Miseria e Nobiltà, la celebre commedia di Scarpetta, che ebbe addirittura tre versioni cinematografiche ed una con Totò, sarà la nuova opera di Marco Tutino, commissionatagli dal Carlo Felice di Genova. E mentre lui lavora a questa, a Cagliari, in novembre andrà in scena Le due donne ( titolo americano), ovvero, La ciociara (Moravia), andata in scena a San Francisco, coprodotta dal Regio di Torino, che poi non l'ha più messa in scena, ed ora approdata a Cagliari, nel Teatro di Orazi e Meli.
L'abbiamo scritto altre volte di come Tutino, buon secondo, faccia il paio con Battistelli che sul cinema di successo s'è avventato come un'aquila rapace quando avvista la sua preda. E, infatti, nel suo catalogo d'opera, più numerosi che in quello di Tutino, che comunque si difende, compaiono titoli notissimi al pubblico di teatro e cinema.
Non più tardi di un paio di stagioni fa, Battistelli ha presentato Il medico dei pazzi, dell'ora anche 'tutiniano' Scarpetta, sia all'estero che in Italia, alla Fenice. Non sappiamo ancora se gli ultimi due titoli del suo già lungo catalogo d'opera, e cioè CO2 e Le figlie di Lot, possano realmente rappresentare una svolta, senza ritorno.
Ci sono ragioni per questo accanimento operistico nei confronti del teatro e del cinema, almeno in alcuni compositori? Sicuramente ve ne sono, perché trovare una storia già 'sceneggiata' e che ha superato la prova del palcoscenico o del grande schermo è come una manna dal cielo per un musicista. E' come scommettere sul sicuro, anche se, a lungo andare, ricorrere sempre alla stessa duplice fonte, può stancare o indurre sospetti di poca fantasia ed invenzione.
Del resto, le alternative in circolazione non sono poi tante. Una delle tante, e recenti, è stata forse l'opera con cui La Fenice ha inaugurato la passata stagione, e cioè Aquagranda di Perocco, che si è rifatta ad uno dei tanti episodi di acqua alta - quella cui fa riferimento l'opera di Perocco, di cinquant'anni fa, fu particolarmente alta - cui ha dato una mano per la riuscita, la immaginifica regia di Michieletto. L'altro appiglio preferito, negli ultimi tempi, la cronaca, specie quella nera, nerissima (pensiamo ai naufragi dei migranti, alle esplosioni atomiche e via distruggendo). Chi ha paura di misurarsi con l'opera, che ha esigenze di vario genere, dall'argomento, al libretto ( oggi di complicata gestazione) ai personaggi, alla durata, al peso economico che la rappresentazione comporta, si attacca a queste operazioni di sicuro impatto, oppure opta per quelle cosette che chiamano in gergo 'melologhi', ma che in realtà melologhi veri e propri non sono (pensiamo, ad esempio, alla compositrice Colasanti, che in questi ultimi anni, ne produce almeno un paio a stagione, nella terra d'Umbria: anche quest'anno per Spoleto e per la Sagra, in coppia con una nota poetessa con la quale sembra fare coppia fissa, divenendo la sua 'Da Ponte', e che lei sfrutta anche come recitante, il che aggiunge altro valore al lavoro).
Perchè pensiamo che melologhi veri e propri non siano? Perchè ci sembrano l'equivalente, preorganizzato, della prassi assai comune che vede un attore che sta per recitare un testo, domandare ad un musicista di 'fargli sotto due note', senza disturbare troppo. nel caso dei melologhi cosiddetti nostrani, magari la musica deve disturbare, per mostrare che esiste.
Ci sono naturalmente anche musicisti, come Sciarrino, che di opere ne scrivono in continuazione, senza magari appoggiarsi a storie vere e proprie, alle quali tuttavia fanno riferimento come pretesto ( pensiamo a Luci mie traditrici ( Gesualdo da Venosa) o alla prossima opera per la Scala, che discende dalla storia tragica di un altro celebre musicista (Stradella), oppure a testi letterari (La porta della legge da Kafka) ecc...
In tutto questo fiorire di opere musicali per il teatro, sorprende che proprio il Teatro dell'Opera di Roma, che da anni, per bocca del suo acuto sovrintendente, va predicando che senza opera 'contemporanea' il melodramma non può esistere, non bastando la tradizione ottocentesca, e che missione di un grande teatro d'opera è anche quella di battezzarne regolarmente di nuove; sorprende dicevamo che proprio in quel teatro - che aveva anche un direttore artistico ad hoc, Battistelli, ora dimesso - di opere nuove non se ne rappresentino ( ve ne è addirittura una, Un romano a Marte, di Montalti-Compagno, che ha vinto un concorso di composizione e che attende ormai da qualche stagione che il teatro mantenga l'impegno di rappresentarla) contentandosi egli, Fuortes, di supplirvi con registi d'avanguardia, che sicuramente possono contribuire al successo di un'opera ( come Michieletto ha dimostrato a Venezia) ma che non possono costituirvi la ragione fondamentale, che è e resta la musica, anche più della storia, sebbene si sappia che la musica in palcoscenico, di questi tempi, ha qualche problema.
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