La destra meloniana è entrata nella fase del piccone. In tutte le democrazie del mondo, le forze populiste e nazionaliste prima raccolgono consenso, cavalcando il malessere e la rabbia delle persone messe ai margini dalla globalizzazione. Quando poi conquistano il potere, le ricette elettorali, l’indignazione e le invettive per ciò che non va, evaporano. L’approdo finale di queste forze politiche è quasi sempre un attacco alle istituzioni democratiche.
Non fa eccezione la destra populista e nazionalista italiana, come stiamo vedendo.
Dopo aver vinto le elezioni con promesse costruite su slogan, tutte le proposte “anti sistema” si stanno rivelando inapplicabili o inefficaci. Il populismo però ha bisogno di nutrirsi continuamente di nemici e capri espiatori. Per questo, il governo Meloni, assente nella soluzione delle grandi fragilità del Paese, si è avvitato sempre più in un’interminabile campagna di propaganda, fino ad apparire opposizione dell’opposizione. Questa continua polemica, alimentata in tutti gli spazi occupati nei media, è utile a distogliere l’attenzione da politiche economiche e sociali che creano o aumentano le disuguaglianze e colpiscono i più deboli, che sono il bacino principale del loro consenso.
Questo disvela una verità: il populismo non aiuta mai il popolo, ma lo usa.
La fase successiva è quella del piccone: per nascondere il fallimento, inizia un’attività politica e legislativa che individua nelle istituzioni il nuovo capro espiatorio. Va detto che questa iniziativa raccoglie consensi in larghissimi settori della popolazione, in un mix tra l’indifferenza per le sorti dello Stato e la rabbia verso le sue inefficienze, che sono immense.
Su due fondamentali capitoli dell’agenda politica, la destra di fatto mette a rischio la tenuta democratica e istituzionale dell’Italia: la legge sull’autonomia differenziata e la bozza delle riforme costituzionali.
È ormai conclamato, anche in molti settori della maggioranza, che la legge Calderoli con il prevedibile aumento delle disuguaglianze almeno su due pilastri della coesione e identità nazionale, come sanità e scuola, spezzerebbe l’Italia. La spezzerebbe in due creando due nuove debolezze, che renderebbero l’Italia ancora più fragile nel mondo globale. La riforma istituzionale contiene inoltre una deriva esplosiva. Un presidente della Repubblica eletto dalle Camere con attuali poteri, di fronte a un premier eletto dai cittadini, sarebbe di fatto un “prigioniero politico” in una situazione foriera di scontri permanenti dentro e fra le Istituzioni. Insieme, si indebolisce la forza del Parlamento. Anticamera di quanto di peggio è accaduto in Italia.
Abbiamo bisogno di altro. Non possiamo limitarci a indicare - come pure è necessario- tutti i rischi che questo sconsiderato attacco all’assetto istituzionale del Paese comporta. Ora si apre per la sinistra una grande occasione non di conservazione, ma per una innovazione giusta: la sinistra oggi deve difendere e rilanciare i principi democratici espressi dai Costituenti, proponendo opzioni e politiche innovative che rispondano ai bisogni e alle opportunità di questa nuova epoca tecnologica. Innovazione per garantire la sanità pubblica e semplificare lo stato e renderlo più semplice.
Innovazione per rilanciare la scuola pubblica e l’università e garantire davvero il diritto allo studio a chi, malgrado quanto sancito dalla Costituzione, non lo incontra. Innovazione nelle modalità in cui si programmano e si erogano servizi sociali. Innovazione per rendere efficaci le politiche per il lavoro, per ridare un orizzonte e una speranza alle generazioni più giovani. Innovazione per il rilancio. Direi una innovazione “umana” al servizio e non “contro” . Sempre finalizzata ad affermare i valori della Costituzione. Elon Musk nel recente vertice sull’intelligenza artificiale in Inghilterra ha detto: “Il tema è semplice, per la prima volta nella storia dell’umanità abbiamo a che fare con qualcosa molto più intelligente di noi”. Ecco il livello della sfida. Non avere paura ma neanche sottovalutate l’urgenza di dare alle innovazioni un indirizzo di servizio e non di dominio sull’uomo. Questo il perimetro della nostra azione. Potremmo dire “un futuro più giusto” come giustamente indica il titolo della manifestazione dell’11 novembre a Roma. Ci vediamo sabato.
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