Valerio Cappelli appartiene a quel gruppo ristrettissimo (già, chi altro c'è?) di bravi cronisti prestato allo spettacolo, musica e cinema soprattutto. Che negli ultimi anni ha deciso di saltare lo spartitraffico per andare dall'altra parte della carreggiata, con una manovra spericolata, non vietata ma rischiosissima sì: con Mario Sesti ha firmato ben quattro spettacoli teatrali, andati in scena in teatri e festival fra i quali egli solitamente si muove a bordo della fuoriserie del Corrierone.
Non è certamente l'unico, anche nel suo giornale: prima di lui la stessa strada l'ha percorsa Emilia Costantini già autrice di un paio di fortunati romanzi e di qualche spettacolo teatrale.
Premetto che a nessuno può vietarsi di effettuare una manovra pericolosa, con tutti i rischi che essa comporta, anche se, col tempo, le conseguenze di simili 'testacoda' posso rivelarsi non indolori, diciamo così.
E veniamo al 'caso' Cappelli, che oggi sul Corriere punta dritto con la sua fuoriserie contro la gestione Ferrara del Festival di Spoleto; c'era già stato un tentativo nei giorni scorsi quando aveva giustamente fatto rilevare che, a dieci anni dalla scomparsa del fondatore del festival, neanche una parola in ricordo sulla bocca del suo successore che, siamo sinceri, non ha nulla a che vedere con Menotti.
Giorgio Ferrara non solo ha cancellato l'impronta che del suo fondatore restava ancora sul festival spoletino, anche durante e dopo lo sciagurato interregno del figlio adottivo Francis; ma nel decennale della scomparsa ha cancellato qualunque traccia, anche del suo stesso nome. Di Menotti non si parla neppure. E l'Archivio storico del festival non fosse stato per la famiglia Monini, sarebbe andato disperso.
Cappelli, anche nell'era Ferrara, ha sempre difeso il 'sigillo' menottiano del Festival spoletino; lo ha fatto anche quando come consulente musicale Ferrara aveva chiamato Alessio Vlad - amico di Cappelli - il quale l'aveva successivamente ricambiato con una regia abbastanza penosa della Butterfly pucciniana all'Opera di Roma ( gennaio 2012); e mettendo in croce anche sua moglie, la bravissima Adriana Asti, nell' improbabile ruolo di Voltaire, in Candide di Bernstein, con la regia di Mariani, qualche settimana dopo (febbraio 2012), sotto la sciagurata sovrintendenza di Catello De Martino.
Senonchè quattro anni fa, Cappelli presenta proprio a Spoleto, in coppia con Mario Sesti ( con il quale ha scritto tutti i suoi spettacoli teatrali ( Sinopoli, Truffault e prossimamente Morricone-Monicelli), e con la regia di Pizzi- protagonista Remo Girone - Kleiber, il titano insicuro, da una espressione di Sviatoslav Richter, il grande pianista - replicato anche a Caracalla, sotto la direzione artistica del suo amico Vlad.
Noi non siamo così idioti da pensare che l'attacco al Don Giovanni di Mozart, per il quale Ferrara ha curato regia, luci, drammaturgia, pur essendo del festival direttore artistico (non aveva detto e scritto Salvo Nastasi che i direttori artistici di un teatro dovevano astenersi dal firmare regie di spettacoli nella loro istituzione? Certo lo fa regolarmente anche Cristina Muti a Ravenna, e la sig.ra Muti e Giorgio Ferrara sono - erano - legati a doppio filo al 'grande & grosso' direttore generale dello spettacolo) possa essere stato dettato a Cappelli anche dall' assenza sul palcoscenico spoletino di altri suoi spettacoli, dopo quello del 2013.
Né Valerio Cappelli è così ingenuo e sprovveduto da cadere in simili trappole. Però non sarebbe stato più opportuno che con Spoleto e con l'Opera di Roma, come con la Fenice (per lo spettacolo su Sinopoli) i suoi rapporti fossero rimasti esclusivamente quelli del cronista? Anche sulla carta avrebbe avuto più mano libera; perchè nei fatti mano libera l'aveva allora - quando non ha criticato nulla perchè non c'era nulla da criticare - ed anche ora, quando ha criticato Ferrara, esclusivamente perchè da cronista attento, qual egli è e resta anche in un corpo di drammaturgo, non poteva chiudere un occhio.
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