Intitolato Musica assoluta, il 68° Festival interazionale di musica contemporanea della Biennale di Venezia si svolgerà dal 26 settembre all’11 ottobre. Sedici giorni di programmazione, sessantadue appuntamenti (incontri, concerti, installazioni sonore) e la partecipazione di oltre cinquecento artisti. Lucia Ronchetti, direttrice del settore musica della Biennale, chiude così il suo mandato quadriennale, caratterizzato da una visione complessivamente eurocentrica. I Leoni d’oro (quest’anno viene premiata la compositrice londinese Rebecca Saunders) sono stati attribuiti solo a compositori europei e gli artisti provenienti da altri continenti vantano spesso una formazione europea. Un festival davvero universale, capace di indagare le più diverse esperienze mondiali rimane ancora difficile da organizzare. Far conoscere, senza tentazioni etnomusicologiche, altre culture musicali, che non hanno tradizioni scritte, è doveroso e la tecnologia in questo ci aiuta.
Ronchetti si è rammaricata perché le sue programmazioni musicali, pur seguite da un apprezzabile pubblico, non hanno raggiunto numeri in qualche modo confrontabili con quelli del cinema o dell’arte. Si tratta però di settori profondamente diversi e non paragonabili. La mostra del cinema di Venezia è un fenomeno di massa che tra l’altro crea non poche difficoltà organizzative al Lido dove si svolge, mentre la Biennale Arte è un’esposizione che dura diversi mesi. La musica contemporanea colta ha un altro pubblico, che non è certo quello di un film americano proiettato in tutto il mondo. Né tanto meno è compito del festival di musica organizzare concerti di artisti pop per riempire gli stadi. La maggiore apertura dei programmi di Ronchetti al jazz e all’elettronica è comunque un contributo al rinnovamento e all’ampliamento degli ascoltatori.
Il titolo del festival di quest’anno, Musica assoluta, inevitabilmente ha già scatenato un “acceso” dibattito. La definizione “musica assoluta”, come si sa, nasce nel 1846 con Wagner, che sviluppa un concetto romantico già esistente, quello di musica pura strumentale. Parlando della Nona Sinfonia di Beethoven, che dirige a Dresda dove si trova con l’incarico di Kapellmeister, Wagner spiega che la musica assoluta beethoveniana anticipa l’intima fusione tra suono e parola. Per l’autore della Tetralogia poesia e musica, originariamente unite, non possono che approdare all’opera d’arte totale (Gesamtkunstwerk). Il critico Eduard Hanslick, invece, i cui bersagli sono l’estetica del sentimento e Wagner, nel suo saggio Il bello musicale sostiene che la musica è per sua natura asemantica, pura forma e senza scopo. Ma allora perché la musica ci emoziona? Perché cogliamo significati nelle forme sonore non rappresentative che, di fatto, modellano la nostra conoscenza? È chiaro che nell’Ottocento l’idea della musica assoluta serviva anche per attribuire alla musica strumentale tedesca un valore aggiunto rispetto alla produzione vocale italiana e francese.
Oggi, però, ha ancora senso parlare di musica assoluta? Forse proprio quest’ultima domanda poteva essere il titolo del festival della Biennale di quest’anno. Molti dei compositori invitati, infatti, hanno presentato i lavori loro commissionati con titoli espliciti. Si pensi a Skull di Rebecca Saunders, con il gruppo Ensemble Modern premiato con il Leone d’Argento, o Kinderszenen dell’umbro Marco Momi, contraddicendo dunque esplicitamente la definizione di musica assoluta con riferimenti extramusicali.
Una sezione del festival, Pure Voices, è poi apertamente fuori tema: in un concerto nella Basilica di San Marco, allo Stabat della compositrice svedese Lisa Streich sono affiancati lo Stabat mater di Pierluigi da Palestrina e quello di Giovanni Croce.
Polemico è inoltre il compositore siciliano Salvatore Sciarrino che nelle note di commento di Nocturnes, commissione della Biennale Musica, prende senza mezzi termini le distanze dalla musica assoluta. Scrive infatti: «Può dunque esistere una musica pura? No, non può darsi». E prende come esempio il Quartetto op. 130 di Beethoven per parlare del musicista tedesco come di un autore frainteso che con le sue opere sublimi ha messo in crisi il concetto di assolutezza, insistendo sulla potenza emotiva della comunicazione musicale. Allora ci chiediamo ancora: è musica assoluta tutto ciò che è stato scritto con intenti didattici o per scopi liturgici seppur senza testo, come tante pagine organistiche di Bach? E poi: la musica assoluta è progressiva o reazionaria?
Il concetto di musica assoluta, dunque, porta con sé ambiguità, innegabili contraddizioni e oggi il mito di una musica autonoma e pura, composta solo per essere ascoltata, è difficilmente sostenibile. Anche la musica più distaccata, autonoma, infatti, rimane sempre un veicolo, magari inconsapevole, di emozioni, significati extramusicali e, come abbiamo visto, di rinnovati dibattiti.
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NOCTURNES
È lecito parlare di musica assoluta? Può esistere una musica pura? No, non può darsi. Neppure evocata dalla poesia di Rainer Maria Rilke: rarefatta è semmai l’atmosfera in cui la musica fiorisce. Ludwig van Beethoven, Franz Schubert, Claude Debussy, Fryderyk Chopin furono protagonisti della messa in crisi del concetto di assolutezza, (ri)producendo il singhiozzare della melodia a causa dell’ansia, il vibrare delle foglie sotto una lieve brezza, i richiami urbani dei battelli sulla Senna, i suoni militari delle trombe delle caserme.
Nocturnes accoglie i suoni del mondo, senza essere musica descrittiva né assoluta. Musica organica semmai, ci vuole porre alcune domande. Sebbene alcuni elementi si richiamino da un punto all’altro, la composizione è fatta da tre frammenti distinti e accostati, senza separazione né soluzione di continuità. Come fasi provenienti da un divenire assai più ampio, di cui abbiamo un affiorare solo parziale.
Salvatore Sciarrino
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