Molti vedono nella musica di oggi, quella del XXI secolo, un tradimento delle avanguardie della seconda metà del Novecento, dei tratti “radicali” e “sperimentali” che ha avuto la musica in quella fase storica.
A uno sguardo più attento, si scopre invece come quei caratteri siano stati raccolti, meditati, metabolizzati da moltissimi dei compositori attivi oggi, e poi restituiti con esiti più profondamente “musicali”. Le esperienze nel campo della psicoacustica hanno portato a rivisitare anche le forme classiche, a interrogarsi sui meccanismi sintattici e percettivi insiti in esse, a riscoprire veri e propri archetipi, che restano sempre di attualità, ci appartengono, perché sono legati alla natura stessa del suono e dell’ascolto.
Questi archetipi musicali sono un po’ il fil rouge della rassegna Aus Italien (dal titolo del poema sinfonico di Richard Strauss) dedicata a otto compositori italiani.
Sciarrino ha ad esempio spesso usato l’orchestrazione come uno strumento maieutico, come un filtro capace di rivelare segreti legami tra autori diversi, ad esempio tra alcune melodie di Wagner e il fauno di Debussy, in Languire a Palermo, o tra un preludio di Chopin e musiche di Puccini e di Mahler in Preludio all’Adagietto;
Carlo Boccadoro ha riletto una fuga bachiana, orchestrandola e arricchendola di sottili distorsioni, in n° 7 Grandangolo su Bach;
Silvia Colasanti è ritornata all’archetipo del teatro in musica in Orfeo. Flebile queritur lyra, melologo concepito come un «concerto per voce e orchestra», che contiene anche un’orchestrazione (per corno e orchestra) dell’aria di Monteverdi «Ahi, vista troppo dolce e troppo amara!».
Anche l’antica forma del concerto, è stata rivisitata da prospettive diverse, considerata come metafora del fenomeno naturale dell’eco, come spazio dell’immaginazione, come sfoggio delle possibilità dello strumento solista, ad esempio nel Concerto per pianoforte di Boccadoro, che nel fitto dialogo con l’orchestra sembra evocare Schumann, Bartók e molto jazz (il concerto è dedicato alla memoria di Duke Ellington).
Ma anche come racconto in musica, veicolato dalle proliferazioni frattali di Imaginary Depht di Ivan Fedele, o da una struttura apertamente neoclassica come nella scanzonata e frenetica Primavera di Michele dall’Ongaro. Il compositore romano richiama anche Händel nel suo Trionfo del Tempo e del Disinganno, per pianoforte e orchestra; Luca Francesconi evoca invece François Couperin nel suo concerto per flauto e orchestra Les barricades mystérieuses, e un altro compositore d’epoca barocca, Giuseppe Colombi, nel concerto per violoncello Das Ding singt.
Completano la rassegna due novità per coro, che riflettono invece sulla pandemia e sulle sue conseguenze, attingendo ad archetipi letterari, da Alessandro Manzoni (nel lavoro di Pasquale Corrado) a Cesare Pavese (nel lavoro di Caterina di Cecca). A dimostrazione che nella musica, così come nelle arti e nelle lettere, oggi così come in ogni altro momento della nostra storia, il passato rivive, ma cambia sembianze, suona in modo diverso. Si fissa in un’istantanea dai colori vividi, nuovi. Ci interroga sull’attualità. Diventa presente.
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