Maggio Musicale Fiorentino in crisi (2006)
Poco meno di un anno fa un noto
quotidiano sembrava gioire della crisi della Scala e profetizzava un
futuro roseo del Teatro del Maggio Fiorentino. La Scala ha perso Muti
- e meno male, finalmente ha fatto la fine dei despoti – ed è a
corto di idee; così scriveva il quotidiano che aggiungeva: il
salvatore Mauro Meli è stato costretto alle dimissioni prima ancora
di fare anche a Milano i suoi costosi miracoli; Lissner deve
praticamente inventarsi una stagione che non c’è e via dicendo. A
Firenze, invece, c’è un sovrintendente intellettuale - van Straten
– amico di Veltroni; c’è un buon team artistico con Mazzonis,
Cesare(da non confondere con Stefano, comandante di ventura a
Bologna) e Tangucci; c’è un grande direttore come Zubin Mehta e,
quel che più conta, ha già cartelloni fatti per le prossime
stagioni e le star in arrivo non si contano. Dunque Firenze è meglio
di Milano, e la Scala al Maggio gli fa un baffo. Questo scriveva
gongolante La Repubblica, che al glorioso teatro fiorentino ha
portato sfiga, una sfiga nera, perché nel giro di poco tempo van
Straten viene richiamato a rotta di collo dall’amico Veltroni per
evitare che alla sua gestione venga addebitata la grave situazione
economica, come se ci fosse qualchedun’altro responsabile di quella
situazione (i fatti sono anteriori agli ultimi drastici e sciagurati
tagli governativi al FUS). A Firenze si tenta di portarci un nuovo
sovrintendente; impossibile, perché ai sovrintendenti ‘sinistri’
si vuole ad ogni costo affiancare direttori artistici ‘destri’ e
l’amministrazione ‘sinistra’ di Firenze non accetta lo scambio
che altrove altri amministrazioni di opposta posizione hanno sempre
accettato, fino alla decisione dell’altro mese di portare a Firenze
una coppia di salvatori, Giambrone sovrintendente e Arcà direttore
artistico.
Fin qui la cronaca politico-amministrativa. Che ne è ora
del Maggio 2006, 69° della storia? Semplicemente, quest'anno, il Maggio non esiste. Non esiste perché non ci sono soldi (ma la
causa del deficit è anteriore ai tagli), e non esiste soprattutto
perché non c’è un briciolo di idea. A Firenze non vale il detto
che la difficoltà aguzza l’ingegno. Del glorioso festival è
rimasto quest’anno solo un Falstaff diretto da Mehta con la regia
di Luca Ronconi (l’ultimo Falstaff verdiano che si ricorda a
Firenze, ebbe luogo nel 1998, e portò in Italia per la prima volta
in teatro il direttore Antonio Pappano oggi osannato in tutto il
mondo. Se non andiamo errati l’unico critico cui il direttore non
piacque fu quello de La Repubblica). Poi soltanto alcuni concerti,
certamente di rilievo quelli diretti da Mehta e da Daniele Gatti. E
solo per tirare a campare tutti gli altri senza eccezione, molti dei
quali raggruppati sotto il titolo: Mozart &… (Antonello
Manacorda, Federico Maria Sardelli, Carlo Montanaro, Giuseppe Mega,
Ivor Bolton), che dovrebbero rinverdire la grande tradizione
concertistica del Maggio. Una sola orchestra ospite, la New York
Philharmonic diretta da Maazel, in quei giorni in tournée in Italia.
Infine, una maratona pianistica affidata agli allievi dell’Accademia
di Imola. Anche in questo caso il Maggio, ormai con la corda al
collo, ha chiesto aiuto ai giovani musicisti imolesi; idee zero!
Dopo
il commissariamento del Maggio, e dopo neppure un anno dalla sfiga
lanciatagli dal noto quotidiano, Firenze non solo non insidia più La
Scala ma rischia addirittura di non fare più paura a nessuno,
avviandosi ad un degrado irreversibile.
(Pietro Acquafredda)
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