Attorno all'opportunità di una mostra con una sola opera si sono fati tanti discorsi, anche ideologici. E pure di recente, in occasione dell'inaugurazione della mostra ai Capitolini dell'Annunciazione del Greco, proveniente da un museo di Madrid, aperta fino ad aprile.
Se la memoria ci aiuta, ricordiamo l'elogio che noi stessi scrivemmo, ci pare su Music@, alla notizia che alcune sale del Museo di Arte Contemporanea di New York erano state allestite con poche opere, e talune con una sola. Facemmo allora, dopo la lettura delle considerazioni di molti giornalisti e critici d'arte, l'elogio del 'vuoto', che concentra sull'unica opera, non togliendole bellezza ed attenzione. E dicevamo giusto, aggiungendo naturalmente qualche riflessione sull'opera esposta, come, ad esempio, che non tutte hanno lo stesso appeal ed hanno bisogno dello stesso spazio anche mentale. Non parliamo poi della dimensioni. Talvolta un quadro o tavola anche piccolissima rapiscono sguardo ed attenzione più di una grande formato. Ci viene in mente quel ritratto di 'sconosciuto', esposto in un piccolo museo di Cefalu, opera di Antonello da Messina, che ci rapì la prima volta che lo vedemmo su un banalissimo cavalletto - ci auguriamo che nel frattempo gli abbiano riservato un più adeguato trattamento.
In questi ultimi giorni ci viene svelato l'arcano delle sempre più frequenti mostre con una sola opera. La ragione è che costano meno. Dunque niente di artistico o filosofico, ma, assai più banalmente, semplicemente economico: una sola opera, anche in considerazione del prestito, esporla costa enormemente meno di molte opere. Certo, come non convenire. E allora tutta la filosofia sulla necessità del vuoto che fa emergere il 'pieno' ? Per buona parte balle.
Con il pensiero siamo andati a molti anni fa - fine Settanta inizio anni Ottanta, da quando cioè iniziammo ad occuparci di musica con una certa assiduità - quando il mondo musicale italiano, affollatissimo di compositori ed esecutori specializzati, pullulava di festival e festivalini, rassegne e rassegnette, dedicati alla musica contemporanea. Allora i brani per strumento solista abbondavano, e su di essi quante elucubrazioni. Unica eccezione, il pianoforte che è uno strumento a sè.
Mentre invece fra le ragioni possibili c'era il minor costo, anche esecutivo, la maggiore facilità della scrittura, rispetto alla complessità di quella orchestrale, e la necessità di accontentare tutti, compositori grandi e piccoli, noti e sconosciuti, maturi e debuttanti. Insomma tutti. Ciascuno con un 'piccolo' pezzo.
Ci viene in mente il nome di un compositore che per ogni strumento aveva scritto un brano chiamato 'sequenza'; anche su ciascuna di esse si disse, scrisse e si gridò che il compositore in questione aveva 'esplorato' il mondo possibile dei medesimi, che ormai non avevano più segreto alcuno. Forse era anche vero, ma resta il fatto che molti di quei brani per strumento solista - e le sequenze di cui sopra non facevano eccezione - nascevano dalla stessa logica della più recente 'mostra con un'opera sola'.
Poi anche il panorama della musica in Italia è cambiato - non che siano diminuiti i compositori, quelli sono sempre in abbondanza - sono però diminuiti i festival e le rassegne, anzi sono quasi scomparsi, e perciò non si è più preoccupati di riempirli con compositori e brani d'ogni risma e valore. Oggi le poche rassegne, a cominciare dalla Biennale, dove non è detto che le scelte discendano sempre dalla qualità delle opere presentate, approntano cartelloni sulla base di una idea, perché non si può accontentare tutti, dando a ciascuno un piccolo spazio. Oggi tutti sembrano correre per salire sul carro del direttore artistico designato, alle cui orecchie, però, non giungono solo i richiami dei compositori, ma anche quelli degli editori e dei mezzi di informazione.
E poi sono emerse altre tendenze, in agguato e che lusingano molti: i suoni sposati alle immagini. Una vera iattura, perché in tanti casi non si capisce se si sta assistendo ad una proiezione con colonna sonora o si sta ascoltando un brano, non in grado di farsi largo con le sole proprie gambe, e perciò aggrappato alle immagini. Non è sempre così, ma spesse volte, sì.
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