mercoledì 28 ottobre 2020

Chi ha ridotto scuola, ricerca e sanità nelle condizioni in cui si trovano in Italia? TUTTI i politici che ci hanno governato. Le dimissioni del ministro Fioramonti, a fine 2019, hanno rappresentato una eccezione rarissima

 Il ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca del governo Conte Bis Lorenzo Fioramonti, del Movimento 5 stelle, si è dimesso scrivendo una lettera al presidente del consiglio Giuseppe Conte il 23 dicembre. A spiegare le motivazioni, dopo che la notizia è stata diffusa dai media, è lo stesso ex ministro in un post su Facebook in cui, in sintesi, sostiene che nella nuova manovra non sono stati stanziati i fondi, secondo lui, necessari per il suo ministero. Così, come aveva già annunciato, ha deciso di dimettersi.

I motivi della scelta

Già viceministro dell’Istruzione nel governo Lega-M5s, il 42enne eletto nel 2018 era in aspettativa dal ruolo di professore ordinario di economia politica all’università di Pretoria, in Sudafrica, dove aveva fondato il Centre for the Study of Governance Innovation. “Prima di prendere questa decisione, ho atteso il voto definitivo sulla legge di Bilancio, in modo da non porre tale carico sulle spalle del Parlamento in un momento così delicato”, scrive Fioramonti, andando direttamente alle ragioni della scelta: “ho accettato il mio incarico con l’unico fine di invertire in modo radicale la tendenza che da decenni mette la scuola, la formazione superiore e la ricerca italiana in condizioni di forte sofferenza”, ma poi nella manovra non c’è stato l’impegno che si aspettava. Seppur sono state previste nuove misure, è stato stanziato un miliardo di meno di quanto si aspettava il ministro.

Dichiarazione del ministro


La sera del 23 dicembre, ho inviato al Presidente del Consiglio la lettera formale con cui rassegno le dimissioni da Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Mi sono ovviamente messo a completa disposizione per garantire una transizione efficace al vertice del Ministero, nei tempi opportuni per assicurare continuità operativa. Per rispetto istituzionale, avevo deciso di attendere qualche altro giorno prima di rendere pubblica la decisione, ma visto che ormai la notizia è stata filtrata ai media, mi sembra giusto parlare in prima persona.

Prima di prendere questa decisione, ho atteso il voto definitivo sulla Legge di Bilancio, in modo da non porre tale carico sulle spalle del Parlamento in un momento così delicato.
Le ragioni sono da tempo e a tutti ben note: ho accettato il mio incarico con l’unico fine di invertire in modo radicale la tendenza che da decenni mette la scuola, la formazione superiore e la ricerca italiana in condizioni di forte sofferenza.

Mi sono impegnato per rimettere l’istruzione - fondamentale per la sopravvivenza e per il futuro di ogni società - al centro del dibattito pubblico, sottolineando in ogni occasione quanto, senza adeguate risorse, fosse impossibile anche solo tamponare le emergenze che affliggono la scuola e l’università pubblica.

Non è stata una battaglia inutile e possiamo essere fieri di aver raggiunto risultati importanti: lo stop ai tagli, la rivalutazione degli stipendi degli insegnanti (insufficiente ma importante), la copertura delle borse di studio per tutti gli idonei, un approccio efficiente e partecipato per l’edilizia scolastica, il sostegno ad alcuni enti di ricerca che rischiavano di chiudere e, infine, l’introduzione dell’educazione allo sviluppo sostenibile in tutte le scuole (la prima nazione al mondo a farlo).

La verità, però, è che sarebbe servito più coraggio da parte del Governo per garantire quella “linea di galleggiamento” finanziaria di cui ho sempre parlato, soprattutto in un ambito così cruciale come l’università e la ricerca. Si tratta del vero motore del Paese, che costruisce il futuro di tutti noi. Pare che le risorse non si trovino mai quando si tratta della scuola e della ricerca, eppure si recuperano centinaia di milioni di euro in poche ore da destinare ad altre finalità quando c'è la volontà politica.

L’economia del XXI secolo si basa soprattutto sul capitale umano, sulla salvaguardia dell’ambiente e sulle nuove tecnologie; non riconoscere il ruolo cruciale della formazione e della ricerca equivale a voltare la testa dall’altra parte. Nessun Paese può più permetterselo. La perdita dei nostri talenti e la mancata valorizzazione delle eccellenze generano un’emorragia costante di conoscenza e competenze preziosissime, che finisce per contribuire alla crescita di altre nazioni, più lungimiranti della nostra. È questa la vera crisi economica italiana.

