Uno o più vespri?
Quattro secoli fa circa, a
Venezia, Monteverdi pubblicava presso l'editore Ricciardo Amadino,
una sua opera liturgica - Vespro (1610) - ricca di straordinarie
invenzioni; ancorata al passato, gregoriano, e protesa al futuro
della musica concertante. Uno o più ‘Vespri’ dedicati alla
Vergine Maria?
di pietro acquafredda
“Il Monteverdi fa
stampare una Messa da cappella a sei voci di studio et fatica grande,
essendosi obbligato maneggiar sempre in ogni nota per tutte le vie,
sempre più rinforzando le otto [dieci, in realtà, ndr.] fughe che
sono nel motetto ‘In illo tempore’ del Gomberti [Nicolas Gombert,
ndr.] e fa stampare unitamente ancora di Salmi del Vespero della
Madonna, con varie et diverse maniere d’ inventioni et armonia, et
tutte sopra il canto fermo, con pensiero di venirsene a Roma questo
autumno per dedicarli a Sua Santità...”. Chi poteva essere tanto interessato alla
produzione musicale ‘sacra’ di un musicista attivo presso la
corte di Mantova, da richiedere così circostanziate notizie? Lo era
il cardinale Ferdinando Gonzaga, residente a Roma e destinatario
dell’informativa spedita da Mantova il 26 luglio 1610? Il mittente
della lettera Bassano Cassola, cantore e vicemaestro di cappella, non
lo chiarisce. Quella lettera , più che sollecitata dal destinatario,
aveva verosimilmente un suggeritore, non occulto e neppure
disinteressato, nella persona dello stesso Monteverdi che di lì a
poche settimane, fatta stampare la bella raccolta ‘mariana’
presso l’editore veneziano Amadino, sarebbe partito alla volta di
Roma per offrirla personalmente al dedicatario, il papa Paolo V,
nella speranza di trarre da quel viaggio qualche concreto beneficio
per sé e per suo figlio Francesco, per il quale il genitore aspirava
ad un posto nel Seminario Romano, al fine di assicurargli un
tranquillo avvenire, più che per vera vocazione:‘Franceschino’
aveva allora poco più di dieci anni; mentre per sé Monteverdi
sognava la nomina a maestro di una delle importanti cappelle musicali
romane, anche della stessa Sistina, una volta sciolto da vincoli
maritali, perché da poco vedovo, e perciò libero da qualsiasi
impedimento giuridico per aspirare a quell’incarico. Della sua
grande perizia nella musica sacra, laddove si fosse presentata una
concreta possibilità di stabilirsi definitivamente a Roma, avrebbe
fatto fede proprio quella raccolta, fresca di stampa (la dedica reca
la data del I settembre 1610), che lo laureava sommo compositore
“sacro” negli stili polifonico, concertante e solistico.
Il viaggio ebbe
effettivamente luogo tra settembre e ottobre di quel medesimo 1610,
ma nessuna delle sue aspirazioni fu soddisfatta e Monteverdi, per
giunta, non venne neppure ricevuto da Paolo V, nonostante le lettere
commendatizie recate con sé. Costretto perciò a tornare a Mantova a
mani vuote, si mise in cerca di un’altra occasione propizia; la
quale giunse tre anni dopo, alla morte del Maestro di cappella della
Basilica di San Marco in Venezia, Giulio Cesare Martinengo. La
Serenissima, ottenute dai suoi ambasciatori ottime referenze su
Monteverdi, candidato alla successione, il 19 agosto del 1613 lo
insediò solennemente come Maestro di cappella in San Marco, incarico
onorato per trent’ anni esatti, fino alla fine della sua vita.
