A 85 anni compiuti Padre Alex Zanotelli non possiede un telefono cellulare, né un’auto, né una casa, fa esercizio di povertà come missione e per incontrarlo non rimane altro che cercarlo dove vive, o – dice lui – «dove serve militare, nonostante l’età». Tra i ragazzi del rione Sanità a Napoli, dove ha scelto di andare a stare dopo una vita in giro per l’Africa e il mondo, o tra i suoi tanti incontri per il Paese, ospite di comunità, movimenti, collettivi. In questi giorni è passato dalla Liguria anche per lanciare l’anniversario della nascita della Comunità di San Benedetto al porto di don Andrea Gallo, che si ricorderà l’8 dicembre alla Sala Chiamata di Genova con un incontro con ospiti da tutta Italia. Ed è da qui che mette a fuoco «il tema di questi tempi»: «La violenza sulle donne è come la guerra, sono volti diversi della stessa cultura, uniti dalla ricerca del potere: ecco perché – è il messaggio del comboniano – più che nuove leggi abbiam bisogno di una rivoluzione culturale».
Però le piazze di questi giorni, per prime quelle del no alla violenza sulle donne, ci dicono che i suoi anticorpi almeno la società civile dovrebbe averli. Non pensa?
«Queste piazze, così ricche, così partecipate, ci dicono una speranza c’è. Le donne, in questo momento, urlano, alzano la voce. E fanno bene, dobbiamo essere grati a chi va in piazza e protesta. Se non si grida, come stanno facendo tante ragazze e tanti ragazzi, si ottiene ben poco. Ma allo stesso tempo la reazione di questi giorni ci ricorda che il problema è strutturale, che è proprio il sistema in cui viviamo, che vive di violenza. Ha ragione Crepet, hanno ragione gli psicoterapeuti: il problema siamo noi, dobbiamo guardarci dentro».
Cosa c’è di sbagliato, nella società o nel Paese che abbiamo costruito?
«Il nostro è un sistema violento nel senso che tutto è regolato da leggi precise, che nella società sono quelle del patriarcato, e che nel mondo sono quelle della sopraffazione. Che si tratti di relazioni tra uomini e donne, come di relazioni internazionali tra gli stati. Il fenomeno dei femminicidi che tanto ha scosso le nostre coscienze, nasce in questo contesto. Ma il tratto di fondo è lo stesso delle oltre 60 guerre che infiammano il nostro mondo».
C’è un filo che lega la violenza sulle donne, i femminicidi, le guerre, pensa questo?
«Certo, la violenza è il tratto distintivo di una società dove la donna è ancora così sopraffatta. Dove la guerra viene usata per risolvere le controversie tra stati. Dove la guerra si fa anche al pianeta, negando e peggiorando la crisi climatica. La mia generazione sarà tra le più maledette della storia umana perché nessuno ha devastato il pianeta Terra come abbiamo fatto noi. Ed è la ricerca del potere, del controllo sull’altro, che sia un corpo o un territorio, che lega le cose. Che porta a usare la violenza per regolare le relazioni tra persone, che porta anche a legittimare l’uso della violenza anche al di fuori delle regole della stessa guerra, come sta avvenendo in questi giorni. Serve iniziare a connettere le cose».
Dall’ambiente alle guerre, lei queste cose le diceva già in piazza a Genova nel 2001, nei giorni del G8. Cosa vuol dire?
«L’analisi di una società ingiusta a tutti i livelli, a partire da quello economico, dove il 10 per cento degli abitanti del mondo consuma il 90 dei beni lasciando agli altri le briciole, dove 800 milioni di persone fanno la fame e il mondo occidentale butta ogni anno quasi due miliardi di cibo buono, dove l’uno per cento più ricco della popolazione mondiale inquina quanto 5 miliardi di persone, l’hanno fatta già grandi esempi come don Gallo, don Milani, tanti altri. Non possiamo dire di non avere avuto delle voci importanti a metterci in guardia. Mai come ora però dobbiamo uscirne fuori, e per farlo serve una rivoluzione culturale».
Partendo da dove? Dalle scuole, dalla società civile, dalla politica?
«Siamo tutti responsabili, la società civile, le chiese, la politica: ognuno ha la sua responsabilità sul tipo di educazione che stiamo dando alle generazioni del presente e del futuro. Si cambia partendo dalla scuola, combattendo a livello educativo la cultura patriarcale in cui viviamo. Si cambia con scelte coraggiose della politica. O riusciamo a dire basta al riarmo o passeremo da un conflitto a un altro. Nel 2022 l’Ue ha speso 345 miliardi in armi, come non mai».
Cosa ne pensa, del dibattito sulla guerra in Medio Oriente?
«È un dibattito povero, per paradosso poco informato, dove mi auguro non si continui a considerare dalla parte dei terroristi chiunque ponga un dubbio sulla proporzionalità dell’azione militare di Israele. Va condannato il terrorismo di Hamas, messa in guardia la società da ogni, serpeggiante forma di antisemitismo, ribadita la legittimità di Israele di esistere e di difendersi, ma va anche detto con coraggio che non può farlo così, nel modo in cui a Gaza ha bombardato civili, donne, bambini. Quest’ennesimo dramma ci dice che la soluzione dei due stati, Israele e Palestina, è l’unica possibile per rendere giustizia ai popoli e fermare la guerra. Lo dice il Papa, non solo io».
Nessun commento:
Posta un commento