In una intervista dell'altro ieri al tenore Roberto Alagna, che si leggeva sul Corriere, il noto tenore - intervistato da Giuseppina Manin - riprende il discorso di quando abbandonò l'Aida del 7 dicembre 2006, a metà dell'opera, perché infastidito da reazioni, non meritate a suo dire, da parte del pubblico.
Da allora - e sono trascorsi ben oltre dieci anni - Roberto Alagna, non ha voluto più cantare in quel teatro, mentre contemporaneamente viene costantemente applaudito a Parigi come al Met di New York dove è considerato una vera star.
Diciamo subito, a scanso di equivoci, che l'intervista era motivata dall'uscita di un nuovo Cd del tenore, in coppia con la sua attuale moglie, soprano, interamente dedicato a Puccini. E l'uscita di un nuovo disco è ritenuta condizione sufficiente per intervistare un musicista, anche se non si tratta di un grande evento o di assoluta novità, ed il musicista stesso non ha nulla da annunciare di nuovo e di interessante. Il mondo va così.
Alagna ha ancora paura della Scala, lo ha detto chiaramente, teme una reazione simile a quel 7 dicembre di molti anni fa. Ogni altra ragione per giustificare questa sua ormai prolungata assenza dal palcoscenico milanese è priva di senso. Giustificarsi con la programmazione fuori tempo massimo dei nostri teatri lo abbiamo sentito tante volte e o non solo da lui. Ad esempio da Cecilia, la divina Bartoli, che ha sempre girato alla larga dai teatri italiani, perchè - si giustificava- la sua agenda veniva programmata con molti anni di anticipo mentre i teatri italiani programmano all'ultimo momento. Salvo che, all'uscita di un nuovo Cd , la divina non trovasse sempre il tempo di girare anche l'Italia in lungo e largo, per promuoverlo. Ed ora addirittura, anche il tempo di risiedere alla Scala per tre stagioni consecutive e per un mese circa a stagiona. Si dirà: la Scala è la Scala e anche all'ultimo momento il tempo per cantarvi si trova.
Dunque se si vuole si può cantare anche in Italia, specie ora che i teatri, alcuni almeno, programmano con un certo anticipo.
Ma Alagna, nell'intervista , ha ribadito ciò che noi altre volte abbiamo scritto. e cioè che in Italia gli artisti troppo spesso non vengono pagati, e quando ciò accade, quasi sempre con molto ritardo. Naturalmente non è tanto Alagna e quelli come lui - della sua stessa notorietà - a non essere pagato in tempo, quanto, invece, gli artisti giovani. Sappiamo di molti di questi che devono far causa al teatro per ottenere compensi di parecchie stagioni prima, e che, in molti casi, devono accettare drastiche riduzioni, per avere quei quattro soldi, dannati.
Mai, invece, abbiamo sentito che un sovrintendente si sia fatto pagare lo stipendio in ritardo per pagare, in tempo, un artista che ha ospitato. Che so? Lo ha mai fatto, tanto per esemplificare, Michele dall'Ongaro a Santa Cecilia, ammesso che anche l'Accademia, abbia avuto necessità di ritardare qualche pagamnto? Non crediamo. Eppure dall'Ongaro percepisce uno stipendio di 240.000 Euro - sì, avete capito bene, come il Presidente della repubblica: i due Presidenti! - che secondo noi, anche un pò invidiosi, è un quasi furto!
Infine Muti. Anche lui ha un conto aperto con la Scala. Qualche mese fa sembrava che Pereira lo avesse convinto a tornare, ed invece ancora non torna. Teme reazioni, come quelle che teme Alagna? No, davvero. Alla Scala ci è già tornato con la sua orchestra americana, accolto calorosamente. E allora ? Evidentemente lui vuol fargli pagare alla Scala, alla sua ex orchestra, un conto salato che ancora non è stato, a suo pensare, ancora saldato.
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