L'Organo e la nuova
musica in Italia
Appunti
&Considerazioni (1983) e un'Appendice ( 2015)
di Pietro Acquafredda
Non deve apparire fuori
luogo se, parlando dell'organo e della 'nuova' musica italiana,
prendiamo le mosse da un caso simile e altrettanto clamoroso: quello
dell'opera, intendiamo.
Le dichiarazioni infuocate
di molti esponenti dell'avanguardia di non molti anni addietro,
confrontate direttamente con la produzione 'operistica' recente,
anche di quegli stessi esponenti, dimostra come ci si possa ravvedere
anche su postulati, affermazioni di principio, quando non vere e
proprie dichiarazioni di guerra o addirittura condanne a morte nel
giro di qualche anno. E non tanto perché siano venuti meno i
presupposti di tali dichiarazioni, quanto forse, più semplicemente,
perché le porte dei teatri ed i loro palcoscenici, non importa se
tra fischi e contestazioni, si sono aperte anche ai nuovi
compositori.
Che sarebbe a dire: quando
la Scala chiede a Boulez di scrivere un'opera – e tutti sappiamo
che ne sta scrivendo una per il teatro milanese – egli è disposto
a sbianchettare ciò che un tempo scriveva nella sua estetica: “i
teatri andrebbero fatti saltare!”.
Perciò
l'accostamento fra le recente storia dell'opera e quella dell'organo
non deve apparire fuori luogo e neppure forzato. A voler prestare
incondizionata fede ad alcune dichiarazioni che come mosche bianche -
a causa della scarsa incidenza del nostro strumento nella vita
musicale odierna rispetto al teatro - troviamo disseminate qua e là
nelle considerazioni di molti autorevoli musicisti d'oggi, si
dovrebbe dedurre che essi non nutrano particolare interesse per
l'organo.
E'
nota l'affermazione di Stravinskji
che definì l'organo: “il mostro che non respira mai” ;
o di
Dallapiccola che dichiarava la sua totale ignoranza dello strumento a
Rudy Shackelford, quando gli sottopose una trascrizione per organo
del suo Quaderno musicale di Annalibera
pianistico, già oggetto di una trascrizione dell'autore medesimo,
per orchestra, dal titolo:Variazioni
per orchestra.
Dallapiccola,
in particolare, in una lettera inviata al musicista che aveva preso
la singolare iniziativa della trascrizione, scriveva: “E' molto
interessante apprendere che Ella ha intravista qualche possibilità
di una trascrizione per organo del mio Quaderno
musicale di Annalibera , ma
poiché io non suono l'organo, sarebbe per me assai difficile
giudicare le reali qualità e importanza della sua trascrizione.
Sarò all'estero per alcuni mesi ancora, e spero perciò che Ella
avrà tempo sufficiente per spedirmi un nastro con la sua esecuzione
e con la musica...”
La
trattativa si concluse con la pubblicazione, approvata dall'autore,
della trascrizione.
*
Sulla
discussione teorica intorno all'organo, siamo in grado di produrre un
documento di eccezionale importanza, una primizia per l'Italia,. Una
lettera di Schoenberg, datata 10 maggio 1949, indirizzata al
musicologo David Werner, non inclusa nella raccolta di lettere del
musicista viennese pubblicata in Italia, fornitaci gentilmente da
Giacomo Manzoni, che l'ha anche tradotta e che ringraziamo
doppiamente.
Scriveva
Schoenberg:
”Considero l'organo come uno strumento innanzitutto a tastiera, e
scrivo per le due mani come le si possono far agire su una tastiera.
Sono poco interessato ai timbri dell'organo: per me i timbri hanno
solo ed esclusivamente il senso di rendere distinta l'idea, l'idea
motivica e tematica ed eventualmente la sua espressione e il suo
carattere. Ho scritto questa composizione su richiesta della Gray
Company che ha pubblicato una serie di pezzi moderni per organo (
Schoenberg si riferisce a Variations
on a recitative del
1941, op.40).
