L’idea è che mercoledì, alla vigilia della prima riunione delle due Camere, sia pronta una mappa che includa i ministeri con portafoglio, i presidenti di Camera e Senato, i tre sottosegretari alla presidenza del Consiglio. La mappa, al momento, sarebbe non troppo lontana dal completamento, sia pure con alcune (vistose) zone grigie. Ma comincia a essere un po’ irritata per la trattativa: le persone ci guardano — è il pensiero che filtra dai vertici del partito — non possiamo mostraci presi soltanto dalle quote di ciascuno e dalle caselle da riempire. Come dire: se non si risolve in fretta, farò io. Anche se qualche giorno in più (in cui i posti continueranno a vorticare) viene dal fatto che Mario Draghi tornerà da Bruxelles soltanto il 21 ottobre, dopo il Consiglio europeo che dovrebbe mettere a punto il regolamento energetico.
In un domenica di stop apparente delle grandi manovre, qualche indicazione viene da Adolfo Urso (FdI): «Nel governo ci saranno tecnici d’area, personalità che per la loro storia hanno scelto un campo. Ma questo sarà un governo politico». Anzi, «si profila come quello che nella storia della Repubblica avrà la più ampia maggioranza parlamentare, il primo governo politico dopo 11 anni». Quanto ai tempi, «la volta scorsa ci hanno messo tre mesi a fare il governo».
Tra le zone grigie della mappa di governo, la prima che balza all’occhio è quella dei vicepremier. Meloni, in sostanza, non ne vuole: «Fanno troppo quote di partito old fashion» dice uno dei suoi. E poi c’è il Mef, il ministero dell’Economia. La premier in pectore attende la disponibilità di alcune figure tecniche di primo piano. Ieri, oltre a quello dell’ex direttore di Bankitalia Fabio Panetta, ha cominciato a circolare il nome del presidente della divisione Imi di Banca Intesa Gaetano Miccichè. Ma se alla fine dovesse prevalere la scelta politica, in FdI nessuno esclude che a Salvini possa essere proposto il nome di Giancarlo Giorgetti, oggi allo Sviluppo economico. Sarebbe il ministero di primo piano richiesto e sarebbe difficile per Salvini rifiutare. A dispetto del fatto che la partita veda i ministeri economici come meno appetibili rispetto al passato. E a dispetto del fatto che nella Lega ci sia già chi parla di «metodo Draghi», con la premier che sceglie fior da fiore i nomi dei ministri nei partiti.
Peraltro, il nome del ministro allo Sviluppo ricorre anche per la presidenza della Camera. Diventerebbe di attualità qualora Salvini rinunciasse, cosa che fin qui non ha per niente fatto, alla presidenza del Senato per Roberto Calderoli. Ma sulla seconda carica dello Stato, il nome oggi più forte è quello di Ignazio la Russa, che oltre al curriculum — è stato vicepresidente della Camera ed oggi lo è del Senato — appartiene al partito di maggioranza. Se alla Lega spettasse la presidenza della Camera, i concorrenti sono due: Giorgetti, ma anche il capogruppo Riccardo Molinari. Entrambi manifestano distanza dalla questione.
Da mettere a punto anche la questione Viminale. Salvini ripete il mantra degli ultimi giorni: «La Lega ha una squadra assolutamente all’altezza, non ha pretese né punta i piedi». Il nome più citato è quello del prefetto di Roma Matteo Piantedosi, già capo di gabinetto al Viminale con Salvini. «Purché — sbuffa un leghista — non sia assegnato d’ufficio in quota Lega». Non sia, insomma, conteggiato tra i ministri leghisti. C’è poi un tema che un deputato di FdI, maschio, riassume così: «Nel governo Draghi ci sono... sette donne. Sarà molto difficile che Meloni scenda al di sotto di quell’asticella». E allora, tra i nomi che molto circolano, in FdI ci sono quelli di Daniela Santanchè e Isabella Rauti. Mentre nella Lega sono in pole position per incarichi di governo Giulia Bongiorno, Vannia Gava, Erika Stefani, Lucia Borgonzoni Alessandra Locatelli.
Tra le caselle da definire, la Giustizia. Per cui si parla della leghista Giulia Bongiorno, anche se il primo nome continua a essere quello dell’ex procuratore Carlo Nordio. Mentre assai meno problematici appaiono gli Esteri, che dovrebbero andare all’azzurro Antonio Tajani. C’è chi osserva che in via Veneto, un intero piano del ministero allo Sviluppo economico sia vuoto. Era quello un tempo occupato dall’Energia, oggi accorpata alla Transizione ecologica. In tanti sono pronti a scommettere su un riaccorpamento. Il nome potrebbe essere quello di Guido Crosetto.
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