L’economia è una materia da maneggiare con molta cura. Se da un lato può fornire dati e numeri che esaltano un governo, dall’altro – in pochi giorni – può tranquillamente tirare giù l’opera dell’esecutivo. È proprio ciò che è successo in Italia dal 30 agosto al 2 settembre. Venerdì scorso, infatti, l’Istat ha comunicato il record di occupati. Con un aumento di 56mila persone al lavoro, il numero complessivo di occupati in Italia supera la soglia dei 24 milioni di unità. Una notizia molto importante che ha consentito agli esponenti del governo guidato da Giorgia Meloni di gridare al nuovo miracolo economico, con i social invasi da post che esaltano la politica economica della destra.
Nella giornata di ieri, però, è arrivata la doccia fredda. Sempre l’istituto italiano di statistica ha certificato un rallentamento del Prodotto interno lordo italiano. Nel secondo trimestre del 2024, infatti, il Pil dell’Italia è cresciuto dello 0,2% su base trimestrale e dello 0,9% su base annua, ovvero nei confronti del secondo trimestre del 2023. La crescita acquisita per il 2024 – cioè quella annuale che si otterrebbe in presenza di una variazione congiunturale nulla nei restanti trimestri dell’anno – è pari allo 0,6%, rivista al ribasso dall’Istat rispetto alla stima dello 0,7% di luglio. Il problema enorme è che il governo mantiene la sua previsione di crescita dell’1,2%. Ciò obbligherà il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, a inventarsi qualcosa per far quadrare i conti, evitare un deficit più alto e soprattutto provare a mantenere le promesse elettorali.
Pil e lavoro: il paradosso
La domanda che molti economisti si stanno ponendo da tempo riguardo il nostro paese è la seguente: come è possibile registrare un record di occupati e nello stesso tempo mantenere un Prodotto interno lordo che cresce in maniera così asfittica? Come mai l’incremento record di occupazione non genera maggiore Pil? È evidente che il record è da un lato un elemento positivo, se non altro rappresenta una minima boccata d’ossigeno per i conti dell’Inps; dall’altro invece incide poco o nulla rispetto all’aumento della ricchezza nazionale. Per dare una risposta a questo paradosso, si può agire solo per ipotesi. Saranno gli studi tecnici attesi per i prossimi mesi a spiegare bene questo fenomeno. Secondo molti, l’aumento degli occupati è semplicemente la trasformazione di contratto a tempo determinato con quelli a tempo indeterminato. Ciò giustificherebbe la neutralità dei dati rispetto al Prodotto interno lordo. In effetti la nuova occupazione riguarda soprattutto i contratti tempo indeterminato.
Lavoro regolarizzato
Una ulteriore ipotesi potrebbe essere l’emersione dal nero. In pratica, sono aumentate le regolarizzazioni di lavoratori che prima sfuggivano alle statistiche perché assunti senza contratto. Ciò giustificherebbe la non variazione del Prodotto interno lordo. Queste persone continuano a spendere uno stipendio che prendevano già prima però in nero. Un altro elemento che potrebbe giustificare il mancato aumento del numero di lavoratori è che essi sono stati assunti in comparti della Pubblica amministrazione che incidono poco o nulla sul Pil come ad esempio la scuola, la sanità o la sicurezza. Oppure l’occupazione sale in settori a scarsissimo valore aggiunto come il turismo o l’agricoltura di base. Secondo altri esperti, potrebbe essere una strategia degli imprenditori, la cosiddetta “labour hoarding”. In parole povere: le aziende, pur vivendo un periodo difficile, decidono di mantenere assunti i dipendenti per paura di non trovarli quando poi ne hanno bisogno.
Crescita
A prescindere dalle ragioni, resta il paradosso dell’economia italiana che per la prima volta conosce un tasso di occupazione che supera il 62% ma non riesce a generare una ricchezza tale da smuovere il Pil. Ricordiamo che quest’ultimo è costituito da tre grandi elementi: i consumi interni, la bilancia commerciale e la spesa pubblica dello Stato. Mentre l’export italiano continua a crescere e la spesa pubblica a espandersi, nonostante la dubbia efficacia sul sistema economico, i consumi sono al palo. Di questo dovrebbe occuparsi l’esecutivo; e di questo dovrebbero preoccuparsi i sindacati e le aziende stesse. Se il mercato interna non tira, è sempre molto rischioso puntare tutto sull’export (il quale è soggetto all’andamento congiunturale globale). Aumento dei salari, sgravi seri per chi assume e rilancio dei consumi dovrebbero essere la bussola per chi governa il paese.
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