Prendete un 25 aprile e immaginate che gli italiani riscoprano Matteotti. Messa così, sarebbe un perfetto racconto di un evento ideale, quello in cui un anniversario nazionale riesce a pervadere la cultura di massa rimettendo al centro un emblema del suo messaggio storico. In parte, questa cosa è successa davvero, ma come conseguenza inintenzionale di un’azione intenzionale. Riavvolgiamo il nastro, modalità time-lapse: Antonio Scurati aveva un monologo da leggere in Rai; la Rai ferma Scurati; la notizia trapela, si accendono le proteste. Pausa. Questa cronaca ha un seguito (Serena Bortone legge comunque il monologo, Giorgia Meloni prende posizione con un post), ma prima che avvenga, i social hanno un nome che rimbalza a ritmo di trend: Giacomo Matteotti.
Il segretario del Partito Socialista Unitario, rapito e ucciso nel 1924 da una squadra fascista, è citato in apertura del discorso di Scurati. È lo scrittore stesso, oltre ad averlo affidato in lettura alla giornalista Serena Bortone, a pubblicarlo in un post social. Quel post social è rimbalzato da un account all’altro, da una story, un commento, fino ai gruppi whatsapp, in un modo così diffuso e pervasivo che la semplice recita televisiva non avrebbe mai potuto emulare. Risultato: un tentativo di censura si è trasformato nell’esatto contrario e ha avuto l’effetto di una propulsione senza pari.
La destra, infatti - esponenti di governo e Meloni in primis - sempre molto attento alla macchina dei social, per una volta non ha calcolato la forza democratica degli stessi. Ne conoscono le spinte populiste al punto tale da cavalcarle con agio e disinvoltura, ma hanno mancato di coglierne il senso liberale, che consente a tutti di riconoscersi in un messaggio e di rendersi attori protagonisti del suo riverbero. Al posto di un minuto e trenta secondi, sulla terza rete dell’emittente pubblica, in una serata di un sabato d’aprile, Scurati è diventato un trend su Google con oltre 100mila ricerche e il suo discorso si è trasformato in 813 articoli di stampa condivisi su Facebook, con oltre 288mila interazioni da parte degli utenti. Su Twitter, sabato hanno parlato dello scrittore 32mila post, 7mila della giornalista Bortone, 23mila di Meloni; domenica, ieri, ancora di più: oltre 77mila tweet contrassegnati dall’hashtag Scurati, oltre 36mila per Meloni, oltre 19mila per Bortone che è addirittura stata il trend a maggior durata (23,5 ore contro le 22,5 di Scurati e le 19 di Meloni).
Alla voce censura, dunque, la mossa della Rai in quota governo non ha funzionato tanto bene: a sentire odore di repressione, gli italiani hanno risposto laddove possono, cioè su un canale moderno dove il dialogo non è unidirezionale, ma bidirezionale. E ne è nato un corale inno alla libertà.
A questo punto, Meloni non poteva forse più fare molto e ha scelto di muoversi per limitare i danni. Ha battuto vecchie strade per posizionarsi (“chi è sempre stato ostracizzato e censurato dal servizio pubblico non chiederà mai la censura di nessuno”); ha tentato la carta del populismo per cementare il consenso (“la Rai risponde di essersi semplicemente rifiutata di pagare 1800 euro, lo stipendio mensile di molti dipendenti)"; ha provato a evocare entità superiori come la sovranità del popolo (“Perché gli italiani possano giudicarne liberamente il contenuto”); ha attaccato il nemico (“In un'Italia piena di problemi, anche oggi la sinistra sta montando un caso”). Nel suo post Meloni non parlava agli italiani, né parlava da Presidente del Consiglio. Ogni parola è pesata per ricordare i capisaldi della sua narrazione politica, rispolverati con orgoglio e arroganza, per mostrare solidità agli occhi dei suoi.
Se tutto questo ha attecchito in qualche spirito affine è perché ha trovato eco in una bolla. Al di fuori della quale, però, impazzava un’altra storia: quella di Giacomo Matteotti, ucciso dai fascisti.
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