mercoledì 21 ottobre 2020

Mlano, Genova, Napoli e Roma: metropoli fuori controllo. Prossimi altri decreti restrittivi (da La Stampa, di Ilario Lombardo, Paolo Russo)

 Ora gli occhi sono puntati sulle metropoli. Quattro su tutte: Milano, quella che fa più paura, travolta dalla seconda ondata. Poi Genova, il capoluogo della Regione che ha il tasso di positivi più alto in rapporto ai tamponi. Napoli, la città con una delle più alte densità abitative d’Europa. E infine, Roma, la capitale che spera nella sua vocazione all’impiego pubblico per sfruttare al massimo lo smart working e alleggerire le strade. Sì, perché è il trasporto pubblico il vero incubo di scienziati e governo, una bomba biologica che secondo gli esperti sta trascinando all’insù i contagi. 

E l’intensità dei movimenti sui mezzi pubblici nelle metropoli è il grande nodo che si affronta in queste ore. Le quattro metropoli potrebbero essere le prima a venire cinturate in zone rosse, dove gradualmente non è escluso si possa arrivare anche a ridurre gli spostamenti solo a quelli essenziali: lavoro e scuola. 

D’altra parte ieri Walter Ricciardi parlava di alcune aree metropolitane «già fuori controllo». Ieri in 24 ore si sono contati 15.199 nuovi contagi, contro i 10.874 del giorno prima. Questi numeri, esperti del Cts e del governo se li aspettavano sì, ma tra una settimana. 

Ma a far fibrillare le corsie degli ospedali così come le stanze della politica è il numero dei morti, ieri passati da 89 a 127 e dei ricoveri, 603 quelli nei reparti di medicina e 56 nelle terapie intensive. Dove in regioni come Campania, Abruzzo e Puglia siamo vicini al tutto esaurito. Anche se poi nel resto d’Italia con questo ritmo si arriverà comunque al collasso in due-tre settimane. Non una buona notizia per il Sud, visto che ieri Calabria e Sicilia hanno visto schizzare il numero dei contagiati, in regioni che non hanno strutture sanitarie in grado di reggere l’urto di una pandemia. 

Nel frattempo, anche il Lazio entra in coprifuoco notturno. Il presidente Nicola Zingaretti ha firmato un’ordinanza che impone di non uscire di casa dalla mezzanotte alle cinque del mattino. Ci si potrà muovere solo con l’autocertificazione, per motivi di comprovata esigenza o di salute. 

Il ricorso alla didattica a distanza sale al 50 per cento per le scuole superiori, tranne il primo anno, e al 75 per cento per le Università. Da oggi in Lombardia tutto chiuso dalle 23 alle 6, mentre le lezioni saranno in streaming per tutti gli alunni delle superiori e degli atenei. «Evitate gli spostamenti non necessari e le attività superflue», chiede agli italiani Giuseppe Conte. A marzo questi inviti rivolti dal premier alla nazione furono il prologo al lockdown. 

Il capo del governo continua ad escluderlo ma, mentre è in Senato a presentare il Dpcm firmato domenica, nei ministeri si lavora già al prossimo decreto che qualcuno avrebbe voluto presentare il prossimo week-end. Conte, però, al momento ha intenzione di scavallare domenica e aspettare ancora una settimana fino a mercoledì, per vedere, come gli hanno detto, l’effetto delle mascherine tirate su all’aperto e delle altre misure prese. 

Ma con questi numeri forse non si può più. Lo scenario che tutti hanno sempre detto di voler evitare sta diventando realtà. E l’impressione, tra i fautori delle soluzioni forti, come i ministri Roberto Speranza e Dario Franceschini, è che il virus abbia messo la freccia superando i dpcm che si susseguono senza tenere più il passo della pandemia. Per questo oramai tutti concordano che bisogna stringere i tempi. 

Allora governo e Cts, ieri chiuso in conclave, hanno ripreso in mano quel manuale di intervento disegnato su quattro scenari, al quale fa spesso riferimento Conte quando dice «abbiamo messo a punto degli indicatori che ci consentono di intervenire tempestivamente dove ce n’è bisogno». E al momento appare chiaro che regioni come Lombardia (ieri contagi raddoppiati a 4.125 casi), Piemonte, Lazio e Campania, sono già in quell’area arancione del terzo scenario, che di lucchetti inizia a chiuderne un bel po’. Anche se poi tra ministri e governatori l’idea che circola è quella di limitarsi per ora a tendere un cordone sanitario intorno alle grandi città dove il virus circola più velocemente. 

Gli scienziati dicono che ancora Roma tiene. E di certo mettere in lockdown la Capitale equivarrebbe a mandare un messaggio poco incoraggiante al Paese. 

Il ventaglio delle misure attivabili nelle aree arancioni, metropolitane, provinciali o regionali che siano, è già stato messo nero su bianco da Cts, Regioni e Salute: si va dai lockdown sub-provinciali, all’interruzione di attività produttive considerate più a rischio. Come stabilimenti di macellazione o aziende di spedizione. Nel menù anche il blocco dei confini regionali, i doppi turni a scuola e la didattica a distanza. Anche se il piano si spinge fino alla chiusura secca di scuole e università.


Nessun commento:

Posta un commento