Ieri il francese “Le Monde” scriveva che la politica americana si è “putinizzata” e che ormai il Presidente Donald Trump è soltanto l’alter ego di Vladimir Putin: “Il Cremlino vuole l’Ucraina, le Repubbliche baltiche, la Moldavia e la Polonia? Parliamone, in fondo noi vogliamo Panama, il Canada, la Groenlandia e la Striscia di Gaza”. Di fronte a questa intesa spregiudicata per impossessarsi di terre e ricchezze l’opinione pubblica americana comincia a dare segni di nervosismo.
Hackman e il vero americano
Ieri è morto a 95 anni l’attore americano Gene Hackman che è stato l’interprete di meravigliosi film in cui dava vita in modo fintamente scialbo all’americano medio, un uomo senza qualità ma assolutamente americano. Quello del “vero americano” è del resto l’eterno filo conduttore di Hollywood, ma quel filo conduttore è sparito da quando Trump è tornato alla Casa Bianca. E si diffonde un dubbio esistenziale: ma Trump è davvero un americano che condivide i valori di questa nazione? In inglese l’aggettivo “unamerican” vuol dire “antiamericano”, ma privo dell’identità americana.
Trump “agente di influenza” Kgb
Nessuna sorpresa se si rivede su Internet (la fonte è ucraina, quindi di parte) espresso il vecchio sospetto complottista e non provato ma pubblicato in due libri, secondo cui Donald Trump negli anni Ottanta sarebbe stato “coltivato” dal KGB per diventare “agente di influenza”. Nessuno può dire se c’è una traccia di verità in queste teorie ma sta di fatto che un agente di influenza non è una spia, ma una persona che ha fatto un patto col diavolo, il quale gli spiana la carriera per poi manovrarlo. Non sarebbe una novità: tutti ricordiamo il clamoroso tonfo del cancelliere tedesco Willy Brandt travolto nel 1974 dallo scandalo quando si scoprì che il suo braccio destro Gunter Guillaume era un agente della Stasi tedesca e quindi del Kgb.
Il rapporto incestuoso
Gli americani avvertono uno specifico disagio quando si tratta di valutare il carattere americano come virtù che a noi europei può sfuggire. Ma oggi negli Stati Uniti si diffonde la percezione di un Presidente nei cui atti e parole non si vede traccia della buona retorica sulle virtù fondamentali: la libertà, la democrazia e quindi la lotta (almeno a parole) contro autocrati e regimi autoritari. Trump non parla mai di libertà, meno ancora di democrazia ed è irritato dalla sconsiderata libertà dei giornalisti che lui sta dividendo fra quelli ammessi e quelli tenuti alla larga, ma quel che appare certo è il suo rapporto politicamente incestuoso con la Russia come mai l’ha avuto alcun altro Presidente. Tutti gli inquilini di White House hanno costruito il loro rapporto con la Russia, sovietica o post-sovietica ma nessuno si era spinto fino al comparaggio.
Bill Clinton condivideva pinte di whisky con il russo Boris Yeltsin in tempi in cui nessuno faceva caso al pallido Vladimir Putin che il capo del Cremlino aveva adottato come suo successore. Era ancora l’epoca delle pacche sulle spalle e degli abbracci entusiasti per il senso di liberazione dall’incubo della minaccia Russa all’Occidente. Sentimenti che ispirarono Francis Fukuyama a scrivere il saggio la “Fine della storia” come fine del conflitto fra Occidente democratico e Russia quando il mondo si compiaceva della scomparsa per collasso interno del nemico numero uno della democrazia liberale. Ma era stato un equivoco, un effetto ottico per l’illusione che fosse finita la guerra fredda.
La Golden Card agli oligarchi
Trump ha annunciato di voler una “Golden Card”, da vendere per quattro milioni di dollari agli stranieri, purché miliardari, che vogliono diventare americani privilegiati. Un giornalista ha chiesto: “Ma così darà la cittadinanza americana a tutti gli oligarchi russi del circolo di Putin”. La risposta di Donald Trump è stata: “E perché no? Fra gli oligarchi c’è gente molto in gamba, posso assicurarvelo”. Questa affermazione ha avuto un forte impatto sull’opinione pubblica come si legge dai post e le e-mail ai media. Il Presidente Ronald Reagan instaurò un rapporto molto personale con l’ultimo segretario del PCUS Michail Gorbaciov dopo avergli urlato dalla porta di Brandeburgo a Berlino il 12 giugno del 1987, “tear down this wall!”, butti giù quel muro. Gorbaciov aspettò due anni ma poi consentì alla caduta del muro nel 1989, primo segno concreto dell’inizio del collasso sovietico.
Vladimir Putin era allora un tenente colonnello del KGB di stanza a Dresda, nella Repubblica Democratica tedesca. Lui stesso ha raccontato con molti dettagli come lui e i suoi colleghi facessero “scoppiare le stufe” per eliminare tutti i rapporti sulle operazioni di Stasi e Kgb. La stazione di Dresda aveva un compito di supervisione del terrorismo europeo come è emerso anche nella Commissione bicamerale d’inchiesta che ho presieduto, e contro la quale Putin nel 2002 scatenò una campagna contro perché considerava intollerabile che un Parlamento straniero indagasse sul KGB.
“Arricchitevi“
Il legame fra Putin e Trump oggi è costantemente mostrato e commentato, ma la consistenza di questo legame non sembra tanto geopolitica quanto guidata da una spavalda avidità per la ricchezza. Per entrambi i leader sembra valere oggi il celebre slogan del primo ministro francese Francois Guizot nel 1840: “Arricchitevi!”. Guizot era un calvinista molto bigotto e lodava il denaro come premio divino agli imprenditori virtuosi. Non avrebbe certo venduto “Golden Card” ad oligarchi e mafiosi.
È su questa esibizione spregiudicata di avidità e desiderio nonché disinteresse anche formale dei sacri principi di libertà, democrazia e libertà di parola che l’opinione pubblica dà già oggi ad un mese dalla “inauguration”, forti segni di disorientamento e anche di repulsione non solo fra i democratici ma nell’elettorato repubblicano composto da ceto medio e immigrati legali e non da miliardari. Il malcontento cresce ed è visibile in tutti i media, ovviamente a partire dalla CNN e dal New York Times i cui columnist si chiedono “se per caso non siamo guidati da un padrino della Mafia avido di territori da spartirsi con la Russia: io mi prendo la Groenlandia e tu ti prendi la Crimea, io prendo Panama e tu il petrolio artico”.
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