La raccolta musicale
pubblicata dall’Amadino, alla quale accennava il 'cantore ducale'
Cassola nella sua lettera del luglio 1610, conteneva, a suo dire, due
blocchi di composizioni, ambedue destinati ai riti della liturgia
cattolica solenne: la Messa e l’Ufficio delle Ore, di cui il
Vespro, costituisce la parte più importante e maggiormente
esemplificata sotto il profilo musicale nel corso dei secoli;
ambedue, a detta dello stesso Cassola, costruiti sopra canti fermi:
un mottetto polifonico del Gombert nel caso della Messa; il Canto
gregoriano ( toni salmodici per i cinque salmi ed il Magnificat, e la
relativa intonazione dell’inno ‘Ave Maris Stella’), nel caso
del Vespro. Messa e Vespro, infine, basati sulle parti cosiddette
fisse (Ordinarium) dei rispettivi riti; le quali, limitandoci al
Vespro, sono - dopo la consueta intonazione: Deus in adjutorium meum
intende,…- i cinque salmi, l’inno (Ave Maris Stella, per la
liturgia delle feste mariane) e il Magnificat.
Ma nel Vespro
monteverdiano del 1610, secondo 1’ edizione dell’ Amadino, fra le
parti fisse compaiono alcune composizioni che sollevano non pochi
interrogativi sull’identità e sui singoli componenti della
raccolta.
Prima di entrare nel
dettaglio del Vespro, in particolare nelle questioni tuttora
irrisolte della sua conformazione, val la pena rammentare che del
Vespro non esiste una partitura generale, essendo stato stampato -
secondo il costume dell’epoca - in parti staccate: otto fascicoli:
sette (una ciascuna per le parti della composizione): Cantus(
soprano), Sextus (soprano II), Altus, Tenor, Quintus (tenore II),
Bassus, Septimus (basso II); e l’ottavo per il Bassus generalis. Le
parti strumentali erano riportate, a seconda dei corrispondenti
registri, negli stessi fascicoli destinati alle voci; e perciò sul
Bassus generalis correva la sola nota del 'continuo', salvo i casi in
cui Monteverdi, desiderando suggerire precise realizzazioni del
medesimo, lo arricchì con brandelli di partitura o passi schematici
della stessa.
Frontespizio. Edizione
Amadino (1610)
Nell’edizione a stampa,
gli otto fascicoli hanno identico frontespizio, il quale, nel
fascicolo del ‘Cantus’, recita: “ SANCTISSIMAE/VIRGINI/ MISSA
SENIS VOCIBUS/ AD ECCLESIASTICOS CHOROS /AC VESPERAE PLURIBUS/
DECANTANDAE,/ CUM NONNULLIS SACRIS CONCENTIBUS, ad Sacella sive
Principum Cubicula accomodata. OPERA/ A CLAUDIO MONTEVERDE/ nuper
effecta/ AC BEATISS. PAULO V PONT. MAX. CONSECRATA. Venetijs, Apud
Ricciardum Amadinum. MDCX.” (“Alla Santissima Vergine/ Messa a
sei voci/ per i cori ecclesiastici/ e Vespri da cantarsi a più
(voci)/ con alcuni Sacri Concenti / adatti alle cappelle ed alle
camere dei Principi/ opera di Claudio Monteverdi/ da poco composta/ e
consacrata al beatissimo Paolo V Pontefice Massimo/ Venezia presso
Ricciardo Amadino. 1610”.
Sul verso del frontespizio una lunga devota dedica al Papa e la data: Venezia, 1 settembre 1610,
che così inizia: “ Res quasdam Ecclesiasticas modulis Musicis
concinendas, quum in luce emittere vellem…” ( volendo io dare
alla luce alcune cose ecclesiastiche da cantare sui modi musicali…”),
la quale sembra anticipare quanto si legge a pag. 9 del Bassus
generalis, avanti l’attacco del ‘Domine ad adiuvandum’: “Vespro
della Beata Vergine da concerto, composto sopra canti fermi”,
intestazione che, a sua volta, richiama alla lettera quanto
preannunciato dal cantore Bassano Cassola al cardinale Ferdinando
Gonzaga: «salmi del Vespero della Madonna, con varie et diverse
maniere d’inventione et armonia, et tutte sopra il canto fermo».
