Il potente 'beccato', solitamente si infastidisce e porta in tribunale il giornalista e la testata per la quale lavora. Fa istruire un processo civile e chiede dei danni, che solitamente egli commisura al suo prestigio professionale o sociale; il giornalista, se perde la causa e la testata per la quale lavora non si accolla le spese, va in rovina e la volta successiva, prima di scrivere cose che potrebbero infastidire il potente di turno, pur dovendo per l' etica professionale, ci pensa due volte. Ed anzi tace, riflettendo fra sé e sé: ma chi me lo fa fare, mica posso pensare di essere stato investito della missione divina di cambiare il mondo. Che vadano in malora il mondo e i suoi potenti.
Questo pensiero ha toccato tante volte anche noi, specie alla viglia della conclusione di una causa contro di noi. Per fortuna, fino ad oggi, si sono concluse, sempre a nostro favore. E meno male, perchè in questo tipo di cause viene coinvolta tutta la famiglia del giornalista che dall'oggi al domani, potrebbe essere privata di quel pò di benessere che tutti i membri si sono conquistati lavorando sodo ed a lungo.
Noi abbiamo sempre lavorato nel campo della musica, dove, per nostra fortuna non si hanno responsabilità come ne hanno tanti professionisti di altri campi - pensiamo soprattutto ai medici ma anche agli insegnanti (noi, come insegnante, nella nostra parallela professione parallela, siamo stati sempre irreprensibili) e dunque abbiamo potuto anche osare, tenendo però sempre presente che le star vere o presunte, se la tirano come e forse più dei potenti di turno, sono narcisiste e non tollerano che la loro immagine, un critico musicale qualunque tenti di offuscare.
E, per fortuna ancora, c'è qualche magistrato che considera la critica esercitata correttamente, senza recare offesa od insulto alla persona possa essere ancora esercitata - ci riferiamo naturalmente sempre al settore della musica.
Parliamo di casi che conosciamo bene, perchè ci hanno riguardato personalmente. L'ultima volta che un personaggio ci ha trascinati davanti al giudice, chiedendoci 150.000 Euro di danni (una somma che noi non abbiamo mai guadagnato nel corso di un intero anno, anche quando al lavoro giornalistico ed a quello di professore in Conservatorio, univamo più d'una collaborazione in Rai) il magistrato ha scritto chiaramente che noi avevamo esercitato, in maniera corretta, la funzione critica, dunque la richiesta di danni per calunnia, l'ha rigettata. Evviva.
L'ultimo che ci ha accusati di calunnia che però ha perso la causa - per non fare nomi: Michele dall'Ongaro - in fondo non è stato così esoso: in considerazione del suo valore, scarsino?
A noi è anche accaduto che un direttore d'orchestra, appartenente ad una famiglia molto in vista, che si ritenne calunniato da un nostro articolo nel quale non apprezzavamo la sua professionalità, senza naturalmente offendere l'interessato, richiedesse un risarcimento miliardario (eravamo alla vigilia dell'entrata in vigore dell'Euro) motivata con il prestigio, anche internazionale, della famiglia di appartenenza, che dalla nostra critica era stata in certo modo infangata. Quel giudizio si interruppe durante il suo corso, anzi quasi all'inizio, per l'intervento, a questo punto taumaturgico, di un comune amico che fece da paciere e da notaio dell'accordo. Noi eravamo sicuri di vincere la causa, ma se l'avessimo persa per pagare il risarcimento miliardario l'unica possibilità era andare a servizio di quella famiglia, e cambiare mestiere. Che era poi ciò che il direttore e la sua famiglia in fondo si proponevano di ottenere con quella causa, per noi 'temeraria'.
(Ci scuserete se non facciamo il nome; del caso dall'Ongaro abbiamo scritto già su questo blog quindi il nome era noto e per questo lo abbiamo rivelato).
Sia il precedente caso che questo avevano come corpo del reato un paio di riviste di musica, e dunque a pagare saremmo stati solo noi, perché le riviste non avevano neanche le lacrime per piangere.
Tali liti temerarie sono spesso sostenute dagli stessi legali che, quando mettono le mani su un affare riguardante una famiglia o persona in vista, pensano solo a spillare soldi a chi intenta la causa, senza pensare che potrebbe ridurre in miseria il povero giornalista, del quale cosa gli può fregare?
