Sono giorni febbrili a Pechino. Due tra le crisi militari più gravi del mondo, la guerra in Ucraina e il conflitto nella Striscia di Gaza, sembrerebbero essersi sbloccate. Ora che si comincia finalmente a parlare di pace, i principali emissari di Xi Jinping si sono attivati per consentire alla Cina di raccogliere i frutti di un lungo lavoro diplomatico svolto sotto traccia, lontano dai riflettori e dai microfoni dei cronisti.
Sebbene non sia stato quasi mai menzionato negli articoli sui negoziati tra Israele e Hamas, né in quelli riguardanti i dialoghi tra Kiev, Bruxelles e Washington, il Dragone è stato sempre presente, a pochi passi dai tavoli delle trattative. Certo, negli ultimi tre anni il gigante asiatico non ha mai tirato fuori il classico coniglio dal cilindro, ma gli vanno comunque riconosciuti almeno due grandi meriti.
Il primo: mentre Stati Uniti e Unione Europea perdevano tempo a schierarsi ufficialmente con una delle due parti in causa, condannando l’altra, il governo cinese ha predicato la via della diplomazia, proponendo addirittura piani operativi (puntualmente ignorati dal blocco occidentale) per arrivare al cessate il fuoco, coinvolgendo Paesi terzi e indipendenti nelle discussioni e suggerendo soluzioni ragionevoli.
Il secondo merito: la Cina è innamorata del pragmatismo, proietta le relazioni nel lungo periodo, e sa bene che gli attuali rivali potrebbero diventare i partner di domani e viceversa. In altre parole, Pechino non ha chiuso le porte a nessuno: né all’Ucraina, né a Israele, né ai Paesi arabi, né tantomeno alla Russia. Nei piani di Xi, d unque, manca poco per raccogliere i “dividendi” del grande gioco diplomatico del XXI secolo.
Dall’Ucraina a Gaza: la posizione cinese nelle crisi globali
Il traguardo auspicato dal Dragone coincide con la pax sinica (possibilmente globale), un periodo di pace e stabilità con la Cina in prima fila nel garantirne il raggiungimento. Non sarà stato Xi a favorire per primo l’accordo tra Hamas e il governo israeliano, ma i cinesi sono stati abili a entrare in gioco quando ormai le trattative erano in corso, fungendo da arbitri imparziali.
Wang Yi, il ministro degli Esteri di Pechino, ripete da giorni che è giunto il momento di accelerare i piani di ricostruzione e di governance per la Striscia di Gaza, sottolineando che l’unica soluzione per una “pace duratura” è quella dei due Stati, e ribadisce che la Palestina dovrà essere governata dai palestinesi. E Israele? Benjamin Netanyahu dovrà accettare il fatto diplomatico compiuto, mentre Tel Aviv continuerà a essere un importante partner cinese.
Ricordiamo che Israele è una delle poche economie sviluppate ad aver preso parte alla Belt and Road Initiative e che i due Paesi hanno firmato un partenariato nel 2017 per espandere i legami tecnologici e commerciali, mentre la Cina ha anche accettato di investire nelle infrastrutture israeliane. La risoluzione del nodo israeliano consentirà poi alla Cina di tirare un sospiro di sollievo in Medio Oriente, dove si è più volte spesa per coinvolgere Iran e Libano nelle proprie iniziative, soprattutto giocando di sponda con l’Arabia Saudita.
Nel cuore dell’Europa
Diverso il dossier ucraino, dove Xi ha molta più voce in capitolo, essendo un partner stretto di Vladimir Putin. I due si sono incontrati e chiamati più volte, scambiandosi idee e suggerimenti, firmando nuove intese e accettando di accelerare la cooperazione.
La mossa a sorpresa di Donald Trump ha probabilmente spiazzato Pechino, che immaginava una virata a U di Washington, ma forse non così rapida e brusca. Gran parte degli analisti occidentali ritiene che l’obiettivo del governo cinese sia quello di evitare che Mosca possa sganciarsi dall’orbita Brics e dal partenariato senza limiti sino-russo. In realtà, molto più probabilmente, Xi fungerà da garante di Putin nelle trattative con Trump.
Intanto Wang Yi, proprio in questi giorni, era in Europa. È stato nel Regno Unito, in Irlanda e alla Conferenza di Monaco, dove ha ribadito le posizioni cinesi sulle questioni di interesse globale. Il ministro cinese, altro aspetto da non ignorare, ha sostenuto un posto per Kiev e l’Unione Europea al tavolo delle trattative tra Stati Uniti e Russia, rimarcando ancora una volta la necessità di adottare un approccio multilaterale. Già, un approccio multilaterale: l’ingrediente necessario per consolidare una pax sinica più estesa e duratura possibile.
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