Ci si potrebbe domandare
come mai il Cassola, annunciando la stampa del ‘Vespro’
monteverdiano, ne citi solo i salmi. La risposta potrebbe essere che
i salmi sono magna pars del Vespro, cinque su sette numeri, dai quali
resterebbero esclusi solo l’Inno ‘Ave Maris Stella’ ed il
Magnificat; e dunque avrebbe indicato la parte ( più rilevante) per
il tutto.
Edizione dell'Amadino (
1610)
Resta da esaminare a fondo
la stampa dell’Amadino per venire a capo dell’esatta
identificazione del Vespro monteverdiano, lasciando fuori la Messa
che non presenta, invece, analoghi problemi.
Tolta la Messa, il
frontespizio sembra dirci chiaramente che il restante contenuto della
stampa è costituito da due blocchi: il Vespro ed i Sacri Concenti.
Il problema sarebbe perciò di fcile soluzione se questi due blocchi,
chiaramente distinti nel frontespizio, non comparissero intrecciati
ed intercalati, nella pagine dell’edizione dell’Amadino. Cioè a
dire quelli indicati dal Monteverdi come ‘Sacri Concenti’,
distinti dal Vespro vero e proprio (comprendente tutte le parti dell’
Ordinarium, e composte ‘sopra canti fermi’), compaiono nella
stampa fra un salmo e l’altro, il che ha fatto concludere a più
d’uno studioso che quei « sacri concenti» andavano intesi come
‘obbligatori’ sostituti delle antifone dei salmi, al momento
della prevista ripetizione dopo il canto del salmo, e, di
conseguenza, come parti ‘integranti’ del Vespro del 1610.
Se poi i testi dei ‘Sacri
concenti’( più precisamente: mottetti solistici o dialogici –
‘motetto ad una voce’ è il termine che lo stesso Monteverdi,
nell’edizione dell’Amadino, usa per ‘Pulchra es’ , primo dei
cinque ‘Sacri concenti’) non appartenevano tutti alla liturgia
vespertina mariana ufficiale, non doveva meravigliare più di tanto
in un’epoca in cui gli arbitrii liturgici erano all’ordine del
giorno, come desumiamo dai frequenti richiami all’ordine spediti da
Roma all’indirizzo di cattedrali e cappelle nobiliari di un certo
prestigio, e come avrebbero potuto far supporre i privilegi della
Chiesa “ducale” di Santa Barbara in Mantova, nel caso in cui si
fosse dimostrato che ad essa Chiesa ducale fosse rivolta l’importante
e complessa opera; ipotesi scartata quando si è presa conoscenza
della liturgia ‘privilegiata’ della Basilica Ducale, attraverso i
relativi libri liturgici.
Ci fu, nel lontano
passato, chi intese giustificare l’estraneità ‘mariana’della
maggior parte dei testi dei Sacri Concenti, basandosi
sull’annotazione apposta da Monteverdi nell’edizione a stampa,
sul Bassus Generalis, dove - come abbiamo già detto - si legge “
Vespro della beata Vergine da concerto”, dando per scontato ciò
che scontato non è affatto e cioè che esistesse all’epoca di
Monteverdi una doppia pratica del Vespro, una ‘liturgica’ ed una
‘da concerto’; e che in un Vespro ‘da concerto’ ogni arbitrio
fosse, a maggior ragione, consentito; laddove, invece, quella
espressione monteverdiana sta ad indicare lo stile ‘concertante’
del Vespro, distinto nettamente dalla Messa, in stile
‘contrappuntistico severo’, e dai Sacri Concenti, che sono nello
stile solistico ‘da camera’.
