martedì 27 febbraio 2024

Umano, meravigliosamente Umano di Francesco Lotoro ( da Nova Itinera, febbraio 2024)

 

Umano, meravigliosamente umano

Chiamasi concentrazionaria la musica di qualsiasi genere creata nei Campi e sub-Campi di

prigionia, transito, internamento civile, lavori forzati, concentramento, sterminio, penitenziari per la

detenzione civile o destinati all’internamento militare, POW Camps, Stalag, Oflag, Campi di

detenzione della NKVD e Gulag aperti dal 1933 (apertura del Lager di Dachau) al 1953 (morte di

Josif Stalin e amnistia concessa a civili e militari) da musicisti di qualsiasi estrazione artistico-

professionale provenienti da qualsiasi contesto nazionale, sociale e religioso che abbiano subìto

limitazioni totali o parziali della libertà individuale, discriminazioni su basi pseudo-razziali o

ideologiche o sociali o inerenti scelte sessuali o riguardanti disabilità fisiche, persecuzioni, ingiusta

detenzione e che siano stati trasferiti contro la propria volontà in tali siti, deportati, uccisi o che

siano sopravvissuti.

Trattasi di ebrei, cristiani di qualsiasi confessione, Sinti e Roma e altri gruppi sociali del popolo

Romanò, Euskaldunak o del popolo basco, sorabi inquadrati nella Wermacht o nella Resistenza

serba a seconda della loro collocazione geografica, Sufi presenti in territorio metropolitano italiano,

Bahá’í presenti in territorio polacco e di lingua esperanto, Bibelforscher residenti nel territorio

metropolitano del Reich ossia Testimoni di Geova residenti in Paesi occupati dal Reich, mongoli o

tatari o baschiri e altri gruppi sociali dell’Unione Sovietica, comunisti e attivisti politici, prigionieri

civili, militari di ogni grado e membri di organizzazioni militari impegnati in operazioni belliche.

In breve, chiamasi concentrazionaria la musica creata in cattività o in condizioni parziali ed

estreme di privazione dei diritti fondamentali dell’uomo; essa è tra le più importanti eredità della

Storia universale di incommensurabile valore storico e artistico, Letteratura dotata di pertinenti

prerogative.

Nel periodo più tragico della Storia del sec. XX il genere umano avviò i meccanismi più evoluti

della conservazione del pensiero e dell’immaginario scatenando una esplosione di creatività e

producendo un Testamento dell’intelletto e del cuore.

Tale musica è definita concentrazionaria ai fini di una ricerca storica e geografica attualmente a

uno stadio molto avanzato ma lontana da una esauriente perimetrazione dell’intera fenomenologia

musicale dal 1933 al 1953; un giorno occorrerà riferirsi ad essa unicamente come musica, non più

necessitando di elementi di veicolazione storica e geopolitica inerente Seconda Guerra Mondiale,

deportazioni civili e militari, catastrofi umanitarie dalla Shoah al Porrajmos sino allo Holodomor.

Presso Lager e Gulag, siti del Paleolitico contemporaneo nei quali la Storia ha conosciuto il suo

baratro umanitario e si è letteralmente annichilita, i musicisti cementarono con la loro creazione

artistica una nuova letteratura; questa musica ettava le fondamenta di una nuova Europa che

sarebbe andata oltre la resa dei conti storica e militare di Norimberga consegnando alle future

generazioni una nuova Fenice di Venezia, un modo nuovo di pensare la Scala di Milano.

In linea generale il musicista trasformava la perdita di libertà accusata con la deportazione in

enorme potenzialità e risorsa di perfezionamento delle proprie attitudini musicali e ciò è

unicamente spiegabile alla luce delle intrinseche capacità dell’artista di adattarsi all’ambiente

circostante, attingere linfa vitale laddove sembrava prosciugata ogni goccia esistenziale, lasciarsi

ispirare dai limiti spaziali e nell’immaginario trasformare in giardini pensili una landa desolata

oppure – usando un’immagine del musicologo Piero Rattalino – in garçonnière una antica abbazia

medioevale e ciò non è romanticismo dell’anima bensì reale, razionale attitudine che in numerosi

Campi si è solidificata, ottimizzata attribuendo un senso a se stessa e al luogo di prigionia.

