Guardando l’esperienza di Wuhan i primi dasi sull’efficacia delle misure adottate sono arrivati 16-18 giorni dopo dell’implementazione di misure severissime, molto più severe di quelle che stiamo vivendo noi.
«Non c’è un dato assoluto a cui dobbiamo puntare che ci dirà che siamo fuori pericolo ma dobbiamo osservare una curva discendente di contagi che si prolunga nel tempo.
Se tra qualche giorno vediamo che il trend è in discesa vuol dire che le misure adottate hanno funzionato. Ma se in quel momento molliamo, riaprendo scuole, stadi, palestre, il rischio è che i casi riesplodano e i sacrifici fatti non saranno serviti. Se il trend invece continuerà a salire vuol dire che le misure adottate non sono state sufficienti e dovranno essere riviste per renderle più stringenti.
Qualunque sacrificio in più faremo oggi non sarebbe nulla in confronto a quello che potrebbe accadere se il virus partisse libero perché il nostro sistema sanitario andrebbe in tilt. Il paziente uno, quel ragazzo di 38 anni che non è un anziano ma uno sportivo è ancora in vita perché è curato in modo adeguato e ha trovato un posto in terapia intensiva. Se ci ammaleremo tutti insieme gli ospedali andranno al collasso. Anche le persone più giovani possono sviluppare sintomi gravi».
L’obiettivo, lo sappiamo, è spingere il più possibile in avanti l’epidemia. Forse non riusciremo a batterla, ma contenerla sì . «Ci sono diverse speranze: che il coronavirus diventi più buono, ma quando e se succederà non lo possiamo ancora sapere. Inoltre il fattore meteo potrebbe essere rilevante: altri coronavirus in generale circolano in primavera , ma quando arriva l’estate tutti i virus respiratori si trasmettono meno, non fosse altro perché le scuole chiudono (serbatoio molto importante di trasmissione) e si sta di più all’aria aperta».
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