Dunque i Sacri Concenti -
basandosi su una lectio ‘facilior’ della edizione veneziana,
sarebbero delle alternative ‘obbligatorie’ alla ripetizione delle
antifone gregoriane già ascoltate prima di ciascun salmo - costume
peraltro assai diffuso. Non solo. Questa interpretazione sarebbe
confermata dal fatto che Monteverdi, se li aveva messi in quella
posizione, voleva dirci che li considerava parte integrante del
Vespro e nello stesso ordine di successione dettato (?) dall’autore
all'editore, che è poi , curiosamente, quello progressivo in base
al numero di voci impiegate; di conseguenza, secondo tale ipotesi, se
li si espungesse dal Vespro, ma anche se, semplicemente, si cambiasse
l’ordine di esecuzione ne andrebbe di mezzo l’integrità musicale
del Vespro, come l’aveva disegnato Claudio Monteverdi.
Vespro ( 1610)
E siamo arrivati al cuore
del problema esegetico della configurazione del Vespro monteverdiano
del 1610. Se si eseguono, alternate alle rispettive antifone
gregoriane che la stampa monteverdiana non riporta, soltanto le parti
fisse (Ordinarium) del Vespro ( Responsorio iniziale, i cinque salmi,
l’Inno’ Ave Maris Stella’ e il Magnificat, tutte costruite
sopra canti fermi gregoriani e in stile concertato) si interpretano
fedelmente le intenzioni di Monteverdi, oppure viene a mancare
qualcosa alla completezza del Vespro ?
Forse le ragioni che
indussero Monteverdi a confezionare e pubblicare l’interessante
raccolta possono essere di qualche utile aiuto nel risolvere tale
problema esegetico. E’ lecito ipotizzare che, volendo presentare
al pontefice Paolo V un saggio della sua maestria, il musicista abbia
inserito nella raccolta anche brani che servivano solo a far vedere
come egli maneggiasse abilmente i diversi stili compositivi in uso
nella musica sacra, senza preoccuparsi della loro congruità con il
rito liturgico? In fondo, sia l’autore che il dedicatario, Paolo V,
non avrebbero avuto nessun problema ad identificare sia il Vespro che
la Messa, ambedue composti delle sole parti fisse (Ordinarium),
com’era costume consolidato da secoli, ed ambedue identificabili
anche sotto il profilo stilistico, perchè costruiti sopra canti
fermi.
Inoltre l’ordine con cui
compaiono nella stampa i cinque Sacri Concenti (per la verità
quattro: Nigra sum’, ‘Pulchra es’, ‘Duo Seraphim’, ‘Audi
Coelum’; con l’aggiunta della ‘Sonata sopra Sancta Maria’) in
numero crescente di voci impiegate, dovrebbe indurre a pensare che il
loro inserimento e soprattutto l’ordine di comparizione, anche
ammesso che Monteverdi li abbia intesi come possibili sostituti delle
antifone alla fine dei salmi, sia stato deciso in previsione della
organizzazione del contenuto della edizione ( e perciò anche
nell’ipotesi, che noi rigettiamo, quella cioè che vorrebbe far
rientrare nel Vespro, il Deus in adiutorium i cinque salmi, l’inno
ed il Magnificat ma anche i cinque Sacri Concenti) l’ordine di
successione potrebbe anche cambiare.
A questo punto dobbiamo
porci la domanda cruciale relativa all’identificazione del Vespro
monteverdiano. E se li si omettessimo tutti o in parte, i Sacri
Concenti, l’integrità del Vespro monteverdiano risulterebbe
compromessa o sarebbe sempre e comunque salvaguardata, in base alla
consolidata consuetudine che vuole Messe e Vespri musicali consistere
nelle sole parti fisse (Ordinarium) di ambedue i riti liturgici, e
che, oltre tutto, nel Vespro monteverdiano appaiono strettamente
legate dal medesimo stile ‘concertante’, e dalla medesima
costruzione sopra ‘canti fermi’?
