domenica 15 settembre 2024

Salvini in stile Trump. Una mina per Meloni. ( da La Stampa) I giudici nelle aule dei tribunali, mentre Salvini in tv, Rai servizio pubblico. Più scandaloso di così!


++ Salvini, sono colpevole di aver difeso l'Italia ++© ANSA

Conoscendo Matteo Salvini, l’azzardo non stupisce: gazebo, piazze, parlamentari del Carroccio davanti al tribunale di Palermo il giorno dell’arringa difensiva di Giulia Bongiorno, sul modello della famosa occupazione della procura di Milano ai tempi del caso Ruby. Insomma, una via trumpiana che, agli occhi di un certo mondo, lo faccia apparire – già prima della sentenza su Open Arms – come l’ingiusta vittima di un processo politico. E se poi dovesse vincere Trump – nell’azzardo questa è la vera scommessa – come un altro perseguitato dalla parte giusta della storiaMagari destinatario di un tweet, dopo quello di Elon Musk, modello “caro Giuseppi” al “caro Matteo, ingiustamente processato come me”, ed è fatta. Per indole, per cultura politica (populista) e maestri che ha avuto è un riflesso pressoché spontaneo.

L’ossessiva determinazione che l’accompagna, insieme a un mix di preoccupazione ed eccitazione che trapelano, sottolineano però l’assoluta delicatezza della posta in gioco: molto semplicemente, la sopravvivenza politica. È il “dopo” la vera angoscia di Salvini, su cui si misura lo iato tra racconto muscolare e debolezza reale di un leader che non ha più la forza di incidere su nulla: la Fornero vive e lotta insieme a noi e si ritrova financo sfidato da Vannacci che lo aveva salvato alle Europee. La via trumpiana perseguita serve proprio a preparare l’esito della vicenda: se venisse assolto sarebbe la resurrezione, in caso di condanna diventerebbe il martire di un processo politico, che sul martirio prova ad allontanare un suo superamento, nel partito e al governo. Altro che Gennaro Sangiuliano e Daniela Santanché: trattasi di un vicepremier e di un’eventuale condanna in primo grado di giudizio. Impossibile far finta di nulla. Per Giorgia Meloni un bel problema, che avrebbe suggerito una distanza di sicurezza, non solo in omaggio a una ormai desueta grammatica istituzionale. Ma, anche in questo caso, lo stupore è estraneo al racconto: quando c’è una criticità, prevale sempre il richiamo della foresta. Eppure, sul tema migratorio, l’attuale governo si è affrancato da quella impostazione: il piano Matteigli accordi (sia pur controversi) con la Tunisia, la Conferenza di Roma coi capi di Stato e di governo dell’Unione Africana, l’idea cioè che l’unica via per fronteggiare il fenomeno migratorio sia portare l’Europa in Africa rappresenta l’opposto della “separazione” da realizzare attraverso chiusura dei porti e blocchi navali. Peraltro l’accordo con la Tunisia ha fatto scuola se anche il governo socialista di Pedro Sanchez è andato in Mauritania, Gambia e Senegal per procedere ad analoghe intese.

E invece Giorgia Meloni sembra aver sposato in toto la causa di Salvini, fino quasi all’identificazione, secondo il solito copione per cui non c’è mai un merito delle questioni, ma un attacco del sistema alla “volontà popolare”. L’impostazione, se sarà politicamente conseguente fino in fondo e non è solo un atto dovuto di solidarietà, espone il suo governo (che non è il Conte 1) e le lega le mani nel difendere il vicepremier e lasciarlo nel suo ruolo anche in caso di condanna, eventualità forse a caldo non valutata fino in fondo come implicazioni.

Anche questa volta più forte della logica è, banalmente, la natura. La stessa natura che, al dunque, l’ha portata a votare contro Ursula e che, a botta calda, l’ha spinta alla difesa tribale di Gennaro Sangiuliano. Il rapporto col processo di Salvini, prima ancora che una questione politica dell’oggi è vissuta, al pari del resto, come un riflesso identitario. Di quella identità è parte integrante il condizionamento di sedimentazioni profonde – il blocco navale, la retorica dell’invasione, ricordate Soros e la sostituzione etnica? – con cui si è nutrita e ha nutrito un popolo. Peccato che questa ossessione la porti inconsapevolmente a lavorare per Salvini. Se l’obiettivo del leader leghista è far salire la tensione e prendersi, da vittima, scena e racconto fino in fondo, Giorgia Meloni gli ha dato una bella mano. Si renderà conto, se poi dovesse vincere Trump, cosa significa contribuire al ringalluzzimento di un alleato così

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