Il Consiglio dei Ministri, nella seduta n. 48 del 28 agosto 2023, ha approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo relativo al “riordino e alla revisione degli ammortizzatori e delle indennità e per l’introduzione di un’indennità di discontinuità in favore dei lavoratori del settore dello spettacolo”.
L’indennità di discontinuità è riservata a coloro che nell’anno precedente la domanda hanno contratti di lavoro a tempo determinato, o autonomo, o intermittente a tempo indeterminato, con redditi inferiori a 25.000€ e almeno 60 giornate accreditate al Fondo Pensionistico Lavoratori Spettacolo (FPLS).
La misura è ridicola: sarà riconosciuta per un numero di giornate pari a 1/3 di quelle accreditate nell’FPLS, nella misura del 60% della media dei compensi con contribuzione, ma con un massimale inferiore a 53,95 € al giorno.
Il commento della Fondazione Centro Studi Doc
L’indennità di discontinuità per chi lavora nello spettacolo, per come è descritta nella bozza di decreto legge del Consiglio dei Ministri, appare come un sostegno alla miseria e non alla professionalità. Offrendo condizioni peggiorative rispetto agli ammortizzatori sociali già esistenti per il settore, non risponde alla Legge Delega dello Spettacolo, che prevedeva espressamente il riordino delle misure sociali esistenti verso una soluzione risolutiva e migliorativa.
È una proposta discriminatoria perché ancora una volta esclude i lavoratori intermittenti a tempo indeterminato dalla categoria dei discontinui, pur riconoscendo loro il diritto all’indennità, perdendo l’occasione di riconoscerli nel gruppo a) e garantire finalmente il sostegno che meritano.
L’aspetto più miope e censurabile della proposta sta nell’aver predisposto un sostegno meramente economico per i periodi di intervallo tra gli spettacoli, come se fossero periodi di disoccupazione, con iscrizione negli elenchi dei disoccupati e con proposte di formazione e riconversione professionale! Questa scelta contrasta direttamente con il riconoscimento di discontinuità strutturale del lavoro nello spettacolo e nega il riconoscimento di una specificità del settore, ovvero quella per la quale i tempi di non-lavoro sono tempi per studio, allenamento, aggiornamento, sopraluoghi, prove…
Quella che viene offerta, inferiore alle misure già previste, non sarà un sostegno alla professione ma una indennità di disoccupazione, un sostegno economico di miseria, inferiore alle misure NASPI e ALAS già esistenti, che disattende tutte le aspettative sorte dalle proposte di legge approvate da Camera e Senato nella scorsa legislatura e all’atteso Statuto per chi lavora nello spettacolo.
La nostra proposta di introdurre lo Statuto per chi lavora nello spettacolo, completamente disattesa come molte delle altre nostre proposte, aveva come obiettivo quello di non perdere il patrimonio umano che popola il mondo dello spettacolo, invece questa misura lo affossa e lo sminuisce. Con queste prospettive, come può un lavoratore o una lavoratrice dello spettacolo investire sui suoi talenti se lo Stato non crede in lui/lei e non lo/la sostiene?
Ci auguriamo che dall’invito al confronto previsto il prossimo mese con il Governo possa emergere una discussione costruttiva con chi opera nel settore spettacolo che possa portare alla realizzazione di una misura che possa davvero rispondere alle reali esigenze di chi lavora nello spettacolo.
A seguire osservazioni puntuali sul testo della bozza del decreto legge.
È discriminatorio considerare i lavoratori intermittenti a tempo indeterminato come una categoria a parte e inquadrare coloro che lavorano nello spettacolo come disoccupati
- La bozza di decreto legislativo riconosce all’art. 1 comma 1 il carattere strutturalmente discontinuo di chi lavora nello spettacolo, sia esso autonomo, collaboratore o subordinato a tempo determinato, appartenente al gruppo a) o b). È grave però che gli intermittenti a tempo indeterminato, cioè a chiamata ma all’interno di un rapporto in cui non è segnata la data di fine, siano richiamati in un comma a parte (comma 2 art. 1): vanno anch’essi considerati strutturalmente discontinui, per decreto, e ricompresi finalmente del gruppo a) o b), come promesso dalla Direzione Generale Spettacolo del Ministero della Cultura in occasione della loro esclusione del sostegno del Bando Covid 236/2022.
