martedì 9 aprile 2024

Da Meloni a Sangiuliano a Mazzi, giù per li rami... sempre peggio

 Meloni parla poco della cultura (anche perchè non saprebbe che dire), ci pensa Sangiuliano ( che però parla troppo per azzeccarle tutte),e che è una sorta di ventriloquo della premier, senza brillare, come ci si aspetterebbe, in proprietà di linguaggio, conoscenza di fatti e regole, nè per senso dello Stato. 

E poi c'è lui, Mazzi, ex Sanremo, sottosegretario, tuttofare loquacissimo. Tanto per capirci, lui ha fatto di tutto perchè a Verona restasse la sua pupilla, Cecilia Gasdia all'Arena, anche rompendo con il sindaco che non è più quello di destra (Sboarina) che la portò alla sovrintendenza, essendosela meritata per la sua professione ma prima di tutto per aver partecipato alle penultime elezioni comunali come capolista della destra.

 Proprio per questo,  le sue ultime esternazioni sulla Scala, fanno effetto: sentir dire proprio a Mazzi che 'tutti gli incarichi hanno un termine' ( e quello della Gasdia no?) indipendente dalla qualità della gestione, è musica stonata per le orecchie di chiunque.

 Mazzi parla per Sangiuliano :"basta con un sovrintendente straniero alla Scala". Ma forse anche per conto di Salvini che sugli stranieri  ha una strategia di chiusura totale, dall'ultimo schiavo che raccoglie pomodori in Puglia al sovrintendente del più importante teatro italiano, la Scala appunto.

A Mazzi, ed anche   a Sangiuliano e Meloni, non è bastata la figura meschina che hanno fatto con quel decreto legge sull'età pensionabile dei sovrintendenti, che aveva come unico scopo quello di tener pronta una poltrona per Fuortes che loro avevano disarcionato (con il consenso del cavaliere, pusillanime e servitore del padrone di turno!) dal cavallo di Viale Mazzini.

A Napoli gli è andata male, anzi malissimo, adesso rischiano di fare il bis a  Milano.

 Il Mazzi riprende il 'credo' Sangiuliano e lo conferma con una affermazione che dovrebbe bastare per  espellerlo dal Ministero: 'con tutti i soldi che diamo alla Scala', spetta al ministro indicare il sovrintendente.

 Come se i soldi li tirasse fuori di tasca propria la Meloni o Sangiuliano o lui. E come se l'attuale governo avesse già modificato la legge per l'elezione del sovrintendente: il quale - recita la legge - viene indicato dal Consiglio di amministrazione al ministro, che 'formalmente' lo nomina. Non si sono registrate mai eccezioni, salvo il caso di un altro ministro, guarda caso, di destra. 

Adesso anche alla Scala l'ennesimo pasticcio. Sangiuliano dice di essersi accordato con il sindaco, presidente del CdA sulla nomina di Ortombina (che farebbe piacere anche alla Casellati - di chi dobbiamo subire i desiderata!); Sala, ribatte che dall'orchestra e da un membro del CdA, Meomartini, era venuta l'indicazione di prorogare  l'incarico a Meyer, non per l'intera durata di un mandato; nel frattempo  indicare Ortombina come sovrintendente 'designato', il quale nel 2025 potrebbe affiancare Meyer ed entrare nel pieno delle sue funzioni nel 2026. Non si fece così anche con Pereira?

 Adesso non ci sono più i tempi per un passaggio di consegne nei tempi dovuti, perchè  Meyer avrà già approntato il cartellone almeno fino al tutto il 2026. E non c'è Ortombina che possa mutarlo. I contratti con i grandi artisti in un teatro che si rispetti vanno firmati con molto anticipo.

 Curioso poi che non si dica nulla di Gatti, il direttore musicale 'designato' ( che succederebbe a Chailly, che per il cognome forse è risultato agli occhi della destra, straniero come Meyer!) ma che risulterebbe 'imposto' ad Ortombina che non l'ha mai invitato a Venezia. A Sangiuliano non frega nulla di Gatti perchè nulla gli frega della musica, altrimenti non si metterebbe in casa, al ministero, una come Beatrice Venezi che nel mazzo dei direttori d'orchestra conta con il due a briscola; Gatti, comunque, per sua fortuna è italiano; andrebbe a Milano dopo Firenze ( ma non aveva accettato un incarico a Dresda?): ma  a Sangiuliano-Meloni interessa la sovrintendenza sulla quale contano di intervenire per favorire i Venezi, Colabianchi o Casellati qualunque o per indicare una diversa 'narrazione' - come si usa dire di questi tempi - delle fondazioni liriche italiane.

 Il pasticcio milanese è lungi dall'essere sbrogliato.


 

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