Né va ignorato che la
consuetudine di 'intonare', della Messa e dei Vespri, le sole parti
fisse, ha fatto sì che Messe e Vespri potessero essere cantati in
più di una festività liturgica - nel nostro caso nelle infinite
feste dedicate alla Vergine Maria, previste dalla liturgia cattolica;
mentre invece, l’intonazione contemporanea delle parti ‘fisse’
(‘Ordinarium’) e di quelle cosiddette ‘mobili’ (‘Proprium’
delle singole festività) avrebbe legato quel gruppo di composizioni,
concepito unitariamente, ad una specifica festività, limitandone
perciò l’uso ad una sola festività dell’anno liturgico. Per
tornare al problema dell’identificazione del Vespro monteverdiano,
c’è anche un altro elemento che ci fa propendere per la tesi
‘difficilior’, da preferirsi sempre secondo la migliore pratica
esegetica, per la quale esso consisterebbe nelle sole parti
dell’Ordinarium. a dispetto delle apparenze, ci farebbe dire
l’aurea regola esegetica. L’edizione dell’Amadino, infine, ha
anche un secondo elemento che lo assimila ad un catalogo, ad un
florilegio di composizioni ‘ad Vesperas’, fatta eccezione per la
compattezza ed unitarietà dell’Ordinarium, e cioè la presenza di
un Magnificat secondo, diverso dal primo, e non solo per l’assenza
dei ritornelli strumentali, a proposito dei quali, nella stessa
edizione, all’altezza del primo salmo, Dixit Dominus, si legge ‘
Li ritornelli si ponno sonar e anche tralasciar secondo il volere’.
Edizione di Ricciardo
Amadino ( 1610)
- Domine ad adiuvandum. ‘Sex Vocibus et sex Instrumentis si placet’. (È la risposta al celebrante che in apertura del Vespro canta ‘Deus in adiutorium meum intende’. Le voci rispondono in stile omofonico, mentre gli strumenti propongono, rielaborata ma riconoscibilissima, la fanfara della ‘Toccata’ che apre l’Orfeo, fatto rappresentare nel 1607 e stampare nel 1609).
- Dixit Dominus. Salmo. ‘Sex vocibus et sex instrumentis, si placet’.‘Li Ritornelli si ponno sonar et anco tralasciar secondo il volere’. ( E’ il salmo 109, primo dei cinque dell’ordinario dei Vespri per le festività della Beata Vergine. E’ composto sopra il quarto tono salmodico; le quattro coppie di versetti sono separate da brevi ritornelli strumentali per i quali una nota dell’autore avverte che si possono anche tralasciare, seconod il volere).
- Nigra sum. ‘Motetto ad una voce’. (Il primo dei Sacri Concenti inserito fra i Salmi. Il testo, tratto dal biblico ‘Cantico dei Cantici’, è affidato ad un a voce sola, tenore, con accompagnamento del semplice 'continuo' dell’organo. E’ l’unico testo che compare nella liturgia vespertina delle feste dedicate alla Vergine, anche se non fra il primo e secondo Salmo, come appare in questa edizione. Monteverdi ne adotta una versione più lunga di quella in uso nella liturgia, perché vi incorpora il testo di un’altra antifona mariana. E’ il primo dei brani non costruito ‘sopra canti fermi’ gregoriani; Monteverdi, nel classificarlo, adotta la dizione ‘motetto’, assai curiosa per un brano che avrebbe dovuto sostituire la ripetizione dell’ antifona gregoriana fra i salmi).
- Laudate Pueri. Salmo.‘A 8 voci sole ne’l Organo’.(Salmo 112, composto sopra l’ottavo tono salmodico gregoriano).
- Pulchra es. ‘A 2 voci’. ( Tratto anche questo dal ‘Cantico dei Cantici’ e destinato a due voci di soprano, è il secondo dei brani non costruito ‘sopra canti fermi’).
- Laetatus sum. Salmo.‘A sei voci’( e continuo, organo) (Salmo 121, terzo del Vespro, costruito sopra l’ottavo tono salmodico gregoriano, trasportato però alla quarta superiore).
