In quasi quattro ore di colloqui a porte chiuse, il presidente russo Vladimir Putin ha confermato il suo appoggio al collega bielorusso, Aleksandr Lukashenko, volato a Sochi sul Mar Nero, nelle vesti di "un amico in difficolta'", come lui stesso si è definito dopo oltre un mese di manifestazioni di piazza che ne chiedono le dimissioni considerandolo un usurpatore del potere.
L'appoggio promesso da Mosca è sostanzialmente economicoe militare e il babbo' - come i suoi sostenitori chiamano il leader di Minsk - porta a a casa anche la rassicurazione di Mosca di non interferenza. Putin ha annunciato un prestito di 1,5 miliardi di dollari (utile solo in parte a un'economia in stagnazione ma che con ogni probabilità, avvertono gli analisti, andrà a foraggiare il vasto apparato della sicurezza, che ancora appoggia il presidente e porta avanti la repressione dell'opposizione), ha detto che si è discusso in modo "costruttivo" di approvvigionamento energetico e auspicato una maggiore collaborazione nell'industria della Difesa, con esercitazioni militari congiunte che inizieranno da subito e si terranno regolarmente per un anno ("tutti i militari russi saranno restituiti ai loro luoghi di schieramento").
Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha assicurato che non si è discusso di basi militari russe sul territorio della ex repubblica sovietica, come in molti avevano speculato, anche se Putin ha lasciato intendere di essere pronto a intervenire qualora venga superata la linea rossa della minaccia alla sovranità del Paese, nel quadro dell'alleanza militare Csto.
Sembra rimandata la questione della maggiore integrazione della Bielorussia nello Stato dell'Unione, con cui il Cremlino mira a portare definitivamente il Paese nell'orbita russa. Non appare, invece, un'opzione sfruttare la debolezza interna ed internazionale di Lukashenko per portarlo a firmare accordi su cui finora si è mostrato riluttante: la legittimità del leader di Minsk è talmente minata e la sua prospettiva di rimanere in carica così incerta che stipulare patti politici seri appare rischioso.
Probabilmente la chiave per una possibile exit strategy che convenga anche al Cremlino risiede nella, ancor poco chiara, riforma costituzionale, unica concessione di Lukashenko alla piazza, che però non si fida e vede la promessa del presidente come un modo per prendere tempo. Mosca potrebbe puntare a una transizione controllata del potere con l'arrivo alla guida del Paese di una figura fedele alla Russia, ma accettata anche dal movimento di piazza. Le incognite dietro questa strategia, però, non sono poco: la scarsa affidabilità di Lukashenko, la cui 'sottomissione' al volere del Cremlino non è scontata, e poi il risveglio della società civile in Bielorussia, che non si sta piegando neppure davanti agli arresti e alle torture del regime.
Nel giorno dei colloqui di Sochi, a rivolgersi a Putin è stata Svetlana Tikhanovskaya, la ex candidata d'opposizione alle presidenziali del 9 agosto e ritenuta dalla piazza la vincitrice legittima del voto. "Mi dispiace molto che lei abbia deciso di aprire il dialogo con l'usurpatore e non con il popolo bielorusso", ha dichiarato Tikhanovskaya. "Tutti gli accordi firmati con Lukashenko", ha ammonito, "saranno riesaminati dal nuovo governo perché il popolo bielorusso ha negato la fiducia e il sostegno a Lukashenko alle elezioni".
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