L’attività musicale nei Campi produsse percorsi della mente e dello spirito che aiutarono a meglio

sopportare oggettive situazioni di disagio e sofferenza, non di rado divennero veicolo di umana

solidarietà; più pragmaticamente, divenne fonte di approvvigionamento alimentare o fonte di

reddito per i musicisti, lo sbigliettamento dei concerti creò un utile economico per acquisto di

materiali e strumenti musicali, carta-musica, spartiti, partiture e parti staccate oppure – nel caso di

numerosi Stalag e Oflag – alla copertura dei costi per il giornale del Campo a uso dei prigionieri di

guerra.

Combattenti repubblicani baschi in fuga da Franco e riparati nel Campo profughi di Gurs

rimodulato in Campo di internamento sotto Vichy; Bibelforscher tedeschi che si opposero sia alla

leva militare obbligatoria che ai principii dottrinali del nazionalsocialismo; civili internati per aver

espresso idee ostili al Reich o al regime fascista italiano; olandesi e cittadini di altri Paesi europei a

Singapore e nelle Indie Orientali Olandesi sotto occupazione militare giapponese; civili residenti in


territori coloniali nei quali fosse subentrata autorità occupante; militari di ogni ordine e grado

appartenenti ai Paesi in conflitto catturati e trasferiti in Oflag, Stalag, POW Camp e altri siti di

cattività militare.

In virtù della trasversalità del linguaggio musicale nonché della sua capacità di coinvolgere uomini

e contesti storico-geografici distanti tra loro, chiunque di essi abbia creato musica in cattività ha

pieno diritto di cittadinanza nella letteratura musicale concentrazionaria.

Dal punto di vista strettamente demografico e nel periodo di maggior flusso, i Campi somigliavano

a insediamenti urbani in scala ridotta; prigionieri civili non di rado insieme a prigionieri di guerra

sovietici dopo il 1941 (il Reich non applicò loro le Convenzioni di Ginevra) e deportati di varia

tipologia a pochi Block di distanza l’uno dall’altro.

Musicisti ebrei nei Lager scrissero opere destinate alla preghiera o a momenti topici del calendario

religioso ebraico, in un periodo storico nel quale l’ebraico non era lingua corrente come lo divenne

dopo la nascita dello Stato d’Israele; a Bergen-Belsen, Józef Z’vi Pinkhof stese canti con testo

ebraico trasliterrato in caratteri latini in calce alla linea musicale, il testo riproduceva la pronuncia

ebraica tipicamente askenazita con “Surò” in luogo di “Torà”, “Umain” in luogo di “Amen” e così via.

A Theresienstadt il compositore tedesco Zigmund Schul scrisse Cantata Judaica op.13 per coro

machile (pervenuto il Finale) e lo struggente Mogen Owaus per coro misto, soprano, baritono e

organo; l’organo suonato durante lo Shabbath nonché cantanti solisti e coro misto (uomini e donne

che cantano fianco a fianco) ritornano in altre partiture religiose, accondiscendendo alle aperture

dell’ebraismo riformato e al gusto operistico dell’epoca.

Nel Campo di transito aperto dal Reich a Westerbork (Paesi Bassi), Hans Krieg scrisse canti per la

festa di Channukkà mentre, presso la colonia penale del medesimo Campo, l’ebreo olandese Hans

van Collem compose Psalm 100 sul terriccio del campo di patate dove svolgeva i lavori forzati e

poi lo stese su carta igienica; la domenica successiva, approfittando dell’assenza delle guardie per

il turno di riposo, lo eseguì con un coro maschile nelle latrine della colonia.

Presso il Campo di internamento australiano di Tatura il rabbino della sinagoga Brunenstrasse di

Berlino, Boaz Bischofswerder (emigrato nel 1933 in Gran Bretagna, internato allo scoppio della

Guerra poiché classificato enemy alien) scrisse Shevà Berachot per baritono e pianoforte; nel

1943 presso il Campo di internamento civile slesiano VIIIZ di Kreuzburg (oggi Kluczbork, Polonia),

su richiesta degli internati cattolici, il pianista e compositore quacchero britannico William Hilsley

scrisse una Missa in festo nativitatis per coro maschile a cappella (dopo la guerra Hilsley affermò

in una intervista di essere di origine ebraica e che il suo vero nome era Josef ben Mendel Hallevi).

