domenica 30 settembre 2018

Il sabato del villaggio di Giovanni Valentini ( da IL FATTO QUOTIDIANO)


29.9.2018 - "Non è mai una buona cosa mettersi contro la stampa" (da "Luci nella notte" di Georges Simenon - Adelphi, 2005 - pag. 164). È vero che gli Ordini professionali derivano dalle corporazioni e che fu il fascismo a introdurli per alcune categorie, con la legge n. 897 del 1938. Ed è anche vero, come ha già ricordato nei giorni scorsi il direttore Marco Travaglio, che la loro abolizione è stata sostenuta da un grande liberale come Luigi Einaudi, oltre che dai radicali di Marco Pannella ed Emma Bonino. Ma ciò non toglie che "stralciare" l' Ordine dei giornalisti, istituito nel 1963, rappresenta - anche al di là delle intenzioni - un segnale preoccupante contro il diritto all'informazione che riguarda tutti i cittadini. Un avvertimento, una ritorsione o una rappresaglia, nei confronti di quel corpo intermedio o "quarto potere" a cui in ogni democrazia spetta il compito di controllare i poteri costituiti: quello legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario.  Il sistema editoriale italiano, come abbiamo scritto più volte in passato, non è esente nel suo complesso da vizi, limiti e difetti: a cominciare dalla progressiva estinzione del cosiddetto "editore puro", cioè l'editore per mestiere e passione civile che non ha interessi estranei da tutelare, né industriali né economici o finanziari. E la stampa, per dire i giornali, le televisioni, le radio e ora anche i siti online, non è certamente immune da peccati, colpe e omissioni. Ma resta il fatto che nessun Paese democratico può farne a meno né può fare a meno dei giornalisti, buoni o cattivi che siano.  Cominciare proprio dall' abolizione del loro Ordine professionale, dunque, equivale a intimidire un' intera categoria, a soffocarne l'autonomia e l' indipendenza, esponendola ancor più alla pressione degli editori. Significa smantellare una funzione fondamentale per la difesa della democrazia. Al di fuori di una riforma organica di tutti gli Ordini - quello dei medici, degli avvocati, degli ingegneri, degli architetti e così via - diventa un attacco alla libertà d' informazione, d' opinione e anche di critica, garantita dall' articolo 21 della Costituzione.  Lo stesso Einaudi, pur essendo favorevole all' abolizione, diceva: "Gli Ordini possono anche rimanere per quelli che intendono iscriversi, l' importante è che venga eliminata l' obbligatorietà dell' iscrizione ai fini dell' esercizio professionale". Ed è proprio questo il punto. Un conto è abolire l' iscrizione obbligatoria, come ipotizzava Einaudi, un altro conto è abolire un organo di autodisciplina che regola il comportamento dei suoi iscritti nell'esercizio delle loro funzioni, a tutela dei cittadini lettori e telespettatori, titolari del diritto all' informazione. E in quanto tale, funziona anche da deterrente in forza delle sue carte deontologiche, sulla privacy, sui diritti dei minori e dei malati.  Chi ormai ha quasi cinquant' anni di mestiere alle spalle può dire onestamente che il nostro giornalismo non sarebbe migliore senza l' Ordine professionale. Tanto più nell' era delle fake news, diffuse dalla comunicazione digitale all'insegna della post-verità: un genere di notizie false, propalate deliberatamente a fini di disinformazione, che non hanno nulla a che vedere con quelle inesatte, imprecise o scorrette dei giornali o delle televisioni. Tutto ciò non esclude che, insieme agli altri Ordini professionali, anche il nostro venga riformato o abolito, senza intenti intimidatori o persecutori. Se si indebolisce la libertà di stampa, si mettono a rischio tutte le altre libertà.







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