Alcuni mi hanno criticato per non aver rimesso il mio mandato prima, visto che le risorse era improbabile che si trovassero. Ma io ho sempre chiarito che avrei lottato per ogni euro in più fino all’ultimo, tirando le somme solo dopo l'approvazione della Legge di Bilancio. Ora forse mi criticheranno perché, in coerenza con quanto promesso, ho avuto l’ardire di mantenere la parola.

Le dimissioni sono una scelta individuale, eppure vorrei che - sgomberato il campo dalla mia persona - non si perdesse l’occasione per riflettere sull’importanza della funzione che riconsegno nelle mani del Governo. Un Governo che può fare ancora molto e bene per il Paese se riuscirà a trovare il coraggio di cui abbiamo bisogno.
Il tema non è mai stato “accontentare” le mie richieste, ma decidere che Paese vogliamo diventare, perché è nella scuola - su questo non vi è alcun dubbio - che si crea quello che saremo.

Lo sapeva bene Piero Calamandrei quando scriveva che “se si vuole che la democrazia prima si faccia e poi si mantenga e si perfezioni, si può dire che la scuola a lungo andare è più importante del Parlamento, della Magistratura, della Corte Costituzionale”.

Alle persone con cui ho lavorato, dentro e fuori dal Ministero, dalla viceministra e sottosegretari ai tanti docenti, sindacati, imprese e fino all’ultimo dei dipendenti, va tutto il mio ringraziamento per avermi accompagnato in questo percorso.
Alle ragazze ed ai ragazzi che fanno vivere la scuola e l’università italiana chiedo di non dimenticare mai l’importanza dei luoghi che attraversano per formarsi, senza arrendersi alla politica del “non si può fare”.

Come diceva Gianni Rodari, dobbiamo imparare a fare le cose difficili. Perché a volte bisogna fare un passo indietro per farne due in avanti.

Il mio impegno per la scuola e per le giovani generazioni non si ferma qui, ma continuerà - ancora più forte - come parlamentare della Repubblica Italiana.


                                         *****

Se oggi la scuola come la ricerca e la sanità presentano quei vistosi buchi neri resi ancora più vistosi dalla recente pandemia, l'Italia tutta lo deve ai suoi governanti di qualunque partito che, nel corso degli ultimi decenni, hanno solo badato a tagliare risorse pubbliche a detti settori strategici - come si stanno rivelando anche a chi non li teneva nella giusta considerazione. Ora che la Pandemia ha scoperchiato la mala politica ci rendiamo tragicamente conto degli errori fatti  dalla politica, che ha badato più a salvaguardare gli interessi propri che quelli del paese.
 Il caso del ministro Fioramonti che non avendo ottenuto dal governo i fondi che aveva richiesto per consentire al suo ministero di agire, sarà scritto nella storia di questo paese. La sua lettera di dimissioni  è un severo atto di accusa contro chi non considera la Scuola strategica per un Paese.
 Senza voler infierire sulla povera Gelmini, ministra anch'ella, come si può pretendere da una come Lei, nel senso del suo scarso valore professionale, che esiga  per il suo ministero - la Scuola - la necessaria giusta considerazione? 
Quando le dicevano - coloro che l'avevano assisa sulla poltrona di Viale Trastevere, senza i quali sarebbe rimasta se pure a fare l'avvocaticchio in qualche landa periferica - che doveva risparmiare, Lei per farsi bella agli occhi dei suoi protettori, partoriva le cosiddette 'classi pollaio' che ora, ma anche ieri, si sono rivelate quanto di più antieducativo ed antiformativo si possa immaginare. Ma Lei doveva ubbidire ai suoi protettori che avevano della scuola la stessa scarsa considerazione che hanno poi trasmesso alla loro protetta.
 E lo stesso discorso vale per coloro i quali hanno falcidiato i fondi  alla sanità, per cui ora, causa emergenza, i cittadini pagano un prezzo altissimo, fino alla morte.
 Servirà la tragica pandemia di lezione? Purtroppo nutriamo seri dubbi che possa far ragionare chi da sempre ci ha SGOVERNATO ( P.A.)




Nessun commento:

Posta un commento