In
verità avrei dovuto scrivere un pezzo breve, ma le variazioni mi
hanno interessato molto e ne è venuto fuori un lavoro lungo.
A dire
il vero il mio punto di vista sull'organo l'ho già stabilito più di
40 anni fa in un saggio che non ho mai portato a termine e quindi non
ho pubblicato. In quel saggio esprimevo l'esigenza che uno strumento
così gigantesco dovesse offrire la possibilità di operare
simultaneamente ad almeno due e fino a quattro suonatori, e che
eventualmente vi si potesse aggregare una seconda, una terza o una
quarta consolle. Davo particolare importanza alla dinamica, poiché è
solo questa che determina la chiarezza, cosa che la maggior parte
degli organi non riesce a raggiungere.
Se
non si pensasse alla grandiosità della letteratura per organo e allo
stupendo effetto che essa produce nelle chiese, ci sarebbe da dire
che l'organo oggi è uno strumento invecchiato. Nessuno, musicista o
amatore, ha bisogno di tutti i timbri che ha l'organo, insomma di
tutti questi
timbri. Sarebbe, invece, molto importante che questo strumento
potesse modificare dinamicamente ogni singolo suono preso a sé
stante e non l'intera successione di ottave, e ciò dal pianissimo
più impercettibile al forte
più poderoso.
Penso
pertanto che l'organo del futuro dovrebbe avere questa costituzione:
non ci saranno 60 o 70 timbri diversi, ma un numero assai limitato (
penso che sicuramente potrebbero bastarne da 2 a 6). Questi
dovrebbero però estendersi su tutte le sette od otto ottave
esistenti, ed ognuno di essi dovrebbe avere la massima completezza
delle possibilità dinamiche, dal massimo pianissimo
al massimo forte.
L'organo
del futuro non dovrebbe essere più grande all'incirca di una volta e
mezzo una macchina da scrivere portatile, dato che anche sui tasti di
una macchina da scrivere è bene non sbagliarsi troppo spesso. Perché
mai un esecutore non dovrebbe riuscire a scrivere a macchina senza
fare nessun errore?
Immagino
che disponendo di uno strumento portatile di questo tipo i musicisti
e gli appassionati di musica potrebbero trovarsi la sera in casa di
qualcuno e suonare duo, trii e quartetti: avrebbero così la
possibilità reale di riprodurre il contenuto di pensiero di
qualsiasi sinfonia.
Naturalmente
questa è una fantasia avveniristica, ma chissà se ne siamo poi
tanto lontani. Se un giorno potrà accadere, come già avviene oggi
con la radio, e cioè che il suono possa essere prodotto in casa
liberamente, tutto questo sarà sicuramente possibile”.
***
Giacomo
Manzoni, a commento della lettera di Schoenberg, ci ha scritto:” La lettera interessa non
tanto per il riferimento alle Variations,
quanto
per le considerazioni generali sull'organo, meritevoli di qualche
riflessione ancora oggi. Dunque, Schoenberg non amava l'organo. La
sua esigenza di massimo nitore nella scrittura polifonica non ha
bisogno di essere suffragata altro che dalla sua tipica
strumentazione per 'linee di forza', con in più - nel caso
nascessero dei dubbi - le note indicazioni per la voce principale e
per quella secondaria, già ben presenti nelle partiture più
infocate del periodo dell'emancipazione della dissonanza, ivi
comprese Erwartung
e Gluckliche Hand. E,
del resto, l'organo non era l'unico strumento di cui Schoenberg fosse
insoddisfatto: basta rileggersi la nota 'L'avvenire degli strumenti
dell'orchestra', del 1924, per rendersi conto di quali e quante
fossero le esigenze che il musicista poneva a tutti gli strumenti
dell'orchestra. Ben poco si salva qui per l'orchestra dell'avvenire:
il clarinetto, il corno, gli archi, e quasi nient'altro. La scarsa
propensione per l'organo va dunque collegata a questo generale
bisogno di palingenesi di tutto lo strumentario attuale, e solo in
questo ambito varrebbe la pena di fare un discorso di merito sulle
osservazioni schoenberghiane.
