giovedì 13 febbraio 2025

Muti fuori dalla Scala nel 2005. Il racconto di Natalia Aspesi ( da La Repubblica)

 La Scala senza Riccardo Muti, Milano senza la sua fama gloriosa e trionfante in ogni angolo del pianeta; le sue appassionate sostenitrici, dette con deferenza Vestali, senza il suo magico pallore e il suo lucente ciuffo ondeggiante nella passione direttoriale, i critici di infiammata devozione senza la meraviglia della sua musica venerata come miracolosa. Sta crollando l'ultimo mito della povera, bistrattata metropoli padana, proprio in concomitanza con le agitate elezioni regionali, aumentando l'ansia, il malcontento, lo sperdimento di una città stanca e confusa.



Come si sia arrivati a questa acre fine, che naturalmente non è una vera fine ma solo l'interruzione di una delle tante esagitate puntate della miseranda storia, può essere raccontato purtroppo solo con la solita vaghezza ricca di eventi roboanti e di quei silenzi sdegnosi da parte di chi è certo di non dover spiegare niente a nessuno, essendo le proprie decisioni non verificabili né tantomeno sanzionabili: mettendo subito in chiaro però le responsabilità di una serie di potenti azzeccagarbugli che anziché sedare, trattare, convincere, sono riusciti, per arroganza, indifferenza, insipienza e cannibalismo politico, a rendere impossibile ogni mossa ragionevole, ogni pacificazione, ogni soluzione favorevole non a questo o a quell'antagonista, ma al teatro alla Scala, alla città, alla musica, a quella cosa ormai molto spregiata da amministratori e padroni di Milano che è la cultura.

La storia parte da molto lontano ma precipita nelle ultime sette settimane, con un accavallarsi di catastrofi che nessuno è capace di gestire. Se finalmente non gli levano di torno subito il sovrintendente Carlo Fontana, che non si è riusciti a cacciare prima per impedirgli di presenziare all'inaugurazione del Teatro restaurato (e poi subito richiuso), il direttore musicale Riccardo Muti si dimetterà.



Aspettare novembre, qualche mese, quando il contratto di Fontana scadrà e il suo allontanamento non farà pensare né ai "Pagliacci" né ai "Masnadieri"? Assolutamente no. Figuriamoci il Cda della Fondazione Scala, composto da eminenti personaggi legati a Mediaset o a Forza Italia o alla berlusconiana Medusa o comunque in buoni rapporti d'affari con il premier: non aspettano altro per liberarsi di una presenza scomoda, in odore addirittura di sinistra, comunque sorda alla necessità di favorire certi disegni interessanti per alcuni di loro.



Il desiderio di Muti va a insinuarsi nella furibonda lotta di potere per occupare tutti i posti che contano in città, ma non è così facile accontentarlo perché non ci sono ragioni per cacciare il sovrintendente: così il 14 febbraio il Cda affida al sindaco Albertini (che per Fedele Confalonieri, presidente della Filarmonica e membro della Cda, «è grande come Maria Teresa») il compito di ottenere da Fontana la risoluzione consensuale; cosa che dato il carattere dispettoso del buon uomo, non gli riesce. Il 18 i sindacati del Teatro si svegliano e fanno saltare la prima della "Dama di Picche", il 24 Fontana è licenziato e viene nominato sovrintendente, come preme al maestro Muti, quel Mauro Meli che, ex coordinatore del lancio mondiale della Fiat Punto, è diventato sovrintendente a Cagliari lasciando un deficit di 24 milioni di euro e in giro per il mondo artistico una serie di antipatie e accuse.



Esemplare il comunicato dei nuovi dotti padroni privati della Scala (che tuttavia ha un bilancio per due terzi di fondi pubblici) con cui informano la confusa Milano e il mondo stupefatto, delle loro ragioni musicali e gestionali: "L urgenza di ricondurre all'unicità la conduzione operativa del Teatro che stante le divergenze sulla gestione che da tempo si è manifestata si è dimostrata irrealizzabile".

Poi il caos, il diluvio: si dimette l'assessore alla cultura Carrubba, tenuto all’oscuro di una decisione che nessuno sa spiegare, i lavoratori della Scala la occupano con assemblee e chiamano la città, che non può capire nulla perché nulla le viene detto, ad essere solidale, cosa che molti milanesi fanno. Intanto succede qualcosa che forse non era prevista e che chi sa racconta così: «Da anni i lavoratori non ne potevano più del potere assoluto del direttore musicale, ma c'era qualcuno, il sovrintendente Fontana, che mediava, che frenava. Via lui, la pentola si è scoperchiata: e chiedendo le dimissioni del Cda e di Meli, che non stimano e che ritengono imposto per ragioni oscure, gli orchestrali, maestri eccellenti tra cui tanti potrebbero essere concertisti, hanno anche sfiduciato il loro maestro, il grande Muti: 700 si, 2 no, 3 astenuti. La Scala ha nel suo dna l'insegnamento di Toscanini, quello di non accettare le prepotenze, gli assolutismi. E quella dei suoi lavoratori non è stata una vertenza sindacale ma una rivolta etica».I lavoratori bloccano le prime, la Scala cancella il Dittico con le opere di Hindemith, e Corghi, saltano due concerti della Filarmonica, Muti non si presenta alle prove e rifiuta ogni incontro con gli ammutinati. Il sindaco nega al consiglio comunale qualsiasi informazione sull'incomprensibile, degradante pasticcio. Meli consegna ad Albertini un dossier in cui si accusa Fontana di aver fatto troppe promozioni sapendo di doversene andare, Albertini lo rende pubblico, Fontana querela, anche la Cgil, il prefetto Ferrante viene chiamato a mettere ordine come se si trattasse di una sommossa, con barricate, ed è quello che si dà più da fare.

Infine, Meli non si smuove dal suo posto, il Cda neppure, tanto il suo mandato finisce fra 8 mesi. Solo Riccardo Muti, ferito nel suo orgoglio di maestro sommo, capisce ormai che il contrasto con i lavoratori è insanabile e si dimette: compie cioè il gesto fatale, quello che, per scongiurarlo, ha dato inizio a tutta l'agghiacciante, miserevole operetta, "Il paese dei campanelli" alla Scala. E adesso? Qualcuno piange e grida alla incolmabile perdita, qualcuno supplica il Maestro di ripensarci, qualcuno pensa che nessuno è insostituibile: sono già partite telefonate in tutto il mondo, a quei maestri che da anni non sono più riusciti a mettere piede se non proprio alla Scala, almeno a una sua inaugurazione.


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