Anche Meyer gioca la carta, come un 'baro' navigato, del ritorno di Muti alla Scala; e, del resto, se l'ha fatto Muti in persona, in una intervista al suo giornalista d'elezione del Corriere, Valerio Cappelli, può farlo anche Meyer.
Anche Valerio Cappelli ha lasciato che Muti dicesse - e lui muto - in quella intervista di poche settimane fa, che torna nei 'luoghi del cuore', come resta per lui la Scala. Una falsità in piena regola consentita dall'intervistatore. Perchè è evidente che una grande orchestra in tournée in Italia, desidera suonare alla Scala; se poi c'è Muti sul podio, come avverrà a gennaio con la 'Chicago Symphony', dipende solo dal fatto che lui ne è il direttore.
E allora, caro Meyer, Muti non torna alla Scala, vi torna la sua orchestra e lui, necessariamente, sul podio. Dopo di che...Scala addio?
Forse solo un 'arrivederci'; Muti sembra ripeterlo da un a ventina d'anni, che ancora non sono bastati per sanare la ferita della sua uscita traumatica. Perchè, tuttavia, pensiamo non sia ancora un addio definitivo? Perchè Meyer - come hanno fatto anche in altri teatri - invita la figlia Chiara (Guillaume Tell, vers.francese), per una regia, sperando di avere, dopo, anche il padre. Questo gioco, avallato dallo stesso Muti padre, è riuscito già numerose volte e continua a Firenze, Torino, Napoli, Palermo. Insomma dappertutto, ad eccezione della Scala e dell'Opera di Roma, che restano tuttora le ferita sanguinanti nella carriera di Muti. Si cicatrizzeranno nel prossimo futuro, previa cura preventiva della figlia Chiara?
Il programma della prossima stagione alla Scala, quella del 'ritorno dei grandi direttori' induce a riflettere anche sul caso Kirill Petrenko, direttore dei Berliner, in questi giorni in Italia, sul podio della Sinfonica nazionale Rai di Torino, nel capoluogo piemontese e a Brescia.
Che si parla di lui da tempo lo sapevano anche alla Scala, eppure solo nella prossima stagione debutterà come direttore, con Rosenkavalier di Strauss.
Come mai un direttore già da tempo accreditato nel mondo (ed anche in Italia, dove ha diretto spesso ed in diverse istituzioni), da qualche anno sul podio della massima orchestra europea, non ha ancora messo piede alla Scala?
Due, anzi tre, potrebbero essere le ragioni:
1. La sua fama mondiale può essere sbocciata solo dopo la chiamata dei Berliner che ha rappresentato per tutti, anche per i miscredenti, una santificazione.
2. Certi direttori artistici a volte sembrano più bravi di altri, al punto che non condividono, come nel caso di Petrenko, la sua fama di direttore da altri, la maggioranza, ormai acquisita.
3.Oppure, e non è l'ultima ragione, forse (anzi senza forse), contano certe agenzie, e Petrenko o avrebbe potuto far ombra ai rispettivi direttori stabili, o era rappresentato da agenzie con le quali certe istituzioni non avevano o non volevano avere rapporti.
Con una appendice: Petrenko, da Berlino va anche all'Orchestra della Rai ed altrove, mentre, Chailly non fa due passi per andare dalla Scala a quella che fu la 'sua' orchestra milanese, e che un tempo si chiamava Orchestra 'Giuseppe Verdi' ed ora 'Orchestra sinfonica di Milano'; come del resto, a Roma, Pappano non ha mai diretto l'orchestra dell'Opera, dicendo che non aveva tempo; o, più verosimilmente, che non aveva la barca per attraversare il Tevere, che separa le due istituzioni, ma che ci sarebbe stata un'occasione in futuro. Balle, solo balle, nient'altro che balle. Vergognose.
E, infine, Cristian Thielemann, che ha già diretto alla Scala ( stagione sinfonica, oppure 'ospite' con la sua ex orchestra di Dresda) e che, forse con la Tetralogia wagneriana che dirigerà a Milano da qui al 2026, comincia la marcia di avvicinamento al Teatro milanese, per entrarvi trionfante, dopo l'uscita di Chailly, che quell'anno potrebbe uscirne in coppia con Meyer, per prenderne il posto.
L'ipotesi non è tanto avveniristica. E forse potrebbe piacere anche al nuovo governo, alla Meloni a Sangiuliano e Sgarbi, che si sono a più riprese scagliati contro gli stranieri che hanno nelle nostre istituzioni culturali incarichi di rilievo.
Per Thielemann la regola non varrebbe, nonostante egli sia straniero, 'tetesco di Cermania''. Perchè, salvo il suo ben noto 'cattivo carattere', che lo ha tenuto lontano negli anni passati da possibili altri prestigiosi incarichi in Italia ( Santa Cecilia, Fenice) egli è allineato con le frequentazioni ideologiche della Meloni e di Sangiuliano, sicuramente di loro due; Sgarbi no.
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