Una mostra, un film, un palinsesto d’iniziative a tributarne l’arte. Il 2 dicembre di cent’anni fa, nasceva Maria Callas, la Divina dalla vita da romanzo, il soprano dal fraseggio perfetto e dalle abilità sceniche eccellenti. La prima icona mediatica, com’è stata più volte definita, in grado di rendere pop una cultura estremamente elitaria, capace di forgiare il proprio mito al di là del bel canto. Un fenomeno vocale e di stile, plasmato con quella caparbietà e risolutezza di chi non si sente comodo nei propri panni (e corpo) e tenta ossessivamente di cambiarli. “Mi trovai davanti una matrona in visone, tremendo il cappello, guancia vermiglia e labbra gonfie”, chiosa Camilla Cederna avanti del loro primo incontro - avvenuto nel 1947 per il debutto italiano del soprano - tratteggiando una Callas sgraziata che a lei appare destinata all’obesità perpetua. Quello che all’epoca la giornalista non conosce, è la testardaggine della Divina che, con fare puntiglioso e con il “santino” di un’impeccabile Audrey Hepburn tra le mani, si trasforma in icona di moda così interessante da indurre due penne leggendarie come Enzo Biagi e Oriana Fallaci ad occuparsi di lei. Nella sua trasformazione a cigno dell’opera, così come ad elegante diva da tabloid, interviene una grande protagonista della moda milanese degli anni Cinquanta e Sessanta.
Elvira Leonardi Bouyeure, soprannominata Biki (da Bicchi, diminutivo di birichina) dal nonno Giacomo Puccini, possiede una maison di lingerie, fondata nel 1933 con Gina Cicogna. Si chiama Domina, nome suggeritole da Gabriele D’Annunzio che ha l’abitudine di mandarle tutte le sue donne per la confezione di “camicie specialissime nei colori delle pietre”. Il battesimo del Vate funge da porte-bonheur per Biki che, di lì a pochi anni, passa dalla biancheria alla moda, vestendo alcune tra le donne più in vista dell’epoca. Tra queste c’è anche Maria Callas per cui Elvira, assieme al genero Alain Reynaud, opera un vero e proprio restyling, progettando un vademecum di stile che diverrà noto come Callas Biki Style. “Era disastrosa, una mastodontica sciuretta che amava Fath. Si era messa a dieta, era appena sotto il quintale, ma già si muoveva come una magra. Alain aveva numerato tutto il suo guardaroba, vestiti, scarpe e accessori e le aveva scritto ogni accostamento: l’abito da sera 8 con le scarpe 14 e lo scialle 6. Maria era una spugna. Quel che imparò sembrava essere suo da sempre”. In parole moderne? Biki e Raynaud diventano gli stylist della Divina, distillando l’aggiornata vestizione in quadernetti zeppi di combinazioni numeriche di abiti e accessori che mai prescindono dai diktat dell’artista. Sì a turchese, verde smeraldo e nero, da ravvivare con gioielli, sua grande passione. Per la città il blu marino e in inverno sciarpe e scialli da drappeggiare sul busto. In alternativa (o aggiunta) pellicce. La preferita? Il cincillà. E d’altronde “chi si affida a Biki- sostiene Irene Brin- non potrà sbagliare né cappello, né rossetto, né scarpa, né l’ora”.
E così è e Maria Callas - forte di un dimagrimento tanto vistoso da indurre i malpensanti a credere che avesse ingerito una tenia - non commette errori, abbina toni e tessuti senza sbavature, veste cappotti in tweed, abiti con lo strascico che stupiscono perfino Saint Laurent, boleri, turbanti e guanti, vezzo chic sia per il giorno che per la sera. E poi ancora gonne a matita, abitini a corolla, camicie bianche e pantaloni a sigaretta, foulard annodati al collo e occhialoni scuri da vera diva, in una trasfigurazione a icona di New Look che la immette di diritto nella lista delle dieci donne più eleganti del mondo stilata dalla stampa americana e le fa ottenere, nel 1958, l'Abito d'oro, riconoscimento modaiolo per la più raffinata delle signore milanesi. Si ricrede anche Camilla Cederna che su L’Europeo del 31 ottobre 1954 firma un articolo dal titolo (questa volta) assai lusinghiero: “Maria Meneghini Callas, sempre più sottile, sempre più bella”.
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