- Duo Seraphim. ‘Tribus vocibus’( e continuo, organo). ( Tratto dal ‘Libro di Isaia’ e, nella seconda parte, dalla Prima Lettera di San Giovanni’. Affidata inizialmente a due tenori, dalle parole ‘ Tres sunt’ in poi si unisce una terza voce, ‘altus’. Terzo dei brani non costruito sopra ‘canti fermi’ gregoriani, non appartiene alla tradizione liturgica o devozionale mariana, semmai a quella trinitaria).
- Nisi Dominus. Salmo.’A dieci voci’. (Si tratta del Salmo 126, composto sopra il quinto tono salmodico. Le dieci voci sono distribuite in due cori).
- Audi coelum.’Prima ad una voce sola, poi nella fine à sei voci’. (Il testo non appartiene alla tradizione biblica o patristica, bensì alla ricca tradizione devozionale. La prima parte è per una voce sola (tenore) alla quale risponde «in Echo» una seconda voce, anche questa di tenore. Nella parte del Bassus generalis v’è l’indicazione di ‘Forte’ e ‘Piano’ rispettivamente per il primo tenore e per il secondo che risponde in eco. La seconda parte è, invece, a sei voci come avverte la stampa:’Qui entrano le altre cinque parti a cantare’).
- Lauda Jerusalem. ‘A Sette voci’. (Salmo 147, quinto del Vespro della Beata Vergine, composto sopra il terzo tono salmodico, a due cori. La ripetizione del canto fermo del tono salmodico è messa in particolare evidenza durante l’intero salmo).
- Sonata sopra Sancta Maria ora pro nobis. (È a 9 parti: la parte vocale, affidata al Cantus - ‘parte che canta sopra la sonata a 8’- intona 11 volte l’invocazione alla Vergine, sempre con la stessa melodia, come si usa nelle litanie da cui è tratta.Gli 8 strumenti sono così specificati: ‘Violino da brazzo I ; Violino da brazzo II; Cornetto I; Cornetto II; Trombone o vero viola da brazzo - Viola da brazzo –Trombone -Trombone doppio’).
- Ave Maris Stella. ‘Hinno Ave Maris. à 8’ . (È l’Inno del Vespro della Beata Vergine, costruito -come i cinque salmi- sull’omonimo inno gregoriano, ma con la tecnica della melodia gregoriana armonizzata, composto da sette strofe: la prima e l’ultima affidate ad un doppio coro, di quattro voci ciascuno; la seconda e la terza per coro a quattro voci; la quarta, la quinta e la sesta destinate, invece, a voci soliste. La melodia si ripete sempre identica per tutte le strofe dell’inno).
- Magnificat. ‘A sette voci, e sei instrumenti’. (Composto sopra il primo tono salmodico trasportato alla quarta superiore, è diviso in dodici episodi, affidati ad organici vocali-strumentali differenti, come prescrive, episodio dopo episodio, il Bassus generalis. Ai sei strumenti base prescritti all’inizio, altri se ne aggiungono nel corso del brano).
- Magnificat. ‘A 6 voci’. (Composto, come il precedente, sopra il primo tono salmodico trasportato alla quarta superiore e diviso in dodici episodi prevede, a differenza di quello, il solo accompagnamento del continuo dell’organo, per la cui realizzazione il Bassus generalis suggerisce i registri. È la versione semplificata del precedente; o, se si vuole, il primo è la versione più solenne di questo secondo).
Uno o più Vespri di
Monteverdi nella raccolta del 1610?
