giovedì 30 marzo 2017

Questa volta parliamo di olio. Ma non di quello per ungere... bensì di quello extravergine italiano

L'olio che buono!  Parliamo di olio che, per uno che viene dalla terra di Puglia dove anche in questi giorni si discute di ulivi,  è materia del cuore oltre che della mente.
Procediamo con ordine. Uno va in negozio a comprare dell'olio, magari anche in un negozio biologico, dal quale - dati i costi dei prodotti - pretende maggiori garanzie di qualità con tutto ciò che ne consegue o che precede. Nel senso che vuole sapere che prodotto è, da dove viene, a quale raccolto appartiene - tutti elementi che per l'olio - che comunque è già un prodotto prezioso e perciò costoso, è indispensabile sapere.

Innanzitutto, sia ben chiaro - lo sappiamo anche noi, perché  abbiamo un terreno coltivato ad ulivi - che sotto un certo costo non ci si può attendere che in una bottiglia vi sia olio extravergine di oliva. Facciamo 10 ,00 Euro? Facciamo 10,00 Euro. Quindi le aziende che promettono miracoli oleari, a 4-5 Euro dicono il falso. In quelle bottiglie vendute ad un tale prezzo non può esserci olio extravergine di oliva. Cosa allora? Lo lasciamo immaginare.

Andiamo avanti.  Chi compra un prodotto simile ha il diritto di sapere con quali olive è stato prodotto? No, non è così lapalissiamo, perché l'etichetta più ricorrente è la seguente. ' olive dei paesi dell Comunità Europea'. E il consumatore già dovrebbe fare un atto di fede, perché  un dubbio gli passa per la testa, e cioè che quella dicitura, neanche quella, sia corrispondente al prodotto che sta per acquistare. Rarissimamente,  anzi quasi mai troverà scritto che parte delle olive vengono, ad esempio, dal nord Africa, nonostante che sappiamo che le olive macinate in Italia sono anche coltivate oltre che in altri paesi della Comunità Europea, anche in Africa. Non ancora dalla Cina, così sembra e si spera.

Ma anche per la dicitura 'paesi della Comunità Europea' sarebbe lecito attendersi una specifica, perché non in tutti i Paesi europei le leggi in fatto di coltivazioni sono uguali. E perché si sa che più i paesi sono poveri, e meno controlli ci sono, per non affamare gli abitanti; purtroppo senza preoccuparsi di  non farli ammalare.

In questi giorni, riguardo a punti vendita di eccellenza, come Eataly, si è letto di una  polemica sulle diciture apposte ai vari prodotti, e all'olio in modo particolare; specificamente su 'prodotto in Italia', laddove il temine prodotto non è così chiaro: il prodotto è stato lavorato in Italia o la materia prima oltre che la lavorazione è italiana?

Poi per l'olio c'è anche un'altra indicazione molto importante, giacché si consiglia di consumare l'olio entro 12 o 18 mesi al massimo, dalla sua produzione. Eppure non è quasi  mai possibile ricavare dai laconici e criptici dati che si  leggono sulle bottiglie, l'anno di produzione, che dovrebbe chiarire  l'anno di raccolta delle olive. Insomma anno di produzione 2016, dovrebbe voler dire che le ulive sono quelle del raccolto di fine 2016. Che vorrà dire perciò quando si legge: produzione 2015/16? Che hanno mischiato, rendendolo meno pregiato ed autentico, olive raccolte nel 2015 e 2016 ? o meglio olio estratto dai due raccolti indicati? Ma hanno mischiato gli oli dei due raccolti o le olive, e quelle del 2105 dove e come l'hanno conservato per quasi un anno prima di macinarle? Non sarà che quelle del raccolto precedente una volta macinate una prima volta, sono state fatte rigenerare con oli meno pregiati  e poi fatto il pastrocchio?
 Insomma i dubbi sulla regolarità delle indicazioni  fornite al consumatore sono tanti ed alcuni anche molto seri.

Per scendere ad un fatto concreto. Noi negli ultimi mesi, quando già il raccolto della fine 2016 dovrebbe essere stato macinato per intero - perché non è possibile  farlo dopo due o tre mesi o forse anche più - non siamo riusciti mai a trovare - anche ricorrendo ad oli pregiati e di buon costo ed anche in negozi bio - un olio del raccolto 2016. Quantomeno un olio dove venisse chiaramente indicato che cosa c'è dentro quelle bottiglie.
 Di chi è la colpa? Del ministro dell'Agricoltura? Della legislazione vaga e permissiva? Degli agricoltori che lamentano di non farcela più, perché l'agricoltura non è più compensata dai raccolti ? O dei produttori che fanno pastrocchi? Solo dei produttori o anche delle grandi catene di distribuzioni che promettono miracoli venduti a poco prezzo?

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