultraterreno dell’Alighieri è alla ricerca della libertà "ch’è sì cara", che definisce anche "innata libertade", concessa da Dio alle persone nella creazione.
Nell’Inferno, XXVI canto, quello dell’invettiva contro Firenze e del racconto di Ulisse, Dante esplicita che gli uomini "fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza", cioè per perseguire razionalmente le virtù intellettuali e morali.
L’Alighieri dedica un intero canto del Paradiso, il sesto, mettendo in bocca all’imperatore romano d’oriente Giustiniano le sue convinzioni civili. Si tratta di un caso unico nella Divina Commedia, poiché il Giustiniano di Dante parla dall’inizio alla fine del canto ed è l’interlocutore incontrato dal Poeta nelle tre cantiche a cui dà più spazio.
Emerge l’elogio del Giustiniano codificatore del diritto romano classico che semplificò, togliendo "il troppo e ‘l vano". Tutto il viaggio ultraterreno di Dante, scritto dall’esule fiorentino sofferente per l’ingiusta pena che subiva, è una ricerca di libertà che culmina nel XXXI canto del Paradiso, nel commiato di Dante da Beatrice nell’Empireo: "Tu m’hai di servo tratto a libertate", frequentemente interpretato come servitù del peccato e libertà come purezza dello spirito, ma forse da leggere più ampiamente, poiché la Commedia è un compendio complesso di regole religiose e civili, distinte ma spesso intrecciate.
Così, quando Virgilio si congeda da Dante, non potendo accompagnarlo anche in Paradiso, gli indica (XXVII del Purgatorio) che "libero, dritto e sano è il tuo arbitrio", insomma fa l’apologia del libero arbitrio, sintesi di libertà e responsabilità.
Nel 1965, settimo centenario della nascita del Poeta, Papa Paolo VI cancellò moralmente la condanna a Dante facendo posare nel Battistero di Firenze una corona aurea su una copia della Commedia, proprio nel "bel San Giovanni" dove l’Alighieri sognò invano di essere incoronato come Poeta.
Nei suoi ultimi anni di esilio, a Ravenna, Dante scrisse il Paradiso ed inevitabilmente pensò intensamente a Giustiniano nelle sue visite alla Basilica di San Vitale che allora aveva già sette secoli. Dante, forse ricordando i mosaici tardo bizantini del Battistero della sua Firenze, entrò nella Basilica ravennate dall’antico ingresso che immediatamente inquadra l’abside con al centro il Cristo assiso sul Globo. Il Poeta inevitabilmente proseguì attratto dai già allora antichi mosaici e si soffermò sul rarissimo caso di una Chiesa dove convivono l’iconografia religiosa e i cortei civili degli imperatori Giustiniano e Teodora.
Probabilmente Dante si fermò ad osservare questa originalissima complementarietà che gli fornì ispirazione anche per il suo inno a Giustiniano e alla libertà.
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