Sinceramente non sappiamo se preferire un pianista che fa tante chiacchiere ad uno che di chiacchiere ne fa poche o quasi affatto. Fare più o meno chiacchiere può incidere sulla statura di un musicista e sulla considerazione artistica che si ha di lui?
No, certamente. Anche se al musicista o pianista chiacchierone che ripete sempre le stesse cose e risponde sempre allo stesso modo alle domande sempre uguali che gli vengono rivolte, tipo Ramin Barahmi (del quale sappiamo in anticipo quel che dirà, nulla di nuovo), personalmente preferiamo quello che parla poco e quando parla, per quel poco che dice, è un piacere ascoltarlo.
C'è una categoria di musicisti o pianisti che ha scelto per convinzione profonda, per allergia alla chiacchiera od anche per strategia, di tacere o di parlar poco. Anche perchè forte del monito delle Scritture, alla base della saggezza: secondo le quali il saggio è colui che è promptus ad audiendum, tardus ad loquendum.
E ci sono, anche coloro i quali al silenzio hanno unito la 'sparizione' dalle scene, come nel caso davvero emblematico di Horowitz. Scomparso per anni dalle scene, di lui non si sapeva più nulla, ma è bastato che rientrasse per far parlare di sè più di quanto avrebbe ottenuto se fosse stato presente, come tanti valenti suoi colleghi, sulle scene un giorno sì e l'altro pure e avesse parlato altrettanto.
Come Horowitz anche Arturo Benedetti Michelangeli, in buona sostanza pianista silente e, per giunta, pochissimo attivo, dopo aver scelto accuratamente le sedi in cui suonare. Ma interviste nessuna . Nel corso degli anni in cui ci occupavamo preferibilmente di pianoforti e pianisti, Benedetti Michelangeli, che noi ricordiamo, concesse una una intervista al Corriere, a Duilio Courir (questi giorni commemorato da un suo amico, Aldo Grasso, sul Corriere, come un fior di critico, mentre invece era soprattutto un gran signore che aveva il privilegio, meritato o meno, di lavorare al Corrierone). Poi però, negli ultimi anni, dopo un silenzio quasi tombale, la sua casa discografica convocò per l'uscita di un suo nuovo disco una conferenza stampa ad Amburgo e lo obbligò a presentarsi di fronte al fuoco di domande di una nutrita schiera di giornalisti fatti venire da ogni parte del mondo. Di fronte al marketing, e dietro l'insistenza dei suoi produttori il dio silente acquistò improvvisamente la parola, ed il pianista si arrese.
Ciò per dire che quegli stessi che commercializzano alcuni pianisti attraverso l'immagine dell'artista silenzioso, possono in ogni momento, per esigenze altrettanto economiche, imporgli di rompere la consegna del silenzio e di parlare. E' accaduto a tanti, e nessuno ha mutato per questo il giudizio che s'era fatto sulle loro qualità di musicisti e di interpreti. C'è anche il caso di Pollini, anche lui poco loquace un tempo - e per quel poco, loquace solo con i 'microfoni' suoi amici - mentre oggi si leggono spesso sue interviste. Vale anche per Radu Lupu che comunque è fra i meno loquaci.
A nessuno noi contestiamo la scelta della loquacità o del silenzio.
Perciò insistere, come fanno anche oggi, i soliti cronisti sul silenzio del pianista Sokolov a noi non ci smuove neppure di un millimetro; ci interessa innanzitutto cosa suona e come suona. Per il resto stia pure zitto, affari suoi, e la si smetta di sottolinearlo. Il silenzio non aggiunge nulla ad un pianista se suona male, nè nulla gli toglie se suona, invece, bene. Perciò diteci cosa suona e perché magari ha scelto quel programma. Poi, che Sokolov non conceda interviste... che ci frega?
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