Ma
vi è un altro aspetto più singolare, che preferiamo sottolineare
qui, e che una volta ancora denota la disposizione di Schoenberg a
spingere lo sguardo nell'avvenire e a disegnare sviluppi non troppo
lontani dalla realtà: ed è quello che occupa la parte centrale
della lettera, con la previsione del possibile futuro
dell'organo.
Non so quanto fosse noto a Schoenberg delle Ondes
Martenot (1928), del Trautonium (1930), dell'Organo Hammond (1934) e
di strumenti analoghi; ma non è tanto l'aspetto che ci può essere
di somiglianza con questi strumenti - anche se egli non parla di
strumenti elettrici - che richiama l'attenzione, ma piuttosto un
altro, di ordine sociale e persino di mercato.
Formatosi ancora nella brande tradizione della borghesia
centroeuropea appassionata di musica e praticante essa stessa fra le
mura domestiche, in questo scritto egli si muove ancora totalmente in
quell'ambito. E tuttavia ha probabilmente intuito che il pianoforte,
strumento principe i quella tradizione, è in qualche modo al
tramonto: troppo ingombrante nei ristretti ménages della società di
massa, troppo costoso, il suo declino era già iniziato da tempo, il
'consumo' individuale e famigliare di musica venendo man mano
delegato sempre più a strumenti di riproduzione ( dal giradischi
alla radio). In altri termini, la musica fatta in casa, fra buoni
'dilettanti' di strumento, sembrava probabilmente allo Schoenberg
degli anni Quaranta destinato ad un declino irrimediabile. Ed ecco
che la prospettiva di uno strumento di tipo affatto nuovo, portatile,
presumibilmente acquistabile a prezzo non esorbitante, gli indicava
in prospettiva la possibilità di recuperare alla musica una quantità
di persone che ne erano state gradualmente allontanate.
L'idea di Schoenberg, espressa nelle lettera in termini
utopici e presumibilmente impraticabili, si è tuttavia andata
realizzano nei decenni successivi - anche se in termini concretamente
differenti – attraverso l'invenzione della miriade di strumenti
elettronici veramente portatili, di prezzo accessibili e quindi di
grande diffusione, che dilagano presso le famiglie quanto e anzi in
misura ben maggiore rispetto al pianoforte borghese nel passato.
La
tecnica costruttiva oggi possiede tutte le possibilità per fare di
questi strumenti qualcosa di timbricamente dignitoso,
sufficientemente fornito di sfumature dinamiche per realizzare, come
vuole Schoenberg, 'qualsiasi sinfonia' a più mani, nella dimen sione
domestica, durante il
tempo libero. Naturalmente
l'industria si guarda bene dal produrre strumenti di questo tipo, e
una volta di più il mercato di massa al livello più basso minaccia
di far degenerare in approssimazione e banalità della peggior specie
ciò che potrebbe essere indirizzato in un senso autenticamente
culturale, di conoscenza reale della musica nella sua teoria e
prassi.
