Che Nicola Piovani non sia un musicista che se ne sta a guardare il mondo dalla sua torre d 'avorio era noto da tempo; e infatti lo si è visto molto spesso intervenire pubblicamente su importanti aspetti della vita culturale e sociale. Come di recente, quando ha preso la parola per segnalare lo sfascio in cui è ridotta Roma da tempo, a causa della nefasta amministrazione degli ultimi governi cittadini; e la cronica disattenzione per la cultura, in qualunque forma essa si esprima.
Evidente che in tutta questa volontà interventistica non manca la particolare attenzione alla musica. Ci vengono in mente un paio di azioni in tal senso.L'inno per l'orchestra del Sistema delle orchestre e cori giovanili ed infantili, snobbato perfino dal serafico Franceschini al quale della musica non gli fotte proprio nulla, figuriamoci delle orchestre giovanili; e la sua accusa contro il rumore, che ci segue ed ossessiona ovunque ed in qualunque momento, e la difesa, di conseguenza, del silenzio, della sua bellezza, il quale solo permette alla musica di nascere ed a noi di apprezzarla. Ma, in questo secondo caso, andiamo sul teorico ad oltranza, spinti a guardare in alto, rischiando di cadere in qualche buca traditrice e romperci l'osso del collo.
Ieri, invece, ha preso carta e penna ed ha scritto a Repubblica, per segnalare la sua cantata su e per Roma, su e per Virginia Raggi. Musica per le orecchie, ma su un libretto senza capo nè coda. Che diceva, in sostanza, che Roma fa schifo, comunque la si consideri, e non siamo noi romani i soli a lamentarcene, lo fanno ormai un giorno sì e pure l'altro giornali ed osservatori stranieri, che un tempo cantavano la 'primavera' di Roma, sotto Veltroni, nonostante le buche, la 'monnezza', il traffico bestiale, che resistono immutati. La situazione non è mai cambiata - se ne è perfino accorto il dott. Todt, ex manager Ferrari, venuto a Roma, per conto di un organismo internazionale il quale, pur affacciandosi al balcone del Campidoglio 'core a core' con la sindaca, non ha potuto mancare di segnalarle che le buche a Roma sono più numerose delle stesse strade, rispetto alle quali sono, se si potesse dire, in condizioni ancor più disastrose.
Naturalmente, ad un osservatore acuto come Piovani non poteva sfuggire la tragica situazione - forse più tragica perfino delle buche - nella quale si trova a Roma la cultura, e non ha mancato, come in altre occasioni, di segnalarlo. A cominciare dalla tragicommedia che riguarda il Teatro Valle, nella quale un ruolo principale si è ritagliato, meritoriamente, un attore; fino alle scuole di musica in odore di chiusura, perché in questi ultimi anni, dopo il clamore delle denunce, nulla si è fatto per separare i buoni dai cattivi nell'uso degli immobili del Comune, ed altro ancora. Tutto questo, non è sfuggito certamente a Piovani.
Ma poi , a conclusione della Cantata, scarica la Raggi - sindaca da nove mesi - di ogni responsabilità diretta in tutto questo sfascio, dandole tempo ancora per altri mesi, ed attendendo di fare un bilancio solo alla fine del primo anno di mandato. Perché lei, sembra far capire Piovani, nonostante sia bravissima, nonostante ce l'abbia messa tutta, si trova ogni giorno a lottare contro un nemico che stenta a morire, rappresentato dalla amministrazione stessa della città. Insomma a chiusura del suo 'cahier de doléance', quale si rivela essere la sua cantata per Roma e per la Raggi, Piovani si pente di aver addossato alla sindaca colpe che effettivamente ha; e le dà tempo ancora qualche mese. Come se in tre mesi lei possa fare quello che non ha fatto, per incapacità ed inesperienza amministrativa, nei nove precedenti. Piovani!
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