Veniamo alle varie ipotesi
formulate nel tempo dagli studiosi. Tre almeno. Prima
ipotesi. La più restrittiva. Il Vespro (
1610) è composto esclusivamente dalla risposta (‘Domine ad
adiuvandum me festina’) all’intonazione ‘gregoriana’( ‘Deus
in adiutorium meum intende’) - non va sottovalutata la modalità
‘gregoriana’ dell’introduzione del celebrante, in quanto avvia
l’alternanza fra gregoriano e stile concertante per le parti
dell’Ordinarium dei Vespri - dai cinque Salmi, dall’Inno Ave
maris stella e dal Magnificat. Le quali parti presentano, inoltre,
una forte unità stilistica e compositiva: stile concertante ed
impiego del ‘cantus firmus’ gregoriano. Sebbene possa apparire la
più restrittiva, questa interpretazione è quella che apre al Vespro
monteverdiano la più ampia possibilità di impiego. E i Sacri
Concenti? Monteverdi li avrebbe inseriti nella raccolta solo per
dimostrare ai suoi estimatori, ma anche ai suoi detrattori, che
sapeva maneggiare ogni stile di composizione, compreso quello del
canto da camera solistico, impiegato nei Sacri Concenti, di più
largo impiego nel melodramma e nella musica da camera profana, senza
per questo volerli considerare parti integranti del suo Vespro
(1610).
Seconda ipotesi.
Questa seconda considera il Vespro formato da tutte le parti che
nella stampa dell’ Amadino appaiono dopo la Messa, sulla cui
identificazione, per fortuna, non v’ è ombra di dubbio. Perciò
dal ‘Domine ad adiuvandum me festina’, fino al ‘Magnificat’
tutto è da considerare facente parte del Vespro e tutto va eseguito,
e nell’ ordine in cui si presenta (ad eccezione del secondo
Magnificat, che del primo rappresenta solo un’alternativa ). Ciò
porterebbe a dire che se non si eseguono tutti i ‘concenti’,
compresa la ‘Sonata sopra Sancta Maria’, od anche uno solo di
essi, si attenta all’unità del Vespro monteverdiano. Sembra questa
l’ipotesi esecutiva abbracciata, ad esempio, da quegli interpreti
che prima dei cinque salmi e del Magnificat opportunamente
inseriscono le antifone gregoriane che costituiscono, nel loro
assieme, le parti mobili (o Proprium del Vespro).
Terza ipotesi.
Il Vespro monteverdiano è composto dalle parti fisse del
corrispondente rito mariano; mentre i concenti costituiscono un
repertorio dal quale il maestro di cappella può attingere ora uno
ora l’altro per questa o quella festività mariana, come
sostitutivo della ripetizione dell’ antifona gregoriana. Perché
Monteverdi non ha messo tutti i sacri concenti alla fine del Vespro
canonico? Il dubbio è legittimo. Forse Monteverdi intendeva
suggerire non tanto la successione od il numero complessivo, quanto
semplicemente che ciascuno di essi apparteneva a quel repertorio, dal
quale attingere, ad libitum, una novità da offrire fra le parti
fisse che, anche nelle festività solenni, sono sempre uguali? Come
accadeva nell’analogo repertorio della Messa, dove si cantavano le
parti fisse di una delle tante Messe polifoniche, aggiungendovi, in
speciali occasioni, un mottetto di nuova fattura?
È evidente che, in sede
concertistica - come oggi è possibile fare, anzi dove unicamente si
ascolta il Vespro monteverdiano - si possa comunque eseguire l’intera
raccolta, senza porsi il problema liturgico-musicale
dell’identificazione del Vespro.
Ma se si vuole che
l’esecuzione concertistica sia il più vicino possibile a quella
liturgica - obiettivo non solo lodevole, ma auspicabile - allora tale
problema non può essere eluso, neppure in sede concertistica.
Ed ora una quarta
(nostra) ipotesi. Quell’edizione a stampa
potrebbe perfino essere la rappresentazione di “un” Vespro di
Monteverdi, così come forse (?) venne eseguito in una occasione
solenne, ed in tempi assai prossimi alla sua pubblicazione, con il
dispendio di mezzi previsto fra parti corali, solistiche e
strumentali. Ma non per questo deve necessariamente considerarsi “il”
Vespro di Monteverdi, pubblicato a Venezia nel 1610. Il quale, più
verosimilmente ed a rigor di logica e tradizione, è composto delle
sole parti - cosiddette 'fisse' o 'ordinarium' - costruite sopra
canti fermi ed in stile concertante.
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