Non deve essere stato un risveglio facile per Papa Francesco nell'apprendere i risultati del ballottaggio delle presidenziali in Argentina. Il nuovo presidente è Javier Milei, il Donald Trump latinoamericano, come viene chiamato per le sue idee ultraliberiste e ben poco allineate con quelle di parte dell'episcopato ispirate all'ecclesiologia bergogliana della Chiesa da campo. Come prevede il protocollo istituzionale è chiaro che la Santa Sede invierà al neo presidente un messaggio formale di congratulazioni, probabilmente in occasione dell'insediamento previsto per dicembre. Tuttavia non è difficile immaginare quanto poi saranno complicati e pieni di incognite le relazioni tra Santa Marta e la presidenza Milei considerando la campagna elettorale scoppiettante e fuori da ogni previsione che si è consumata sotto gli occhi della comunità internazionale.
L'Argentina volta pagina, ha scelto Javier Milei come presidente
INSULTI
Milei ha insultato in ogni modo come mai era stato fatto prima un Papa, affibbiando a Bergoglio titoli persino volgari e descrivendolo come l'essenza del male, mentre sul piano politico lo aveva accusato di essere la longa manus del comunismo. Una sequenza di contumelie che hanno costretto un gruppo di preti di base a organizzare una messa di riparazione per le cattiverie nei confronti del successore degli Apostoli. Da Santa Marta ha prevalso il silenzio, eccezion fatta per l'ultima allusione di Papa Francesco alle elezioni presidenziali e affidata all'agenzia di stampa nazionale argentina Telam. In quella intervista, il Papa metteva in guardia contro «i pericoli dei clown messianici».
L'avversario di Milei, Sergio Massa, il candidato peronista con il quale Francesco avrebbe avuto contatti, si era ovviamente ribellato a questa deriva elettorale, mettendo in evidenza agli argentini i rischi di una possibile rottura dei rapporti tra l'Argentina e la Santa Sede. Al Messaggero il neo cardinale argentino Angel Sixto Rossi, durante il concistoro, aveva fatto capire che se avesse vinto Milei sarebbero stati problemi anche se gli riusciva difficile fare una previsione. «Non riesco ad immaginarlo. Potrebbero anche cambiare».
Milei tra l'altro prospetta un programma economico per ridurre drasticamente la spesa pubblica, deregolamendo l'economia, privatizzado e chiudendo la banca centrale per arrivare alla dollarizzazione. «Un programma che non è di certo quello della dottrina sociale della Chiesa» aveva aggiunto il cardinale Rossi. «Perché ce l'hanno tanto con questo Papa? E' evidente che lui ha sempre mantenuto una posizione forte nel difendere i deboli. Ed è proprio questa sfida che dovrebbe far riflettere tutti gli ambiti della società, della chiesa, della politica».
Argentina verso il voto, resa dei conti fra Massa e Milei
In ogni caso di fronte al ballottaggio del 19 novembre, la regola ufficiale nella Chiesa argentina è stata quella della neutralità. La Conferenza Episcopale Argentina non si è voluta esprimere, anzi, ha pure preso le distanze da un notissimo prete di periferia, padre José María "Pepe" Di Paola e di altri sacerdoti che lavorano in quartieri popolari, i quali hanno fatto una massiccia campagna tra i fedeli chiedendo loro di non votare per Javier Milei. La campagna di padre Pepe (grandissimo amico di Papa Bergoglio dai tempi di Buenos Aires) ha creato disagio all'interno delle mura ecclesiastiche e ha motivato un chiarimento, che tuttavia non è arrivato per via ufficiale. «Sono dichiarazioni a titolo personale». Da stamattina a Santa Marta si fa i conti con un problema diplomatico in più da gestire.
Papa Francesco e la politica: «Nell'ipotesi di avere una concezione peronista che c'è di male?»
In ballo ci sarebbe anche la visita del Papa in Argentina. Finora il pontefice ha sempre declinato tutti gli inviti presidenziali, rimandando sine die il viaggio nella sua patria che non ha mai voluto intraprendere in dieci anni per non trovarsi di fronte alle sacche di contestazione. In Argentina la Chiesa è ormai spaccata in due, da una parte i suoi sostenitori e dall'altra i suoi detrattori.
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