Un messaggio nel bel mezzo di un notiziario accompagnato da una foto manipolata della Guida Suprema Ali Khamenei, il corpo circondato dalle fiamme e la testa in un mirino, e poi immagini di Mahsa Amini e di altre tre donne uccise nelle proteste contro il velo e contro il regime degli ayatollah.
Un gruppo di opposizione che sostiene la rivolta in Iran scatenata dalla morte di Mahsa è riuscito ad hackerare un canale televisivo statale iraniano. Le parole andate in onda sono potenti. «Il sangue dei nostri giovani sgocciola dalle vostre dita», recitava il messaggio apparso sullo schermo durante il telegiornale di sabato sera: «È tempo di mettere via i vostri mobili... e trovare un altro posto per la vostra famiglia fuori dall'Iran». In una delle didascalie era anche scritto: «Unisciti a noi e alzati».
L'interruzione è durata solo pochi secondi prima di essere interrotta. Alla fine del video, si vede il conduttore del telegiornale teso, con gli occhi fissi sulla telecamera. Diversi media in lingua persiana con sede all'estero lo hanno condiviso. L'attacco informatico, durato pochi secondi, è stato rivendicato da un gruppo che si fa chiamare Edalat-e Ali (La Giustizia di Ali) e che sostiene il movimento di protesta. In Iran, l'agenzia di stampa Tasnim ha confermato che la televisione di Stato è stata «piratata per qualche istante da agenti anti-rivoluzionari».
Le vittime della repressione ormai non si contano più. Secondo Iran Human Rights, organizzazione per i diritti umani con sede a Oslo, ammonta a 185 il numero delle vittime registrate in Iran nel corso delle manifestazioni seguite alla morte di Mahsa. Tra le vittime ci sarebbero 19 minorenni. Un membro della milizia paramilitare Basij è deceduto sabato sera e un Pasdaran è stato ucciso durante le proteste a Sanandaj. Secondo i media locali, sale così ad almeno 14 il numero dei membri delle forze di sicurezza uccisi dall'inizio delle proteste. Il clima è tesissimo. I militari, giunti con dei furgoni senza targa, hanno arrestato gli studenti all'interno dei locali di una scuola e le autorità hanno anche chiuso ieri tutti gli istituti di istruzione nel Kurdistan iraniano. I commercianti del Grand Bazar e del famoso bazar di Tajrish a Teheran invece si sono uniti alle proteste e hanno chiuso i battenti.
I media ufficiali hanno bollato l'iniziativa come un «tentativo di minare la sicurezza economica» dell'Iran. Il quotidiano Kayhan, vicino alla Guida Suprema, sostiene inoltre che i «bazari» - i commercianti dei tradizionali mercati iraniani - sono stati costretti «con la forza e le minacce» a chiudere.
Nel mezzo di questo caos il musicista Shervin Hajipour è apparso ieri in un video per la prima volta dal suo rilascio dopo essere stato arrestato per aver pubblicato una canzone a sostegno delle proteste chiamata «Baraye» («Per» o «A causa di» in persiano). La canzone aveva raggiunto quasi 40 milioni di visualizzazioni, è diventata una sorta di colonna sonora delle proteste. Nella sua prima apparizione Shervin ha detto: «Se voglio dire qualcosa, o criticare, vorrei farlo da qui». Sulla questione è intervenuta anche Marjane Satrapi, la creatrice di Persepolis, l'acclamata graphic novel che descrive l'infanzia di una ragazza iraniana durante e dopo la rivoluzione islamica del 1979, trasformata in un film candidato all'Oscar, e ha affermato in una intervista al Guardian: «La mia speranza è che la situazione vada verso qualcosa di bello che si chiama libertà e democrazia». Poi ha proseguito: «Il bello ora è che ci sono ragazzi e ragazze insieme. Quindi questo è ciò che mi dà speranza oltre a sentirmi estremamente triste a causa di tutta questa violenza. Non c'è niente di più bello e stimolante del loro coraggio».
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