.. la fortuna, scrive Machiavelli, ne Il Principe: "è come questi fiumi rovinosi che quando si adirano allagano e' piani . ruinano gli arbori e gli edifizi, lievano da questa parte terreno, pongono da quella altra; ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede all'impeto loro sanza potervi in alcuna parte ostare"
..." quando sono tempi queti, gli uomini devono fare provvedimento e con ripario e con argini: in modo che, crescendo poi, le acque andranno per un canale e l'impeto loro non sarebbe né si dannoso ne si licenzioso".
L'aveva capito già Machiavelli al principio del Cinquecento. e non si può dire che nei secoli che ci separano da lui, non l'abbiano capito tutti i governi di ogni colore politico in Italia (la lezione serve anche fuori). E, difatti, tuti ripetono quasi a memoria quel che aveva scritto Machiavelli, rimandando però l'azione al governo successivo, perchè dopo le tragedie si ha altro cui pensare.
E se nel 3023, appena mille anni da ora, un marziano scendesse sulla terra, in una primavera - che non sono più quelle di una volta - ed assistesse ad uno di questi cataclismi sempre più frequenti e rovinosi, tornado sul suo pianeta e riferendo ai marziani cosa vi ha visto di impressionante, potrebbe riferire le parole di Machiavelli, sacrosante, scolpite ancor nella pietra, non nella testa degli italiani. Che però, a tragedia avvenuta, si sono prodigati in ogni modo per recare sollievo alla furia delle acque, aggiungerebbe.
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Il testo di Machiavelli lo abbiamo letto sul Corriere di oggi, nel 'corsivo, dal titolo "Alluvioni e Fiumi. L'allarme di Machiavelli', a firma Giancristiano Desiderio.
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