Ortombina: «Così guiderò la Scala. Bisogna
credere nella sperimentazione e rischiare»
Il nuovo sovrintendente nel 2025 prenderà il posto di Meyer: «Ampia programmazione dal ’600 a oggi»
Dopo tre sovrintendenti stranieri (Stéphane Lissner, Alexander Pereira e Dominique Meyer) tornerà alla Scala un italiano, Fortunato Ortombina, nato a Mantova nel 1960, studi al Conservatorio Boito e laurea in Lettere a Parma, dove ha lavorato al Teatro Regio e all’Istituto nazionale di studi verdiani. Ortombina ha lavorato alla Scala dal 2003 al 2007 come coordinatore artistico. Ha lasciato Milano per diventare direttore artistico e poi sovrintendente della Fenice di Venezia. Nel 2025, prenderà il posto di Meyer.
«Ringrazio sindaco e Cda per la fiducia e saluto i lavoratori, che incontrerò presto. Mi hanno preceduto illustri personalità – premette Ortombina – Meyer ha fatto un grande lavoro con Chailly e Legris e non so quale teatro del mondo ha in cartellone, in quattro mesi, direttori come Petrenko, Chailly, Gatti e Thielemann, sebbene quest’ultimo abbia dovuto cancellare il Ring, che resta un grande progetto. Il 7 dicembre il teatro metterà in scena l’opera con la quale Verdi tornò alla Scala nel 1869 dopo 25 anni, un evento importante».
Partiamo dalla legge sul limite di 70 anni per i sovrintendenti…
«Sperimenterò due esperienze pressoché inedite: sono un sovrintendente designato venuto realmente in anticipo e trovo intrigante essere il primo alla Scala con i giorni contati, perché anch’io farò un solo mandato. Si potrebbe dire che questa legge precluda di servirsi dell’esperienza, ma dove sono i giovani per fare questo mestiere? Il fatto di avere un solo mandato non impedirà di pensare al futuro anche più lontano della Scala».
Si procederà ripristinando direttore artistico e generale oltreché musicale?
«Fino a che c’è Meyer la struttura non cambia. Se qualcuno mi viene a cercare pensando che non faccia il direttore artistico ho dubbi che abbiano chiamato la persona giusta. Per ora, il problema non si pone. Il direttore generale è stato abolito e le sue funzioni spalmate. Quanto al direttore musicale è argomento prematuro, ne parleremo quando sarò sovrintendente insediato. Giusto guardare avanti, ma ci vuole rispetto per chi sta lavorando e Chailly deve ancora dirigere tanta musica. Tuttavia, non intendo avallare scelte senza un contatto diretto con l’orchestra, il coro e il teatro. Più urgente la scelta del direttore del corpo di ballo».
Veniamo ai programmi: repertorio, sperimentazione, direttori...
«Non si può trascurare nessuna direzione e si deve tenere conto dell’attività della Filarmonica. La Scala deve fare sempre ricerca: in questa stagione c’è un’opera sul Nome della Rosa di Umberto Eco. La sperimentazione non è solo musicale, poiché la musica è un mezzo per arrivare alla gente. La Scala deve avere un’ampia programmazione, dal Seicento a oggi. E mai dimenticare la curiosità del pubblico: c’è del repertorio ancora da esplorare».
Come essere un teatro internazionale?
«La Scala è sempre stata internazionale e, alle volte, il più forte propulsore della tua proiezione internazionale è l’identità».
Si dibatte sulle regie sperimentali, che qui non piacciono a tutti.
«L’opera più rappresentata alla Scala è "Rigoletto", ma è nato a Venezia perché serviva un luogo aperto all’innovazione. Penso che bisogna tornare all’attenzione alla recitazione, anche perché il pubblico è abituato a guardare i primi piani in tv. La Scala può fare tutto, ma sul melodramma richiede un supplemento di attenzione. Bisogna credere nella sperimentazione e rischiare. A Venezia la "Traviata" di Robert Carsen del 2004 fu buata: rifatta con Myung-Whun Chung la stiamo rappresentando con successo da vent’anni. Di fronte alla novità bisogna dare al pubblico tempo per assimilare e sostenere scelte coraggiose. Il primato nel melodramma non significa essere autarchici».
Gli spettacoli rischiano di essere pensati per la tv?
«È capitato, ma quando si lavora è così forte l’energia del progetto che si è molto concentrati sul teatro. Credo che la tv e i nuovi mezzi accendano la fantasia di registi e scenografi».
Lei è uno studioso di Verdi, resta il più grande?
«La mia passione per Verdi è sempre cresciuta. La sua opera si può riaffrontare ciclicamente: la funzione sociale del teatro d’opera è che ciascuno vive nel proprio tempo e ogni volta un’opera».
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La dichiarazione di intenti del prossimo sovrintendente della Scala, Fortunato Ortombina, ora per qualche tempo in coabitazione con Meyer, è chiarissima. Vuol fare tutto lui: sovrintendente, direttore artistico; del direttore generale non ha bisogno ( caso mai si porta un suo fedelissimo da Venezia); del direttore musicale, del quale si sa già nome cognome età ed altro, adesso non vuole parlare per rispetto nei confronti di Chailly (che conosce anche lui il nome del suo successore), perchè ha 'ancora molta musica da dirigere'. Anche i sovrintendenti che mi hanno preceduto, dice, erano direttori artistici; sì, è vero, ma avevano anche un direttore generale.
Le linee generali, sono troppo generali per poterne discutere.
Ortombina sa già di doversi giocare l'ultima sua carta, l'unica alla Scala ed in ogni altro teatro, perchè alla fine del suo mandato non potrà essere confermato per sopraggiunti limiti di età, voluti dalla legge nefasta di questo barbarico governo.
Per questo lamenta che l'esperienza di tanti bravi amministratori culturali viene gettata al vento con la legge 'Sangiuliano-Meloni' che potremmo anche chiamare:' Rai-Fuortes-Lissner-Meyer'. E lamenta che non vede giovani all'orizzonte capaci di sostituire i pensionandi 'ope legis'.
Comunque Ortombina rifletterà sul fatto che Milano non è Venezia, aiutandosi con la sua precedente esperienza nel settore artistico proprio alla Scala di Milano. E una volta arrivato e messosi all'opera, forse rivedrà molte sue idee.
( Pietro Acquafredda)
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