martedì 25 febbraio 2025

Hirsch Glick, poeta, scrittore e cantautore di lingua Hiddish di Francesco Lotoro

  Hirsch Glick ossia l’apologia della vita

Come molti intellettuali ebrei lituani di ispirazione politica comunista, nel 1939 il poeta, scrittore e cantautore di lingua yiddish Hirsch Glick (foto in basso) ebbe un approccio tollerante nei riguardi dell’occupazione sovietica di parte del territorio lituano seguita al patto Molotov-Ribbentrop; tuttavia, all’indomani dell’invasione tedesca nel giugno 1941, Glick si unì alle migliaia di lituani che fuggirono da Vilnius per unirsi alla Resistenza partigiana nelle foreste circostanti. Nel settembre 1941 Glick fu catturato e trasferito con suo padre presso il Campo di lavori forzati di Baltoji Vokė e in seguito presso le paludi del Campo di Rzeza; a Rzeza si ammalò di febbre tifoidea ma riuscì ugualmente a creare poemi e canti scrivendoli su pezzi di carta o recitandoli a diversi deportati in modo che essi potessero memorizzarli e a loro volta trasferirli ad altri deportati. Nel 1943 il Campo di Rzeza fu liquidato e i prigionieri trasferiti presso il Ghetto di Vilnius, Glick partecipò attivamente alla vita artistica del Ghetto scrivendo tra l’altro il canto Shtil, di nakht iz oysgeshternt (“Silenzio, la notte è piena di stelle”); nel 1943 le notizie dell’insurrezione del Ghetto di Varsavia e dei combattimenti in corso nella foresta di Vilnius tra partigiani ebrei e unità SS ispirarono Glick a creare il canto Zog nit keynmol, az du geyst dem letstn veg (“Non dire mai che hai raggiunto la strada finale”) che in breve divenne l’inno della Resistenza ebraica di Vilnius.

Zog nit keynmol si diffuse presso altri Ghetti e Campi e fu tradotto in diverse lingue; durante la liquidazione del Ghetto nell’ottobre 1943 Glick, trasferito presso il Campo di Goldpilz aperto in territorio estone, scrisse altri canti e testi poetici ma nel luglio 1944, con l’approssimarsi delle truppe sovietiche e il Campo sguarnito, fuggì con altri 40 deportati facendo perdere le proprie tracce.

Nuovamente catturato dalle truppe tedesche, Glick fu ucciso nell’agosto 1944; gran parte del suo materiale poetico e musicale prodotto nei Campi di lavoro è pervenuto unicamente nella traduzione in lingua ebraica e pubblicato nel 1948 e nel 1953 sul giornale israeliano Die Goldene Keit.

Una sola canzone di Glick, che peraltro non godeva neanche del pregio dell’originalità (la melodia era del compositore ebreo sovietico Dmitry Pokrass), fu in grado di scatenare eroiche sommosse sia nel Generalgouvernement che nel Reichskommissariat Ostland; le efficientissime guarnigioni della Wehrmacht non ammisero mai le incredibili difficoltà che dovettero affrontare per avere la meglio sulla resistenza ebraica da Varsavia ai Paesi Baltici. Berlino fu suo malgrado costretta a inviare nuove truppe lasciando pericolosamente scoperti ampi segmenti del fronte orientale.

Questo è lo spirito ebraico, fondato sull’apologia della vita; come fegato di prometeica memoria che si riproduce e ricresce sebbene strappato dalle carni e mutilato, nei momenti più tragici della propria Storia il popolo ebraico ha rigenerato la propria identità e il proprio patrimonio di arte e pensiero. La stessa religione ebraica emana un inesauribile senso sacrale dell’esistenza; come scrisse lo psicanalista francese Jacques Hassoun (1936–1999), «l’ebraismo non è una religione funebre».

La cultura della Morte e del Terrore (foraggiata dall’ignoranza, il peggiore dei mali) prolifera laddove latita la cultura della Vita e della Memoria; se nel 1945 il mondo non fu testimone di una catastrofe dell’ingegno umano, lo deve unicamente a quell’Umanità che persino nel punto più basso della Storia scatenò la propria creatività partorendo un immenso patrimonio musicale, artistico e teatrale e allo stesso tempo facendone tesoro e cassaforte per le future generazioni. A Hirsch Glick,né la febbre tifoidea né i Campi di lavori forzati né i Ghetto furono capaci di strappare la creatività; è un popolo molto fortunato quello che annovera tra le proprie fila uomini come Glick.


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