Rimane,
di valido dunque ancora adesso l'intuizione formidabile di questo
strumento, allora avveniristico, oggi pienamente realizzabile; resta
l'indicazione del possibile recupero concreto di un fare musicale che
sia attivo e cosciente, in contrapposizione con la passività
dilagante e la consegna delle coscienze allo squallido conformismo
consumistico; e rimane, perché no, l'attesa che un'iniziativa
illuminata di industrie, di consorzi, di editori, ponga mano a
realizzare uno strumento che vada nella direzione indicata da
Schoenberg. Ancora una volta, in lui, la scissione fra la coscienza
dell'eletto
e quella della moltitudine si risolve in visione concreta, razionale,
in fiducia nella possibilità di un arricchimento culturale
dell'uomo; e poco importa che ciò sia nascosto fra le pieghe di una
lettera destinata a restare per lungo tempo pressochè ignorata”
***
La
lettera-saggio di Schoenberg mentre da un lato mostra alcune
importanti intuizioni, come quella di vedere l'organo tornare ai suoi
colori archetipi - la riduzione dei timbri da due a un massimo di sei
è accenno interessante - che ridiano allo strumento quanto meno una
fisionomia netta e precisa,, come anche l'altra relativa alla
necessità di trovare per detti colori “la massima completezza
delle possibilità dinamiche”, d'altro canto alle nostre orecchie
suona come un divertissement avveniristico intorno allo strumento,
benché sappiamo del suo sforzo teorico sulla futura fisionomia di
tutta l'orchestra e dei suoi componenti, quasi a voler portare la
rivoluzione dei 'dodici suoni' anche in ambito strumentale.
L'accenno
poi a più suonatori che operano magari su diverse consolle onde
sfruttare al massimo le risorse di questo enorme strumento, suggerito
forse al musicista da alcuni strumenti di tal foggia costruiti negli
Stati Uniti, mal si adatta all'organo del futuro così come lo
prefigura, e cioè “ non più grande una volta e mezza una macchina
da scrivere portatile”, sulla quale ' battere' tutto il repertorio
musicale; e c'è, infine, il dichiarato disinteresse per il timbro.
Sinceramente
si fatica a seguirlo in un tale percorso, lontano dalla logica e
dalla consequenzialità che, invece, leggiamo nella sua teoria
musicale. E, comunque desta curiosità!
***
Più
di recente è intervenuto sull'argomento Gyorgy
Ligeti,
autore di Volumina (1961-2)
“L'organo
destò il mio interesse a causa della sua ricchezza di possibilità
timbriche ancora inesplorate, ma anche, e soprattutto, a causa delle
sue deficienze: la sua goffaggine, la sua rigidità e spigolosità.
Questo strumento somiglia d una gigantesca protesi. Ero curioso di
scoprire come si sarebbe potuto imparare a camminare di nuovo con
questa protesi. Nello schizzo della mia composizione per organo
Volumina
presi
quindi le mosse soltanto dai presupposti del meccanismo dell'organo,
ivi comprese le sue imperfezioni. Con l'organista Karl-Erik Welin -
con il quale sono in debito non solo per i suoi preziosi consigli,
ma anche per aver eseguito per la prima volta il pezzo - e stimolato
dalle Konstellationer
I di
Bengt Hambraeus, le quali aprivano alla creazione di un nuovo stile
organistico strade fino a quel momento sconosciute, approdai ad una
nuova tecnica per l'esecuzione organistica....”
***
In
occasione della presentazione delle nuove musiche scritte per i
restaurati organi della Basilica di San Petronio a Bologna, sono
riemersi alcuni antichi pregiudizi e manifestata la stessa
indifferenza - presunta? - nei riguardi dello strumento.
“Se
si eccettuano rari scampoli dettati da una devozione un po' retrò e
da qualche prurito sprimentalistico, i musicisti del nostro tempo
ostentano nei confronti dell'organo una fondamentale indifferenza.
Rigido, ingombrante, timbricamente poco duttile, a meno di ricorrere
ai giochetti dell'apertura parziale dei registri, o dello spegnimento
momentaneo del motore per cavarne lugubri singhiozzi e Clusters che
lo trasformano in un generatore spietato di blocchi sonori
compattissimi, l'orgno ha finito per diventare lo strumento del
Capitan Nemo, di Frankenstein e di altri deliranti personaggi
fantascientifici.