No ci sono più i principi del foro di un tempo, come il celebre avv. Gatti il quale, tanti anni fa, quando dirigevamo Piano Time, consigliò al violinista Uto Ughi di non farci causa, a seguito di una recensione negativa di un suo disco appena uscito, perchè la causa l'avrebbe persa. E lui ascoltò il celebre avvocato. Questa storia ci venne rivelata da alcuni amici, perché la richiesta di patrocinio all'avv. Gatti era stata rivolta dal violinista, in un salotto bene di Roma, di via Condotti, del quale i nostri amici erano ferquentatori.
Ma sapete come andò a finire la storia? Il nostro collaboratore che aveva scritto quella recensione negativa che noi avevamo deciso di pubblicare, fu invitato dalla casa discografica del violinista a scrivere le note illustrative del disco successivo di Ughi. E lui accettò. Ma lì non poteva sgarrare, perchè la casa discografica gli avrebbe rimandato il suo scritto con tanti saluti.
Infine, un altro caso, che comunque non chiude la serie che ci ha toccato in quarant'anni circa di attività giornalistica, che ebbe come protagonista Luciano Berio, sì il celebre musicista, all'epoca sovrintendente dell'Accademia di Santa Cecilia - siamo perciò agli inizi degli anni Duemila. Avevamo scritto che l'Accademia - dunque Berio, suo legale rappresentante e massimo vertice - attraverso un 'ESCAMOTAGE' era riuscito a dare ai privati un rappresentante nel Cda dell'Accademia, appena trasformata in Fondazione, per decisione di Uolter , l'americano, ministro della cultura. Era accaduto che più soggetti di gran peso, con una quota irrisoria ciascuno, avevano raggiunto la quota minima richiesta per avere un rappresentante in Cda. Noi scrivemmo che era stato un regalo a questi privati, perché in fondo avevano tirato fuori dalle casse dei vari enti, che fatturavano milioni di Euro, pochi soldi, alla stregua di un privato cittadino, neppure tanto abbiente.
Berio che conosceva l'italiano meno della musica, difeso dall'avv. Marotta ( Musica per Roma; perciò non pagava neanche l'avvocato, perché se lo avesse dovuto pagare forse avrebbe rinunciato a querelarci!), sostenne che quel termine da noi usato 'ESCAMOTAGE' , era sinonimo di 'IMBROGLIO', e dunque noi lo avevamo accusato di imbroglio. Chiaro si trattava di lite temeraria, perchè più d'una volta avevamo avuto da ridire sull'operato di Berio, il quale, quella volta, colse la palla al balzo, per farci pagare altre nostre 'malefatte' - o quelle che tali sembravano ai suoi occhi: cioè i nostri numerosi appunti critici, perchè egli, potente come tutti gli altri potenti, non tollerava che un giornalista qualunque lo criticasse, anzi accusasse. Berio morì prima che la causa si concludesse. E il suo successore Bruno Cagli, decise di ritirare la querela che Berio aveva fatto a nome dell'Accademia.
Per concludere, l'ultima volta in cui si prese in considerazione la necessità di legiferare in tale materia, fu quando Sallusti passò, se ricordiamo bene, qualche giorno dietro le sbarre.
Ma i potenti preferiscono sempre la causa civile con richiesta di danni, molto più efficace del carcere, che solitamente non viene comminato per l'evidente sproporzione fra l'offesa e la pena, mentre la richiesta di danni in Euro è più efficace e convincente con i giornalisti che, ieri come oggi, salvo eccezioni oggi rarissime, non se la passano bene.
Ora un progetto di legge presentato dal giornalista Di Nicola, udite udite, senatore Cinquestelle - il Movimento che vorrebbe i giornalisti con la bocca cucita e le mani legate! - propone che quando il giudice si rende conto che trattasi di 'liti temerarie', che hanno cioè lo scopo di intimidire e ricattare il giornalista accusatore o anche semplicemente 'critico', condanni colui il quale si è ritenuto calunniato ed ha chiesto soldi risarcitori, che sia egli a pagare il giornalista, con la metà della somma richiesta come risarcimento. Sarebbe bello ma non nutriamo neanche un centesimo di speranza che il Parlamento approvi tale progetto di legge; come non c'è da sperare che il Parlamento decreti la riduzione delle indennità che oggi percepiscono i suoi membri, o, ancora, che approvi il taglio del numero dei Parlamentari e Senatori.
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