- Tutto il testo considera la misura come indennità di disoccupazione e ricerca di lavoro e non come reddito integrativo per lavoratrici e lavoratori ingaggiati con contratti discontinui con attività continua per studio, allenamento, aggiornamento, sopraluoghi, prove… Questa visione miope e irrispettosa è evidente dalla previsione dell’art. 5 sulla formazione da erogarsi nell’ambito dei programmi per disoccupati, compreso il programma GOL, con obbligo di iscrizione negli elenchi dei disoccupati! Attribuire lo statuto di disoccupato a chi lavora nello spettacolo, obbligandolo a formarsi nei periodi di non lavoro, contrasta con il riconoscimento di discontinuità strutturale del lavoro che implica necessari intervalli tra uno spettacolo e l’altro.
La misura e la durata dell’assegno sono ridicole e peggiorative rispetto alle misure già esistenti, in contrasto con l’istituzione di una misura risolutiva
- La misura dell’assegno è ridicola: essendo pari al 60% di 1/3 della media delle retribuzioni percepite (cioè il 20% delle retribuzioni) significa che per chi avesse percepito per 60 giorni una retribuzione di 75 euro al giorno l’assegno sarà di 900€ lorde da IRPEF!! A parità di situazione, in caso di ALAS (autonomi) l’indennità sarebbe stata di 1.687,5 € NETTE; in caso di NASPI (per dipendenti) sarebbe di 1.687,5€ lorde. Oltre al fatto che sia ALAS che NASPI vengono erogate entro 1 o 2 mesi dalla cessazione e non al giugno dell’anno successivo.
- Si consideri – tra l’altro – che l’indennità pari al 20% delle retribuzioni è inferiore al costo del versamento INPS, sicché non è utile a disincentivare il lavoro sommerso.
- Il metodo di calcolo della durata dell’assegno (art. 3 comma 1), che sottrae dall’indennità le giornate coperte da altra contribuzione o indennizzate ad altro titolo, riduce ulteriormente la possibilità di poter accedere all’assegno!!
- Il ricevimento dell’assegno previsto a giugno dell’anno successivo è assolutamente inadeguato per sostenere l’artista nella sua professione!
I criteri di accesso alla misura sono sproporzionati e non tengono conto delle specificità del settore
- Il sostegno è previsto per redditi dell’anno precedente che siano inferiori a 25.000€: è una cifra troppo bassa. Prendendo l’esempio di chi lavora in modo autonomo, la maggior parte delle spese che sostiene, comprese quelle di viaggio, non sono deducibili dal reddito, e quindi, a fronte di cachet lordi di 25.000€, il vero reddito è molto inferiore.
- Il requisito delle 60 giornate è troppo alto, soprattutto per autonomi in cui non vengono registrate le prove ma solo i giorni “on stage”. Oltretutto, dal 2021 bastano 45 giornate per accedere alla pensione, perché ne dovrebbero servire invece 60 per accedere all’indennità?
- Il requisito di non aver avuto nessun rapporto a tempo indeterminato nell’anno precedente non ha nessuna ragione di essere ai fini della discontinuità ed esclude chi magari ha avuto un rapporto anche solo di una settimana poi interrotto (es. conclusione del periodo di prova). Sarebbe sufficiente dire che serve il reddito FPLS in via prevalente (art. 2 lett. e).
Il finanziamento della misura è inferiore rispetto alle reali esigenze del settore
- Lo sgravio dell’art. 7 c. 2, che porta l’addizionale per tempi determinati dal 1,40% al 1,10%, non tiene conto del fatto che il personale dello spettacolo lettera a) è assunto per specifici spettacoli e quindi stagionali, per cui l’addizionale comunque non sarebbe pagata.
- Dalla bozza del decreto-legge si evince che dall’anno prossimo non ci saranno più i 100 milioni di finanziamento ad oggi previsti per l’indennità di discontinuità, ma solo 46 milioni. Si tratta di un finanziamento persino inferiore rispetto a quello dell’ALAS. Inoltre, graverà sui lavoratori che hanno un reddito annuo superiore al massimale e che dovrebbero versare il contributo di solidarietà dello 0,50% per contribuire a finanziare una misura previdenziale di cui non possono essere destinatari.
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