Caro ministro Giuli,
le e mi auguro che il suo ministero possa segnare un punto di svolta nel dibattito intorno alle politiche culturali così acceso in Italia dopo la formazione del governo Meloni. Do ovviamente per scontato che lei non andrà più in cerca di gloriosi antecedenti della destra in Dante, l’augurio si riferisce alla volontà di impostare in modo serio quella che una volta si chiamava “battaglia delle idee”.
La competizione in questo campo è vitale per la stessa vita politica. E la competizione si svolge certo in vista di acquisire posizioni “egemoniche”. Così è stato in tutti i Paesi occidentali nei periodi più drammatici della loro storia. In questa prospettiva va interpretata l’azione svolta, per citare un grande esempio, dall’idealismo italiano tra ‘800 e Grande Guerra, o anche dalla cultura gramsciano-storicistica in Italia nel secondo dopoguerra nel confronto tra le diverse, e agguerritissime, scuole del pensiero cattolico, fino al disgregarsi di questo terreno comune di lotta a partire dagli anni ’70.
Questo disgregarsi ha cause molteplici e complesse, ma nasce sostanzialmente dalla consapevolezza critica che nella cultura europea è impossibile tracciare rigidi steccati; esistono “limina” sempre trasgredibili, mai Muraglie cinesi. Il pensiero critico – che altrimenti non è pensiero – funziona proprio nella misura in cui fa breccia sui muri, ne mostra la non inesorabilità.
Ciò significa “abbracciamoci tutti”? Niente affatto, anzi, ciò significa tragicamente che le nostre sono “guerre civili”, nelle quali nel campo avverso ci sono nostri fratelli, magari educati nella stessa scuola e dagli stessi autori.
Gramsci non è comprensibile senza l’attualismo gentiliano. Da una comune radice iniziano destini opposti (anche se si ritrovano nella tragica fine). O da origini opposte esiti comuni, come, per fare il nome di altri grandi europei, nel caso di Thomas Mann e Benedetto Croce.
La cosiddetta egemonia della “sinistra” nel secondo dopoguerra si fonda ancora su una “affinità” gramsciano-gentiliana. Ma è un’egemonia, lo ripeto, assolutamente per modo di dire: l’opposizione cattolica a essa è rimasta culturalmente forte, come d’altronde quella liberale, ma anche politicamente organizzatissima.
Più la crisi dell’assetto internazionale uscito dalla Seconda guerra mondiale si faceva evidente, più perdevano consistenza, capacità di interpretare tale crisi, almeno nel mondo occidentale, le partizioni fascismo-antifascismo, democrazia-autoritarismi, più emergevano, a un occhio privo di pregiudizi, le più pericolose osmosi tra quelle che erano apparse contrapposte trincee.
Era necessario comprendere a fondo la trasformazione delle nostre democrazie, le attuali, reali contraddizioni che ne vanno minando le fondamenta? E come fare senza i Mosca e i Pareto? Come non risalire alle critiche, opposte e complementari, dei Tocqueville e dei Marx?
Le grandi diagnosi sul futuro del capitalismo globale, inteso come sistema sociale di produzione, sono dei Marx, dei Weber, dei Sombart, degli Schumpeter. Di destra o di sinistra? Sciocchezze. Grande pensiero critico europeo, capace di ironia e paradosso. Spietato nel suo realismo. Punto fermo: mai cadere nell’illusione della risoluzione del conflitto attraverso un qualsiasi Fuehrerprinzip (principio del capo), della risoluzione del conflitto come sua messa a tacere! Questo solo il discrimine. La politica offre, se è vera politica, qualche buon scopo e qualche via di uscita, salvezza mai.
Su queste basi e non altre lei, ministro, favorisca una sana ricerca di “egemonia”. Qualsiasi pretesa “egemonica” che non guardi in faccia le contraddizioni dell’Homo democraticus, nel suo individualismo combinato a bisogno di sicurezza, che non veda l’”inferno” che questo insieme può scatenare, che non rifletta in questa luce sul destino delle democrazie, e si illuda di poter rispondere alla crisi con ideologie semplicemente reazionarie rispetto all’impetuoso e irreversibile processo di secolarizzazione, non rappresenterebbe che relitti sia di arcaiche destre che di decrepite sinistre.
Caro ministro, so che non è il suo campo, ma una battaglia davvero comune per tutti coloro che pensano criticamente è oggi, non solo temo in Italia, urgentissima. Parlare di culture politiche prima che di politica della scuola e della formazione è puro non-senso. Aiuti a liberare la politica scolastica italiana dai lacci e lacciuoli che la soffocano! Un grido di dolore si leva dai suoi insegnanti più capaci. Adempimenti burocratici di ogni tipo, formulari, schede, ciarpame metodologistico e pseudo-tecnico soffocano l’autentica didattica.
Quella fondata su contenuti reali, autori, testi. Domina il “soft skill metacognitivo”, l’addestramento a imparare piuttosto che il duro confronto con le cose da imparare. Metodologismo, pedagogismo, retorica sul digitale, campionari dolciastri di politically correct, il tutto mescolato al solito perverso ideale che subordina la formazione al mercato, dominano la politica scolastica da decenni, e sempre peggio, in mano a oscure potenze ministeriali. Regno della peggior burocrazia alleata alla peggior Accademia. Lei è ministro della Cultura, getti il grido di allarme, ammesso non sia troppo tardi.
Veda, Croce e Gentile l’avevano capito bene, e su questo son sempre rimasti alleati – non c’è egemonia sul piano culturale se non c’è nella scuola (nell’Università è anche peggio, ma alla prossima puntata). Con molti auguri,
Massimo Cacciari
Nessun commento:
Posta un commento