Le
Variations on a recitative di
Schoenberg, le pietrose Sonate di
Hindemith, le sgangherate Variations on
America di
Ives, Volumina
o Etudes
di Ligeti sono, pur fra grandi diversità, sentieri che non conducono
in nessun posto. Alla base sta, infatti, più o meno esplicita,
l'intenzione di laicizzare lo strumento mutandone bruscamente le
caratteristiche sonore. Sollecitato in tal senso, l'organo somiglia a
un gigante intrappolato che emette sussulti sgraziati.
Il
vero problema, però, non è quello di fargli cambiar voce, semmai di
inserirlo in contesti ove si spengano gli echi storici che la sua
voce fa di solito lievitare, con l'inesorabilità tipica dei riflessi
condizionati” ( Enzo Restagno. Per
gli organi antichi
di San Petronio anche
un trittico moderno.
Programma di sala, Bologna 1982).
***
Anche
qui si ripropone il tema dell'indifferenza dei compositori d'oggi
verso l'organo, come quello dello strettissimo legame dell'organo
con l'ambiente nel quale è solitamente collocato e,
conseguentemente, degli echi che inevitabilmente esso risveglia, in
ragione della sua funzione.
Non
pienamente convinti di alcune di queste tesi, ed anche del futuro
dell'organo abbiamo avviato, in occasione di questa nostra relazione
sull'argomento, nelle manifestazioni per l'inaugurazione dell'Organo
Tamburini dell'Auditorium 'Nino Rota' del Conservatorio di Bari (
1983) un sondaggio, tramite questionario, fra i più autorevoli
compositori italiani per conoscerne il pensiero.
Francesco Pennisi,
ad esempio, ci ha risposto: ” Si dirà che per ogni strumento la
sua grande stagione storica (quasi tutti ne hanno), pesa sull'idea
che dello strumento stesso si ha. Ma quanto all'organo, l'evocazione
dell'epoca d'oro si associa a quanto la sua tradizionale
installazione, la cantoria della chiesa, conferisce al timbro che
comunemente è già ritenuto 'liturgico'. Inoltre, se si escludono
gli antichi organi portativi, si tratta di strumenti inamovibili,
spesso appositamente progettati per determinati ambienti che si
direbbero diventarne parte integrante, e la differenza timbrica o di
resa che da ciò deriva è ben maggiore di quella che, per esempio,
corre fra due pianoforti.
Tutte
queste ovvie considerazioni danno la misura del limite ma anche del
fascino dello strumento e indicano anche una possibile risposta ad
alcune domande poste nel questionario.
Lo
sappiamo: l'organo è assente dalle stagioni concertistiche ufficiali
perchè le stagioni sono quasi sempre costruite secondo un 'Artusi'
d'abitudine ( molto pianoforte, un po' di violino, un pizzico di
quartetto, un sospetto di Lied, niente organo...), ma anche perché
lo strumento è spesso altrove e le stagioni tendono ad identificarsi
con una sala. Se poi mancano gli interpreti per garantire esecuzioni
frequenti, non sarà proprio perché mancano le esecuzioni frequenti
per garantire gli interpreti?
Infine,
quanto all'efficacia espressiva del nostro strumento, non vedo perché
oggi il compositore che lo voglia e che ne abbia interesse non possa
scrivere per l'organo. La presenza, la 'pressione' della grande
stagione dell'organo è assimilabile a quella più generale del
'Passato' che il compositore a suo modo e a sua misura avverte,
evidenzia, ignora, contrasta nel suo quotidiano lavoro e in tutto lo
spettro dei parametri della composizione”.
E
Aldo
Clementi, autore
di due brani organistici, uno dei quali, Manualiter
del 1973, abbastanza complesso: “in questo lavoro si rivela
l'interesse contrappuntistico come negli altri miei lavori. L'organo
è strumento efficace quanto
tutto
il restante materiale timbrico”.