Dachau fu l’epicentro della musica religiosa cristiana, ivi entrarono 2.579 sacerdoti, vescovi e

monaci, 109 pastori evangelici, 22 prelati greco-ortodossi e altri della Chiesa riformata e

veterocattolica; di essi, 1.034 morirono per inedia, malattia, impiccagione, fucilazione o crocifissi a

testa in giù, 300 di essi subirono esperimenti medici o perirono sotto tortura.

Il benedettino Gregor Schwake scrisse la Dachauer Messe per coro maschile, quartetto d’ottoni e

organo eseguendola clandestinamente presso il Block 26 con il solo accompagnamento di

harmonium; il coro di sacerdoti era diretto dal boemo Karl Schrammel in seguito accusato di

spionaggio, trasferito a Buchenwald e colà impiccato.

Nell’aprile 1939 presso il Campo pirenaico di Gurs il compositore ebreo franco-tedesco Kurt Levy

creò una revue in 22 quadri con l’accompagnamento dell’orchestra Tommy Green und seine

Camping Boys (il termine inglese Camping giocava con il significato di Campo) mentre il

compositore basco Regino Sorozábal scrisse pezzi e diresse la sua orchestra basca.

Nato a Bologna dallo scrittore afghano Jusuf Roberto Mandel e della scrittrice ebrea Carlotta

Rimini, Gabriele Mandel abbracciò il sufismo ed era altresì flautista e violinista, pubblicò novelle

sufi sul Corriere dei Piccoli ma nel 1940 fu espulso dall’Albo dei giornalisti poiché figlio di madre

ebrea; verso la fine della Guerra fu imprigionato insieme a suo padre e torturato dai tedeschi a San

Vittore, nella cella 8 del quinto raggio scrisse un meraviglioso Canto per tenore e pianoforte.

Nell’estate 1940 l’ebreo austriaco Charles Abeles fu internato presso la Casa Rossa di Alberobello

ma, grazie alla famiglia Nardone che gli mise a disposizione un pianoforte, scrisse il Valzer Rondo

Felicità op.282 per pianoforte; oggi il manoscritto si trova presso la fondazione Istituto di

Letteratura Musicale Concentrazionaria a Barletta insieme ad altre 10.000 opere tuttora in fase

catalogazione.

In un viaggio metastorico dal primo Lager nel 1933 all’ultimo Gulag nel 1953 con diramazioni nella

Jugoslavia di Tito, nell’Albania di Hoxha, nella Spagna di Franco e nella Cina di Mao, questa


letteratura musicale ha sviluppato profili di transdisciplinarietà; uno tsunami di creazione musicale

e teatrale che rende l’idea della forza incrollabile dell’ingegno umano.

Scrisse Emile Goué, compositore francese prigioniero di guerra nell’Oflag XA Nienburg/Weser

deceduto nel 1946 per una malattia contratta nel Campo: “La musica non era un intrattenimento o

un gioco ma la stessa espressione della nostra vita interiore. Facevamo musica molto seriamente,

senza alcuna ironia. Era impossibile fare grandi cose senza convinzione e questa convinzione che

l'artista deve portare al suo lavoro non è altro che credere nella necessità di ciò che scrive”.

Buchi neri capaci di divorare carne e civiltà riportando la clessidra della Storia alla barbarie, i

Campi divennero fabbrica di sogni, industrie di arte e scienza musicale capaci di riavviare l’orologio

della vita dell’intelletto e il tempo collassato in Ghetti, Lager e Gulag.

Chi salva una vita salva il mondo intero, è scritto nel Talmud Bavli; non abbiamo potuto salvare la

vita di gran parte di questi musicisti ma abbiamo salvato la loro musica e questo equivale ad

avergli salvato la vita nel suo significato, universale, metastorico e metafisico.

Sulle ceneri della ex Distilleria di Barletta nascerà nei prossimi anni la Cittadella della Musica

Concentrazionaria; oceani di musiche, pensieri, storie e sofferenze di interi popoli confluiranno in

quello che sarà l’Hub mondiale della musica più geniale del Novecento.

Recuperare musica scritta da uomini perseguitati, imprigionati e deportati non è soltanto agire da

musicisti: tutto ciò è umano, meravigliosamente umano.


1 commento:

  1. Tanta amara verità,, ma anche tànta creatività. Informazioni su cui riflettere. Storia tragica ed opere sublimi...
    Grazie mille al prof Pietro Acquafredda.

    RispondiElimina