Paolo
Castaldi, alla
domanda se l'organo sia ancora oggi un efficace mezzo di epressione,
risponde: “ Come ogni volta, le previsioni contano meno delle
opere. Se ci saranno grandi opere, ci sarà chi le suona. Ho scritto
per il grande strumento, per ora, solo due cose: Concerto
d'organo ( 1967)
e Litania
(1982), quest'ultimo
recentissimo, ed inedito, ha una forma un po' curiosa e va stabilito
un ordine di sequenza dei componenti secondo certe norme (titoli
latini di senso compiuto) a schema fisso. Non è un mobile
e
tanto meno un'
avanguardiata, spero
bene: questa caratteristica nasce dalle caratteristicamente
organistiche combinazioni
aggiustabili cioè,
insomma, dal tipo di possibilità di questo strumento di richiamare
istantaneamente a distanza di tempo timbri melangés anche elaborati
e complessi, che si legheranno alla data pertinenza
formale
dell'elemento. Si tratta però, me ne rendo conto, di un discorso
insensato se non se ne vede l'oggetto”.
Appendice
Cantantibus
organis di Franceco
Filidei.
Milano Expo 2015
La mia doppia formazione di compositore ed organista
indirizza la mia proposta verso il mondo dell'organo. L'Expo 2015
potrebbe rappresentare in effetti un'ottima occasione per evidenziare
lo straordinario patrimonio artistico costituito dai numerosi organi
delle Chiese di Milano: accanto ed attraverso di essi passa una
tradizione certo sottovalutata, che dai Gabrieli e Frescobaldi ha
continuato, sebbene in sordina, fino a Marco Enrico Bossi, autore che
non ha niente da invidiare ai compositori/organisti europei della sua
epoca. Berio, Donatoni, Bussotti, Sciarrino, Fedele ed ancora Mauro
Lanza, fra i più giovani, hanno contribuito ad arricchire il
repertorio; ma, ancora, manca una attenzione più generale in Italia
per uno strumento imprescindibile nella storia della musica.
Presentando un percorso musicale attraverso le Chiese milanesi scelte
secondo la loro ubicazione, le loro caratteristiche e la qualità
degli strumenti, si potrebbe avvicinare un pubblico numeroso e non
necessariamente abituato alla musica di ricerca. Ad ogni concerto
sarebbe quindi da associare una commissione proposta ad un
compositore contemporaneo e legata oltre che al tema proposto per
l'Expo, alla specifica disposizione fonica dello strumento, dai
Tamburini, a quattro e cinque tastiere, della Chiesa di Sant’
Angelo o della Cattedrale ai Mascioni della Basilica di Santa Maria
della Passione, ad una tastiera, con temperamento ‘inequabile’.
Ogni nazione coinvolta potrebbe presentare un organista ed una prima
assoluta di un compositore possibilmente della stessa origine. In
ogni programma dovrebbe inoltre essere presente un pezzo di
compositore italiano di un qualsiasi periodo storico che bene si
associ con le caratteristiche dello strumento a disposizione. Essendo
l'organo a canne l'antenato naturale dei sintetizzatori moderni,
potrebbe essere interessante presentare concerti con pezzi per organo
e sintetizzatori alternando anche pezzi elettroacustici predisposti
per lo spazio in questione. Il lato visivo, fino ad oggi trascurato
nei concerti d'organo per evidenti ragioni, deve essere valorizzato,
presentando una curiosa ed interessante esperienza per il pubblico
non abituato la visione di un interprete impegnato fisicamente in
modo totale, mani e piedi, su registi, pedali, tastiere, staffe. Una
o meglio più telecamere, con attenta regia, dovrebbero riprendere da
diversi punti di vista gli esecutori e gli organi o altri dettagli
della Chiesa interessanti, proiettandone le immagini su uno o diversi
schermi giganti. Ad alcuni concerti si potrebbe associare inoltre la
creazione di video realizzati su pezzi in programma da videoartisti
di differente nazionalità. (Francesco Filidei )
(P.A.)
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